articoli

Il futuro della Slovacchia in bilico

di Franco
Ferrari

Al momento di scrivere questa nota il primo ministro slovacco Robert Fico, vittima di un attentato il 15 maggio scorso, sembra aver superato il rischio di perdere la vita e starebbe lentamente stabilizzandosi. Al punto che la stampa slovacca comincia a ipotizzare su quale sarà il contenuto del suo primo discorso una volta recuperate condizioni di salute quasi normali.

Il tentativo di assassinio del leader di SMER-Socialdemocrazia, il principale partito slovacco, ha messo in evidenza la difficile situazione politica del paese e aperto, ovviamente, interrogativi sulle motivazioni del settantunenne attentatore. Folle solitario dalle incerte motivazioni oppure marno armata di un complotto maturato in ambienti ben più significativi? Per ora si può dire che non vi sono elementi che consentano di escludere entrambe le ipotesi.

Gli inquirenti lasciano aperta la possibilità che abbia avuto dei complici anche se finora questi non si sono concretizzati in figure precise. Viene segnalato che il profilo Facebook dell’attentatore è sparito dopo poche ore. È stato comunicato che è stata la stessa Meta, che gestisce il social network, a cancellarlo ma, secondo quanto affermato dagli investigatori, il suo contenuto sarebbe stato eliminato già prima che intervenisse il gestore.

Un altro elemento che si è affacciato nel dibattito è stato sollevato in particolare da Lubos Blaha, dirigente di primo piano del partito di Fico (e intellettuale di ispirazione marxista noto anche all’infuori del Paese), il quale ha accusato l’opposizione e la gran parte dei media di aver favorito il clima che ha portato all’azione dell’attentatore. Quest’ultimo, secondo un fotogramma riportato da una tv slovacca, ha partecipato alla più recente manifestazione di protesta indetta da “Slovacchia Progressista”, il partito liberale che, dopo il fallimento del governo di destra che ha guidato il paese dopo le elezioni del 2020, ha preso la guida dell’opposizione, cercando di indirizzarla su una linea vicina alla Commissione UE di Bruxelles, alla Nato e, in generale, all’Occidente.

Alcune mosse condivise da tutto il sistema politico hanno cercato di attenuare il rischio di una degenerazione dello scontro. Il parlamento ha approvato all’unanimità un documento presentato dalla maggioranza ma sostenuto anche dall’opposizione. In precedenza la Presidente della Repubblica in carica (scadrà a metà giugno) Zuzana Čaputová, vicina all’opposizione “progressista”, e il Presidente eletto Peter Pellegrini, leader del partito socialdemocratico Hlas alleato nel governo di Robert Fico, hanno emanato un comunicato congiunto teso a svelenire il clima di contrasto.

Il governo emerso dalle ultime elezioni del 2023 è formato da tre partiti SMER-Socialdemocrazia, Hlas e il Partito Nazionale Slovacco, considerato di estrema destra.

La storia della sinistra slovacca si è identificata a partire dal 1999 con il ruolo di Fico. Iscritto al Partito comunista negli ultimi anni del potere ha poi partecipato alla trasformazione in partito socialdemocratico con la denominazione di Partito Democratico della Sinistra (PDL). La leadership di questo partito, proveniente dall’Istituto di Marxismo-Leninismo di Bratislava ha spostato il partito su posizioni molto moderate pro-UE e pro-Nato, favorevole alla trasformazione in un capitalismo di impronta liberista. Una strategia che ha portato il PDL a perdere rapidamente il consenso dei ceti popolari, soprattutto dopo la partecipazione ad un governo dominato dal centro-destra.

Robert Fico si è staccato dal PDL in parte per ambizione personale e in parte perché ha ritenuto la politica prevalente nel partito incapace di inserirsi nel clima dominante in Slovacchia. Nel corso degli anni si è spostato su posizioni diverse ed anche contraddittorie ma è rimasto un partito favorevole ad una maggiore presenza economica dello Stato e alla difesa di quelli che sono stati definiti come i “perdenti” della trasformazione sociale della Slovacchia.

SMER-Socialdemocrazia è trattato come partito “populista”, termine che spesso viene usato come etichetta polemica piuttosto che come definizione oggettiva di una forza politica. Il partito di Fico può essere in una certa misura effettivamente definito come “populista”. Non tanto nel senso che a questa etichetta attribuisce maggioritariamente la politologia, la contrapposizione tra un popolo buono ed un élite corrotta, quanto all’adozione di temi e posizioni ritenute radicate nel senso comune del proprio elettorato anche quando questi sono in contrasto con il profilo ideologico dichiarato dal partito. È il caso ad esempio delle posizioni anti-migranti e islamofobe assunte in alcuni frangenti e l’adesione alla “culture war” conservatrice sulla questione del cosiddetto “gender”. Nel caso delle politiche anti-migranti queste non sono del tutto isolate anche all’interno della socialdemocrazia, come si può vedere ad esempio dalle posizioni assunte dai socialdemocratici danesi.

Ma il terreno sul quale Robert Fico e la sua coalizione di governo si sono distaccati dalla posizione prevalente nella socialdemocrazia e nei verdi riguarda i rapporti con la Russia e la guerra in Ucraina. Una parte consistente dell’opinione pubblica slovacca continua a guardare con simpatia, per ragioni storiche, alla Russia e ritiene che la guerra sia parte di un conflitto tra Stati Uniti e Mosca nella quale una parte di responsabilità importante va attribuita ai primi.

In campagna elettorale Fico aveva promesso di interrompere l’invio di aiuti militari all’Ucraina (ma non quelli umanitari). Impegno che ha effettivamente messo in atto, anche se dal punto di vista strategico, dato che quasi tutto quello che la Slovacchia poteva trasferire a Kiev era già stato messo a disposizione, non ha avuto un impatto significativo.

La campagna elettorale per il Presidente della Repubblica ha portato all’elezione del candidato sostenuto da Fico, Peter Pellegrini, con un netto vantagio sull’esponente dell’opposizione di destra. Pellegrini è un ex leader di SMER che aveva rotto con Fico dando vita ad un proprio partito sempre di orientamento socialdemocratico (Hlas).

Hlas avrebbe potuto scegliere l’alleanza con i “progressisti” (liberali di centro) ma ha preferito ricucire i rapporti con SMER e dar vita ad un governo orientato a sinistra sui temi socio-economici e critico sulla guerra in Ucraina.

È soprattutto questa presa di distanza dal fronte di guerra occidentale ad avere alimentato la campagna di stampa contro il nuovo governo slovacco di centro-sinistra, identificato con l’Ungheria di Orban. Una campagna alla quale si è acriticamente allineato il “Manifesto” che ha rappresentato ai suoi lettori il governo socialdemocratico (i due partiti maggiori sono aderenti al Partito del Socialismo Europeo, anche se attualmente sospesi) come “la destra al potere” alla quale si opporrebbe il “centro-sinistra” di Slovacchia Progressista (in Europa aderente al gruppo liberale, presentatasi nelle elezioni europee del 2019 in alleanza con una formazione di centro-destra iscritta al gruppo popolare).

Una ricostruzione poco aderente alla realtà, però funzionale alla rappresentazione di un’Unione Europea nella quale il nemico viene identificato con Orban e, ora, anche con Fico, piuttosto che con le tendenze antidemocratiche e militariste interne alla maggioranza che ha sostenuto la Commissione della Von der Leyen.

È indubbio che nei paesi dell’Europa centro-orientale i partiti hanno una scarsa coerenza ideologica e questo favorisce anche alleanze che, secondo il classico schema destra-sinistra, risultano estremamente eterogenee. Alcuni partiti ultranazionalisti, anche estremi, assumono posizioni sui temi socio-economici che li avvicinano alla sinistra e lo stesso si può dire delle posizioni internazionali.

Delle politiche del nuovo governo sono stati particolarmente enfatizzati i pericoli di autoritarismo che sarebbero insiti in alcune proposte già approvate o in corso di approvazione. È il caso dell’abolizione del ruolo di Procuratore Speciale che doveva essere dedito soprattutto alla lotta contro la corruzione. Va detto che questa funzione è stata attribuita ad un esponente politico di un partito democristiano e già Ministro della Giustizia in un governo di destra, un profilo che non consente di escludere l’uso di questo ufficio per finalità di lotta politica.

Altro elemento di preoccupazione riguarda il proposito di dar vita ad una nuova struttura per la gestione del sistema radio-televisivo pubblico. Anche in questo caso non si possono sottovalutare alcune preoccupazioni su un maggiore controllo governativo sul sistema informativo pubblico, va però considerato che spesso il sistema dei media, in un numero crescente di paesi, è controllato da forze economiche sempre più ristrette (in Francia ormai si tratta di un piccolo gruppo di miliardari alcuni dei quali attivamente impegnati a sostenere l’estrema destra). Se il controllo governativo dei media pubblici è indubbiamente un pericolo per il pluralismo e il dibattito democratico, l’alternativa è spesso il monopolio degli interessi privati che non garantiscono nemmeno essi alcun vero pluralismo.

Questi squilibri, in una realtà come quella slovacca, sono accentuati dal fatto che la società è divisa fra “vincitori” e “perdenti” della trasformazione sociale degli ultimi decenni. I primi sono soprattutto diffusi nelle piccole città e nelle zone rurali, che costituiscono spesso la base di partiti definiti come “populisti” (di destra o di sinistra), mentre i secondi sono molto presenti nelle capitali e nelle grandi città e hanno in generale notevole influenza su tutti gli apparati di comunicazione e di formazione intellettuale (media, università, magistratura, ecc.).

In ogni caso la realtà slovacca è più complessa di quello che i media tendono a rappresentarci. Lucia Hubinska, esponente del piccolo partito di sinistra radicale Socialisti.sk che si presenta alle prossime elezioni europee, descriveva efficacemente come dalla lettura dei media internazionali, anche quelli considerati più autorevoli come la BBC, riscontrasse una rappresentazione distorta della realtà del suo paese. Tanto più se è presente un governo che cerca di sottrarsi alla Unione Sacrée per la guerra.

Franco Ferrari

Articolo precedente
Dal rapporto ISTAT alla rivolta sociale?
Articolo successivo
Olga Karatch: “Contro la guerra patriarcale, dobbiamo dare voce alle donne per la pace”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.