Sui muri del centro storico di Pisa, vicino alle poche facoltà che hanno resistito alla delocalizzazione verso le aree periferiche, erano affissi manifesti anarchici nei quali si chiedeva solidarietà per una trentina di attivisti filopalestinesi in sciopero della fame dopo il loro arresto in Gran Bretagna.
Ammetto di essere stato colpito da una notizia sconosciuta, non solo a me ma soprattutto alle realtà e soggettività che transitano attorno alle iniziative contro il genocidio e di solidarietà con il popolo palestinese. Perché, e dobbiamo avere il coraggio di dirlo, le problematiche inerenti i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri italiane, la detenzione di numerosi attivisti in Francia, Germania e Inghilterra non sono al centro delle comuni rivendicazioni?
Anche nelle comunità militanti esiste l’odioso sistema delle doppie verità? Sono convinto che certi vizi alberghino anche nelle ristrette comunità militanti dove i pregiudizi, i sospetti, gli odi atavici tra gruppi sono tutt’altro che sopiti, nelle quali il desiderio di primeggiare ed egemonizzare si è fatto particolarmente forte. La marginalizzazione della questione detentiva è pericolosa e sbagliata perché, se viene demandata a gruppi ristretti si sottrae ad una discussione collettiva, a un ragionamento sulla nostra stessa società, sul contrarsi degli spazi di democrazia e libertà trasformando i prigionieri in icone di realtà ristrette. Un po’ come accadde, di cui servano memoria quanti ormai hanno capelli bianchi, ad inizio anni Ottanta del secolo scorso.
Ammetto di essere stato colpito da una notizia sconosciuta, non solo a me ma soprattutto alle realtà e soggettività che transitano attorno alle iniziative contro il genocidio e di solidarietà con il popolo palestinese. Perché, e dobbiamo avere il coraggio di dirlo, le problematiche inerenti i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri italiane, la detenzione di numerosi attivisti in Francia, Germania e Inghilterra non sono al centro delle comuni rivendicazioni?
Anche nelle comunità militanti esiste l’odioso sistema delle doppie verità? Sono convinto che certi vizi alberghino anche nelle ristrette comunità militanti dove i pregiudizi, i sospetti, gli odi atavici tra gruppi sono tutt’altro che sopiti, nelle quali il desiderio di primeggiare ed egemonizzare si è fatto particolarmente forte. La marginalizzazione della questione detentiva è pericolosa e sbagliata perché, se viene demandata a gruppi ristretti si sottrae ad una discussione collettiva, a un ragionamento sulla nostra stessa società, sul contrarsi degli spazi di democrazia e libertà trasformando i prigionieri in icone di realtà ristrette. Un po’ come accadde, di cui servano memoria quanti ormai hanno capelli bianchi, ad inizio anni Ottanta del secolo scorso.
L’Italia non è un Paese che ha fatto i conti con il proprio passato, siamo una nazione nella quale le stesse garanzie democratiche per la società civile restano alquanto ristrette e contraddittorie, siamo criticati da organismi democratici internazionali e nello stesso rapporto annuale “Power Under Attack 2025” del Civicus Monitor.
Non siamo qui a raccontare che la contrazione delle libertà democratiche sia responsabilità unica delle destre perché molti dei pacchetti sicurezza vengono dal centro sinistra. Siamo invece convinti che l’economia di guerra si porterà dietro anche la contrazione delle libertà democratiche e quel vecchio confine liberale sia destinato a crollare sotto innumerevoli spinte come dimostra il controllo spasmodico dei politici di area governativa sulle scuole e sulle attività degli studenti, la campagna di delegittimazione di Francesca Albanese con ogni sua dichiarazione vivisezionata, passata ai raggi x, è emblematica come anche la canea mediatica contro la sua presenza nelle assemblee studentesche in alcuni istituti di Pisa e Provincia. Di fronte agli attacchi di esponenti locali e nazionali sono arrivate i comunicati di solidarietà dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università, della Cub e dei Cobas, di partiti e associazioni varie. Ma forse invocando ispezioni ministeriali e minacciando denunce l’effetto potrebbe essere stato raggiunto ossia quello di scoraggiare le comunità educanti a organizzare o autorizzare iniziative del genere.
L’economia di guerra aveva bisogno delle sue leggi speciali e così è arrivata la mannaia contro la disobbedienza civile non violenta con la pena fino a due anni di carcere per i blocchi stradali, fino a sette per chi protesta contro infrastrutture strategiche (ad esempio la militarizzazione di porti, aeroporti e ferrovie).
Questa manovra repressiva entra fin dentro le carceri e i Centri per il rimpatrio (Cpr), punisce iniziative di mera solidarietà con i detenuti, poi non dimentichiamo l’utilizzo temerario delle querele, gli attacchi alla magistratura e la continua burocratizzazione della nostra vita atta a limitare l’accesso a documenti, atti…
Davanti all’arretramento democratico ormai presente in tutti i paesi UE ci sono forti motivi di preoccupazione e per questo il tema della prigionia dei palestinesi e dei solidali diventa importante, degno di attenzione e di sviluppi ulteriori per strappare via la maschera di ipocrisia e di autoritaria dietro alla quale si celano le nostre democrazie decadenti e affascinate dal riarmo.
Non siamo qui a raccontare che la contrazione delle libertà democratiche sia responsabilità unica delle destre perché molti dei pacchetti sicurezza vengono dal centro sinistra. Siamo invece convinti che l’economia di guerra si porterà dietro anche la contrazione delle libertà democratiche e quel vecchio confine liberale sia destinato a crollare sotto innumerevoli spinte come dimostra il controllo spasmodico dei politici di area governativa sulle scuole e sulle attività degli studenti, la campagna di delegittimazione di Francesca Albanese con ogni sua dichiarazione vivisezionata, passata ai raggi x, è emblematica come anche la canea mediatica contro la sua presenza nelle assemblee studentesche in alcuni istituti di Pisa e Provincia. Di fronte agli attacchi di esponenti locali e nazionali sono arrivate i comunicati di solidarietà dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università, della Cub e dei Cobas, di partiti e associazioni varie. Ma forse invocando ispezioni ministeriali e minacciando denunce l’effetto potrebbe essere stato raggiunto ossia quello di scoraggiare le comunità educanti a organizzare o autorizzare iniziative del genere.
L’economia di guerra aveva bisogno delle sue leggi speciali e così è arrivata la mannaia contro la disobbedienza civile non violenta con la pena fino a due anni di carcere per i blocchi stradali, fino a sette per chi protesta contro infrastrutture strategiche (ad esempio la militarizzazione di porti, aeroporti e ferrovie).
Questa manovra repressiva entra fin dentro le carceri e i Centri per il rimpatrio (Cpr), punisce iniziative di mera solidarietà con i detenuti, poi non dimentichiamo l’utilizzo temerario delle querele, gli attacchi alla magistratura e la continua burocratizzazione della nostra vita atta a limitare l’accesso a documenti, atti…
Davanti all’arretramento democratico ormai presente in tutti i paesi UE ci sono forti motivi di preoccupazione e per questo il tema della prigionia dei palestinesi e dei solidali diventa importante, degno di attenzione e di sviluppi ulteriori per strappare via la maschera di ipocrisia e di autoritaria dietro alla quale si celano le nostre democrazie decadenti e affascinate dal riarmo.
Federico Giusti

1 Commento. Nuovo commento
Articolo molto profondo, attualissimo. La guerra impone le sue leggi, i predomini di genere e di classe. Averlo dimenticato in nome di una governabilità che le pseudo sinistre non hanno neanche sfiorato è gravissimo. Non so come faremo.