La folle corsa al riarmo ingaggiata dalla Commissione Europea e dai suoi stati membri ci obbliga a riflettere ed a costruire una via d’uscita, una exit strategy per evitare di ritrovarci dentro ad una nuova guerra mondiale. Visto e considerato che siamo già dentro ad un’economia di guerra, circondati da guerre e la risposta continua ad essere quella militare e di militarizzazione della nostra società, la cosa è seria, preoccupante e sorprendente se solo pensiamo che l’Unione Europea, come altre organizzazioni sovranazionali sono nate sulle macerie delle due guerre mondiali del secolo scorso, per dire “mai più” alle guerre, inviolabilità dei confini, rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani: quindi, dove ci siamo persi per strada ?
Desidero qui condividere alcune riflessioni per cercare una risposta a questo interrogativo e ritrovare la strada smarrita.
- Chi si è mosso negli anni 70/80 del secolo scorso per costruire sicurezza comune e ridurre il carico di armi in Europa si è mosso su di una dimensione geografica oltre i confini dell’Unione Europea ed oltre le alleanze militari. Tanto lo spirito di Helsinki come la Commissione indipendente ideata da Olof Palme hanno avuto un orizzonte politico rivolto a tutto il continente europeo1, includendo anche stati di altri continenti, in particolare ad Ovest, gli stati del Nord America, USA e Canada, associando paesi per una cooperazione inter-regionale, definiti “partner”, sia a Est ( Giappone, Corea del Sud, Thailandia, Afghanistan) , Australia e sia a Sud, come Marocco, Algeria, Giordania, Tunisia, Egitto ed Israele. Disegnando così un’area di sicurezza su tre punti cardinali (visto che a Nord c’è la calotta polare), con al centro il continente europeo circondato da stati partners e non da muri, fili spinati o da cortine di ferro. Questa visione di Europa, come continente e non come un mosaico di alleanze a geometrie variabili o di blocchi geopolitici, posto al centro di un sistema inter-regionale fondato su principi fondamentali condivisi, individuati e plasmati nella Carta di Helsinki, coerenti ed interconnessi con la Carta ONU e tutti i suoi derivati, è stato un progetto abbandonato già dai primi anni novanta del secolo scorso. Non si è colta la grande opportunità presentatasi con la fine del blocco sovietico, per rilanciare quel progetto di cooperazione a 360°, indispensabile per costruire uno spazio europeo ed inter-regionale di sicurezza comune e condivisa, come era stato pensato e disegnato dalla generazione politica precedente. Si è invece pensato che fosse sufficiente rimanere sotto l’ombrello protettivo dell’alleanza politico/militare/economica ad Ovest, con un lento processo di allargamento ad Est, mescolando integrazione economica con allargamento dell’alleanza militare, ma senza un vero progetto politico di integrazione del continente europeo e di partenariato tra Ovest, Est, Sud con al centro il continente europeo.
Non è un caso che questa visione, di Europa come Europa Occidentale, non ancora libera dalla storia del novecento, in questi ultimi trent’anni abbia prodotto una sua crescita quantitativa internamente, ma non sia stata in grado di prevenire le crisi e le relazioni con gli stati confinanti, tant’è che le crisi, l’instabilità, le guerre sono aumentate fino a mettere in discussione il futuro dell’Europa così pensata (Europa Occidentale). A Sud, i paesi che si affacciano nel mar Mediterraneo sono un susseguirsi di guerre e di transito di migranti e profughi, a poco sono servite le iniziative di Barcellona, dell’Unione per il Mediterraneo, delle politiche di vicinato, degli accordi di libero commercio. Mentre, ad Est il rapporto con la Federazione Russa e con i paesi dell’ex-blocco sovietico è stato talmente mal impostato nel corso di questi trent’anni, fino ad arrivare all’attuale guerra in Ucraina, facendo pagare al popolo ucraino un altissimo costo per il caos venutosi a creare. Paradossalmente, la mossa che può far saltare il banco arriva proprio da quello che è stato il principale alleato, ad Ovest, dell’Unione Europea, gli Stati Uniti d’America, che ha deciso di chiudere l’ombrello protettivo militare, lasciandoci con il cerino acceso in mezzo alla tempesta, bypassandoci nelle relazioni con la Russia per imporre un nuovo ordine mondiale, dove non sembra esserci posto per l’Europa.
- La seconda riflessione è che di fronte ad una crisi come quella che stiamo affrontando, con una guerra dentro l’Europa che deve essere fermata quanto prima, innanzitutto per porre fine a morti e distruzioni, ma che non può essere risolta in malo modo e senza pensare al futuro assetto e normative delle relazioni tra stati europei, e tra Europa, quale Europa, e gli altri partners ad Ovest, ad Est ed a Sud.
Se questo è il quadro, ci viene di nuovo in aiuto il decalogo della Carta di Helsinki e la road map della sicurezza comune e condivisa, che indicano chiaramente che non ci si può limitare ad applicare qualche cerotto alle ferite del sistema, ma occorre cambiare radicalmente approccio ed obiettivi se si vuole costruire pace giusta e duratura, e sicurezza per tutti. Ciò significa che non è più solo una questione di pace o guerra, ma è questione di sostituire la teoria della deterrenza militare con la teoria della cooperazione, con il passaggio da un’economia energivora e di guerra, ad un’economia sostenibile e di pace, con la riduzione delle diseguaglianze e l’estensione dei diritti e delle libertà in modo progressivo ed universale, con la messa al bando delle armi nucleari e la creazione di un’Europa senza più bombe nucleari in cambio di scuole, università, ospedali, luoghi di lavoro sicuri ed energie pulite.
Possono fare questo stati e governi? Impossibile se non saranno le popolazioni, cittadini e cittadine, la società civile organizzata, intellettuali, lavoratrici e lavoratori, sindacati ed associazioni di categoria, a prendere in mano il lascito del percorso avviato ad Helsinki e ripreso nella teoria della sicurezza comune, mobilitandosi ed esercitando il proprio potere con il voto nell’esercizio democratico della delega a chi dovrà portarci fuori da questa crisi.
- La terza ed ultima riflessione è sulla guerra in Ucraina la cui risoluzione deve passare per questa strada e non certo per scorciatoie che non rimuovono le cause ed umiliano una popolazione, quella ucraina aggredita e distrutta da quattro anni di guerra, oltre a legittimare soluzioni svincolate dal diritto internazionale. Per questo, la proposta emersa nel documento presentato dal movimento pacifista austriaco al Consiglio OSCE di Vienna (3-5 dicembre 2025) di convocare urgentemente un summit dei capi di stato OSCE (cosa che non avviene dal 2010!!!) è molto importante. Nonostante che la Federazione Russa si sia di fatto auto-sospesa dall’OSCE nel 20242, ma non ne sia uscita, lasciando così aperta una finestra di possibile dialogo. Sta di fatto che se ci fosse la volontà politica di aprire un tavolo di dialogo a 360°, mettendo nuovamente in discussione, come si fece nella conferenza di Helsinki, tutti gli aspetti ed ambiti che costituiscono un sistema di sicurezza comune, capiremmo finalmente, i punti di consenso, le criticità e le linee rosse di ogni stato seduto al tavolo.
Lavoro che dovremmo fare anche noi, società civile organizzata, in quanto destinatari delle scelte politiche, anticipando con un summit della società civile europea formato “conferenza di Helsinki”, il summit dei capi di stato, ripartendo dal decalogo della dichiarazione di Helsinki e dalla road map della common security.
Fermare le guerre, fermare la corsa al riarmo, eliminare gli arsenali nucleari è possibile, è urgente e necessario, è l’unica strada che abbiamo.
Sergio Bassoli
(collabora con l’Area Internazionale CGIL e con la Rete italiana Pace e Disarmo)
- Composizione OSCE
STATI MEMBRI 57 Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Canada, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Kazakistan, Kirghizistan, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Malta, Moldova, Monaco, Mongolia, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Federazione Russa, San Marino, Santa Sede, Serbia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Ungheria, Uzbekistan.
PARTNER MEDITERRANEI PER LA COOPERAZIONE 6 Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Marocco, Tunisia
PARTNER ASIATICI PER LA COOPERAZIONE 5 Afghanistan, Australia, Corea del Sud, Giappone, Thailandia.[↩] - La Federazione di Russia ha annullato la partecipazione della sua delegazione all’Assemblea parlamentare OSCE nel 2024, una scelta che dal versante occidentale è stata vista come una mossa per evitare di essere espulsa, mentre dal versante russo, la motivazione è frutto della perdita di credibilità e imparzialità dell’Organizzazione.[↩]
