evidenza, interlocuzioni

Dalla Spagna all’Europa plurinazionale

di Raffaella
Bolini

di Raffaella Bolini –

I nemici della democrazia sono i fascisti, non i popoli, come hanno dimostrato le elezioni spagnole.
L’affermazione assai banale non è però scontata, vista l’indifferenza con cui anche a sinistra stiamo ignorando in Italia il processo ai leader catalani in corso a Madrid, che Amnesty International e altre autorevoli organizzazioni per i diritti umani seguono invece con l’attenzione che meritano i processi politici, dopo aver denunciato la lunghissima detenzione preventiva inflitta agli imputati.
Il tema non riguarda solo la Spagna: ha a che fare con la ricerca della strategia necessaria alla sinistra in Europa per arginare l’ondata reazionaria e riportare dalla parte giusta tanta nostra gente che ha ceduto alle sue sirene.

Se ne può quindi ragionare, approfittando del senso di sollievo che i risultati spagnoli hanno diffuso. Anche a distanza si è percepito bene quanto enorme fosse la paura di un exploit a volto scoperto del franchismo in un Paese dalla democrazia recente e ancora in transizione, che con la dittatura non ha fatto ancora tutti i conti, e conserva elementi del regime sia nella politica che nell’assetto istituzionale.
Nella sua prima dichiarazione dopo i risultati, Pablo Iglesias ha detto: “Il blocco di sinistra è più forte delle tre destre. Un governo è possibile. La Spagna è uno stato plurinazionale”. E davvero solo un governo di sinistra può trovare una soluzione positiva per le nazionalità e l’assetto dello Stato spagnolo, riprendendo e approfondendo il percorso intrapreso nel 2006 durante il governo socialista di Zapatero, con lo Statuto di Autonomia, che fu brutalmente interrotto dal Partito Popolare con il ricorso al Tribunale Costituzionale.

Esiste oggi, almeno sulla carta, la possibilità di scrivere una pagina di futuro per lo stato spagnolo -il luogo più favorevole per un laboratorio plurinazionale, poiché il catalanismo è un movimento di tradizione democratica, europeista e progressista. E, peraltro, non ci sarebbe bisogno di inventare niente. Uno stato plurinazionale esiste già, grazie alla lotta dei movimenti indigeni: la Bolivia, con la sua meravigliosa Costituzione che fonda l’unità del Paese sulla diversità irriducibile dei suoi popoli, del suo territorio e della sua natura.
Sarebbe un passo avanti cruciale per la sinistra di tutta Europa. Non possiamo lasciare alla destra il tema delle identità nazionali, regionali, comunitarie che, livellate e umiliate dallo schiacciasassi della globalizzazione neoliberista, riemergono come forma di resistenza all’omologazione in tutto il mondo. Nelle mani della destra diventano lievito per un progetto di comunità chiuse, ostili ai diversi, l’un contro le altre armate.
Inserite in una narrazione di sinistra, al contrario, possono costruire la base di società plurali, che su fondino la loro forza sul valore della convivenza, del meticciato e delle ibridazioni. Possono costituire un argine alla mercificazione liberista, riconoscendo il legame inscindibile fra umani, territori, paesaggi, ecosistema. E possono riscrivere il disegno di un’Europa multicentrica, dove non esistano periferie ma tante regioni diverse che collaborino in piena dignità ed uguaglianza.

In Europa sono diverse le crisi, aperte o in nuce, legate alle nazionalità, alle minoranze, alle appartenenze regionali, non solo all’Est. Le due guerre com-battute sul territorio europeo dopo il 1945, Balcani e Ucraina, sono scoppiate su questioni nazionali. Molti dei confini degli stati europei attuali sono stati disegnati nel corso della storia allo stesso modo che per le ex-colonie, con tratti di penna sulle carte geografiche ai tavoli negoziali dei vincitori delle tante guerre combattute nel nostro continente.
E, benché mitigato da autonomie e regionalismi variamente declinati, il concetto di stato nazione richiama ancora, tanto più al tempo del sovranismo, la sua versione storicamente originaria: una bandiera, una lingua, una religione – l’omologazione e il monoculturalismo come base della cittadinanza. E invece identità plurime e appartenenze multiple sono la condizione naturale dei migranti, e non solo. È nella natura delle regioni che oggi sono frontiere e periferie, dal Mediterraneo all’Europa orientale. Sarà sempre più la dimensione esistenziale di tanti giovani europei che nascono in un paese, vivono e lavorano in altri.

L’Europa stessa è un continente di grandi diversità. La narrazione che celebra l’identità europea come un percorso di assimilazione graduale che dall’antica Grecia, passando per Roma, arriva fino a Bruxelles e alla bandiera a stelle blu, è una ricostruzione storiografica interessata e costruita a posteriori – diffusa, ormai consolidata, e falsa. L’Europa è l’insieme di grandi diversità di processi storici, di geografie, di vocazioni ed esperienze. Di cesure e rotture. Di incontri e separazioni, spesso brutali – come quella che sta irrimediabilmente dividendo in Nord e Sud il bacino del Mediterraneo.
Un pensiero politico e culturale innovatore, capace di andare oltre la narrazione tradizionale e di immettere elementi creativi nei modelli consolidati di organizzazione istituzionale, potrebbe fare di nuovo grande la visione dell’Unione Europea: unione politica di diversi territori, ciascuno dei quali ha le radici affondate, e lo sguardo ancora potenzialmente rivolto, verso parti diverse del continente e del mondo: dall’Africa al Medio Oriente, dall’Atlantico all’antica Via della seta.

Se vogliamo salvare l’Europa unita, dobbiamo evitare di tendere all’omologazione, ma al contrario riconoscere le differenze. Valorizzarle come portatrici di risorse e potenzialità, con pari titolo e pari dignità, a un progetto comune. Senza un centro dominante ma con tanti diversi centri regionali interconnessi, e piena di intersezioni con regioni extra-europee – il contrario della Europa fortezza a guida tedesca di oggi.
E allora, mentre nello stato spagnolo oggi la sinistra propone uno stato plurinazionale, tutti insieme forse è il tempo di cominciare a dire che anche la nostra Europa, per restare unita, deve esserlo.