intersezioni femministe

Corpi che contano

Per la nostra rubrica proponiamo oggi una recensione su corpi, razza, classe e sport. Un punto di vista femminista che ci piace vedere portato avanti anche dagli uomini, come in questo articolo di Gianni Montieri.

Di domande e desideri: “Corpi che contano” di Nadeesha Uyangoda

di Gianni Montieri

«La povertà di opportunità è ben peggiore di quella solo economica, e questa consapevolezza avrebbe alimentato un senso di colpa e una distanza che non saremmo più riusciti a colmare. Il modo in cui un corpo fa esperienza del mondo e di sé è legata alle possibilità di chi quel corpo lo possiede e le possibilità – lo sappiamo bene – sono legate in larga misura alla razza, al genere, alla nazionalità, alla normatività, alla classe e, in una misura altrettanto rilevante, alla casualità».
Cos’è un corpo, cosa significa per noi, come ci muoviamo al suo interno, come lo spingiamo in avanti, come lo subiamo, come lo usiamo. Questo. E poi. Rispetto a noi, il nostro corpo cos’è? Noi cosa siamo senza il riflesso del corpo, senza ciò che il corpo mostra di noi al mondo, soprattutto, senza ciò che il corpo ci consente o non ci consente di fare. Percepire il proprio corpo, o agire secondo una nuova propriocezione. Percepirlo, perciò, nello spazio, non solo senza l’ausilio della vista, ma come unità di misura. Ovvero: conosco il mio corpo, lo oriento, so dove mi trovo. Ma tutto questo è davvero spazio? E quanto di questo spazio è mio? Nadeesha Uyangoda, attraverso il suo nuovo libro, Corpi che contano (66thand2nd, 2024), tra le altre e molte interessanti cose, sembra attribuire allo spazio una nuova metrica, o perimetrica, fatta dalle opportunità.
Qual è la percentuale di opportunità che a un corpo, e perciò a una persona, vengono concesse dallo spazio, che poi è una famiglia, una scuola, una palestra, una città, una nazione, una società? Conosco il mio corpo al punto di saperlo orientare al buio, ma se le mie opportunità – dovute al luogo di nascita, al colore della mia pelle, alla famiglia di appartenenza – sono ridotte rispetto a quelle di altre e altri, non posso che orientarlo in poco spazio, in stanze nelle quali la società preferisce che io stia, e lo preferisce perfino senza saperlo, come dato di fatto, perché così è.
Nonostante tutti i miei desideri, alla fine erano queste le sensazioni che provavo, e allora nascosta dietro un paio di occhiali da sole sotto l’ombra di un libro, sdraiata immobile su un telo da mare, lasciavo che centinaia di occhi mi trafiggessero la pelle.
Uyangoda scrive molto bene e questa è una cosa importante, lo è sempre. Nel caso di questo libro – un po’ memoir, un po’ saggio, un po’ indagine – lo è ancora di più, perché la storia personale e familiare dell’autrice si fondono, facendosi portatrici di un racconto universale, con la storia del corpo e dello sport, delle regole, delle misure, delle possibilità, delle convenienze, delle definizioni di facciata, delle storture, delle classificazioni, delle scelte politiche ed economiche. Tutto contribuisce alla costruzione della linea lungo la quale chi pratica (o chi desidera praticare) sport si muove. C’è chi arriva prima a quella linea, chi poco dopo, chi dopo tanto, chi mai. Nadeesha Uyangoda – come accade a volte nei romanzi riusciti – usa la sua memoria, le sue esperienze personali, le opportunità che avuto spostandosi molto piccola dallo Sri Lanka, dove è nata, all’Italia, dove vive, per scardinare un sistema di pregiudizi di razza, di genere, di classe. Scrive e ci porta in una sorta di viaggio che magari avevamo fatto ma di cui avevamo scordato gli aspetti salienti. Maggiori sono state le nostre opportunità, minori sono le cose che conosciamo di chi le opportunità non le ha mai avute. Ci fermiamo agli highlights, ma così perdiamo spesso il meglio delle partite.
Le esperienze personali si intrecciano a quelle storiche, le pagine in cui leggiamo del cricket – delle sue origini, del suo essere stato strumento politico, esercizio di dominio e poi di rivalsa – attraverso anche alcune partite importanti quanto una finale di un Mondiale di calcio, o di altre minori, giocate da bambini, alle quali le bambine potevano assistere da lontano, da una finestra, da un sogno che doveva ancora schiudersi, sono pagine meravigliose. È un libro fatto di domande e desideri, un libro che vuole comprendere il tempo e i giorni. Vuole capire raccontando per esempio di due bambini, uno che è rimasto in Sri Lanka e ha nuotato solo nel fiume e di chi, cresciuta in Europa, ha nuotato sempre in piscina.
Uyangoda, segue i luoghi comuni e se ne burla, li smonta: Ci sono sul serio sport da femmine e da maschi? Il razzismo sui campi da calcio o nell’atletica fino a che punto è radicato? Quanto è nascosto? La politica, le federazioni fanno finta di niente o, meglio, riducono a niente. Fanno distingui sulle nazionalità concesse, lo ius soli sportivo a cui manca tutto il resto. Un’altra domanda che ci si pone leggendo, e l’autrice vuole che ce la poniamo, riguarda proprio lo ius soli sportivo, un atleta che, vuoi perché figlio di immigrati, vuoi per asilo politico, sta avendo davvero cittadinanza? O sta, in fondo, accettando un compromesso? Viene in mente Joan Didion, facendo le debite proporzioni di tempi e tematiche, quando scriveva: «Le minoranze […] si preoccupavano sì dei problemi, ma tendevano a considerare l’integrazione della tavola calda e dei sedili anteriori dell’autobus come veri scopi finali, e solo raramente come semplici manovre, pedine di un gioco più grande» (in The White Album, Il saggiatore, traduzione di Delfina Vezzoli). Già, un gioco più grande, dove quelli che fanno le regole sono sempre gli stessi, questo Nadeesha Uyangoda lo sa bene.
Corpi che contano si legge molto rapidamente ma lascia molti pensieri, ragionamenti aperti, è un libro cui chi si occupa di sport (e non solo) dovrebbe tornare ogni tanto. Il desiderio dell’autrice, ovvero quello «che il mio corpo sia senziente e abbia da sé coscienza dei movimenti che ha fatto e degli urti che ha subito», è realizzato. C’è un altro desiderio, delle lettrici e dei lettori, di comprendere, anche questo viene esaudito.

L’articolo è stato originariamente pubblicato a questo link: https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/di-domande-e-desideri-corpi-che-contano-di-nadeesha-uyangoda/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR1RfSdETStokdbEXcDNGwYsU-ylIJSIk-Is_xXj8JzRxP0-FEPx09qw0GE_aem_-G87B8G4YLddUZdU6l2DxA.

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagione e Andrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia.

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Auguri di desideranti giornate di passione

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