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Cambiamo il sistema non il clima

di Stefano
Galieni

di Stefano Galieni

“Cambiamo il sistema non il clima”, questo recitava lo striscione d’apertura del corteo che ha attraversato stamattina le strade romane per una delle tante partecipatissime manifestazioni di #FridayForFuture. Le notizie si susseguono e rafforzano l’ottimismo verso questa ondata di partecipazione che sta attraversando il pianeta intero coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni. A Milano, dopo aver presidiato per una notte simbolicamente la sede dell’ENI, in migliaia altrettanto numerosi, in quella che è la regione più inquinata del paese, hanno percorso chilometri per farsi sentire da tutta la città.

Ci sono diversi modi però per raccontare queste piazze. C’è chi si limita a vederne gli aspetti etici, ideali, guardando il loro impegno con un misto di tenerezza e paternalismo, chi ne edulcora i contenuti, chi pensa di poterne governare se non guidare la strategia.

Tre approcci miopi di chi non vuole neanche provare a guardare, per scelta o peggio ancora per sciatteria, la potente politicizzazione, priva di qualsiasi reale rappresentanza, di cui gran parte di questo eterogeneo movimento è carico. Guardando all’Italia, ad esempio, la radicalità espressa è nettissima. Negli slogan, nei cartelli, nei discorsi, ci sono idee chiarissime. Si dice di “chiudere i rubinetti e aprire i porti”, ovvero risparmio idrico e accoglienza vissuti come interconnessione. Un no secco e senza ma alle grandi opere, a partire dalla TAV, su cui molte forze politiche hanno ambiguità e tentennamenti, l’antifascismo, l’antirazzismo, il femminismo come componenti strutturali, valori non negoziabili che diventano irriverenza pura nei confronti dei fomentatori d’odio o di chi predica messaggi oscurantisti.

Di Greta Thumberg a cui ovviamente si richiamano e del suo messaggio, hanno colto elementi che i media mainstream cercano di celare o di addolcire. La critica alle diseguaglianze sociali, la richiesta di una redistribuzione equa, a livello globale delle risorse, vista come denominatore comune delle mobilitazioni. Anche oggi erano in piazza, nonostante non sempre i docenti approvassero tale scelta, per schierarsi.

Un atto di ribellione serena e matura e anche questo dovrebbe far riflettere. Ma i primi che dovremmo trarre insegnamento da questa richiesta siamo noi donne e uomini della sinistra. Anche le nostre organizzazioni, i nostri volti, le nostre storie, sono a volte considerati lontani, simili ed equiparabili al resto del panorama politico. Nonostante un programma per le elezioni europee strutturato su una coniugazione paritaria fra difesa dell’ambiente, dei diritti, di lotta alle diseguaglianze, contro le guerre, nonostante una pratica da tempo coerente con tali impegni, non si è spesso creduti. Siamo percepiti anche noi come gli altri “adulti”, capaci di promettere parlando ma non in grado di modificare realmente i nostri individuali stili di vita.

Parlando con le ragazze e i ragazzi, affatto refrattari al confronto, si avverte una idiosincrasia verso i nostri linguaggi considerati obsoleti o ridondanti, la nostra retorica, le nostre modalità escludenti di lavoro e di condivisione delle idee. Non si tratta solo di una distanza generazionale, che pure pesa, ma dell’assenza, ad oggi, di una reale capacità di interlocuzione fondata sul rispetto reciproco anche delle differenze. Un terreno recuperabile se lo si vuole recuperare, superando anche alcune borie che a volte, più o meno inconsapevolmente ci trasciniamo dietro, evitando paternalismi e tentativi egemonici o di cooptazione di individualità. Il nostro ampio e plurale spazio potrebbe – ma dipenderà molto da noi – divenire il naturale sbocco per molti di questi ragazzi e ragazze. Serve coerenza, capacità di ascolto, serve evitare anche atteggiamenti di inutile e ipocrita accettazione acritica dei loro molteplici contenuti.

Occorre uno scambio corretto di saperi, una immersione umile e continuativa nel dibattito che stanno provocando nel paese, nei luoghi in cui questo è possibile, dalle scuole agli ambiti familiari, occorre comprendere che questi giovani adulti stanno dimostrando un grado di consapevolezza, non solo ambientale, rispetto alle prospettive dell’intera società, tale che la risposta da fornire deve essere all’altezza. L’idea di società che molti di loro provano ad abbozzare contiene in nuce molti, troppi elementi su cui poter convergere e che potrebbero anche nei nostri mondi portare prospettive ancora appena accennate, una per tutte la questione del conflitto, spesso non risolto, fra difesa ambientale e garanzia del lavoro. Un campo vasto in cui c’è da lavorare e mentre speriamo che alcune/i dei ragazzi maggiorenni abbiano maturato la consapevolezza necessaria per sostenerci malgrado i nostri limiti quanto finora detto, dovremo cominciare a pensare seriamente a modalità di lavoro e di intervento in questo vasto ambito, non intrusivi, non strumentali, ma capaci di ricostruire un clima di biunivoco ascolto.

Recuperare credibilità è certamente faticoso e impegnativo, forse siamo fra i pochi che hanno ancora qualche residua possibilità di riuscirci, magari anche per farci finalmente travolgere dalla loro salutare energia.