editoriali

Antifascismo e classismo rilanciano la Linke

di Franco
Ferrari

Il dato di fondo che caratterizza l’esito elettorale tedesco è un complessivo spostamento a destra dell’asse politico e ciò avrà delle conseguenze che potranno riverberarsi sull’intero quadro europeo. La destra tradizionale resta praticamente invariata perché l’aumento di CDU e CSU è compensato dal crollo liberale. Il centrosinistra di SPD e Verdi perde 12 punti percentuali e per i socialdemocratici è il peggior risultato dal 1887. L’elettorato si è per una parte radicalizzato a destra dato che l’AFD raddoppia e guadagna 10 punti, ma dall’altra, la Linke e la BSW, che nasce da una sua scissione, guadagnano complessivamente 9 punti. Naturalmente la natura ambigua della politica del movimento di Sahra Wagenknecht, rende più difficile considerare questa crescita come un segnale inequivoco di spostamento a sinistra. In ogni caso il 20% dell’elettorato si è collocato fuori dal quadro dei partiti tradizionali e di governo del sistema, seppure in direzioni contrapposte.

La crisi del modello economico e sociale tedesco che si è tradotto in una lunga fase di recessione dalla quale non si vede via d’uscita, insieme alla rimessa in discussione del contesto atlantista a cui l’establishment tedesco si è storicamente ancorato, ha quindi prodotto importanti ripercussioni sul piano elettorale.

La CDU di Merz, che si appresta a governare con il supporto, sempre più subalterno, della socialdemocrazia, è decisamente più a destra di quello che fu il partito di Angela Merkel e il suo progetto politico, composto da riduzione dello stato sociale, alleggerimento dei vincoli per le imprese (i sempiterni “lacci e lacciuoli” di cui parlava Guido Carli decenni fa) e forte spinta verso l’incremento delle spese militari, sono tutti interni ad una lettura liberista della crisi. Ciò che potrebbe cambiare è l’allentamento del vincolo che impedisce di portare il deficit annuo oltre lo 0,35% che ha prodotto l’invecchiamento di tutto l’assetto infrastrutturale del paese. Solo che la rimozione di questo tetto sembra destinata esclusivamente a gonfiare le spese per la Bundeswehr. C’è da attendersi che il futuro cancelliere torni ad affermare l’egemonia tedesca sull’Unione Europea, un ruolo che si è perso con la direzione incolore del socialdemocratico Scholz.

Le prime uscite del futuro cancelliere hanno riguardato una netta affermazione di autonomia dagli Stati Uniti trumpiani. Sarebbe un buon proposito se questo non si traducesse, innanzitutto, nel tentativo di far proseguire la guerra in Ucraina che Trump, pur con il metodo banditesco che lo contraddistingue, si propone di far cessare.

La crisi del modello tedesco che colpisce anche i tradizionali insediamenti industriali ha gonfiato il consenso dell’estrema destra. L’AfD è nata come reazione nazionalista alla politica centrista della CDU di Angela Merkel e ha poi assorbito via via settori di estrema destra, alcuni nostalgici più o meno mascherati del nazismo, che sono diventati sempre più influenti al suo interno. L’estrema destra si è affermata soprattutto nella vecchia Germania orientale. Il profondo mutamento sociale e demografico che ha trasformato i lander dell’est, determinando arretramento economico, emigrazione delle fasce più giovani e istruite, rarefazione del tessuto sociale, ha favorito il successo del discorso xenofobo e anti-establishment proposto dall’estrema destra. Un fenomeno, contrariamente a chi attribuisce una diretta responsabilità alla tradizione “comunista” della DDR, che si è riscontrato in contesti politici diversi, come la “rust belt” degli Stati Uniti, il “red wall” laburista dell’Inghilterra centrale o la Spagna “vuota” attratta da Vox.

Anche il mondo operaio tradizionale ha contribuito ad accrescere i consensi dell’AfD, come dell’estrema destra francese e in parte anche della Lega italiana nelle regioni settentrionali. Una questione che meriterebbe di essere approfondita ma che non risulta così sorprendente dato che si è rotto il nesso tra condizione sociale operaia e prospettiva ideologica socialista. Una risposta anticapitalista oggi risulta debole e presuppone in ogni caso una trasformazione sociale di lungo periodo, mentre la destra propone una risposta semplice e, in teoria, immediatamente praticabile perché scarica le responsabilità del peggioramento delle prospettive economiche sull’immigrazione o sulla contrapposizione tra Stati, ognuno interessato a difendere prima “i suoi”.

In questo quadro l’esito positivo della Linke rappresenta certamente un elemento di speranza. Dopo una lunga crisi dominata dalle contrapposizioni interne e da una incerta definizione della propria identità politica, il principale partito della sinistra tedesca ha rimesso a fuoco ruolo e strategia. Come ho anticipato in articoli precedenti mi sembrano tre gli elementi essenziali che caratterizzano la ripresa della Linke (ovviamente favorita dal contesto politico e sociale nella quale opera).

Il primo fattore è la scelta di rilanciare una struttura organizzativa basata su iscritti attivi e presenti sul territorio. Il forte incremento di iscritti, nelle dimensioni nelle quali si è realizzato, è stato certamente inaspettato ma non è stato solo il frutto di un movimento spontaneo. Con 90.000 iscritti non si può certo parlare di un “partito di massa” nelle forme classiche, ma la Linke ha scelto di non essere solo un partito di opinione, magari guidato da una figura carismatica (scelta che ha invece seguito il movimento di Sahra Wagenknecht con i suoi 800 aderenti selezionati dal vertice) ma invece un partito di insediamento sociale. Di avere insomma “scarponi sul terreno”. La sfida sarà ora di consolidare questo afflusso di forze nuove, in gran parte giovani con una significativa presenza femminile, e costruire un nuovo radicamento del partito tra le classi popolari.

Il secondo fattore, più direttamente politico, è stata la capacità di cogliere l’importanza e di inserirsi nella forte mobilitazione antifascista (anti-AfD) delle ultime settimane e di farsene interprete sul piano politico e istituzionale. Heidi Reichinnek, leader emergente della Linke, ha rilanciato nel suo discorso al Bundestag, diventato virale sui social, in particolare su TikTok, l’invocazione contenuta nella canzone che ha animato le mobilitazioni popolari delle settimane scorse: “Auf di Barrikaden”. Contro il fascismo risorgente, “alle barricate”. Nella visione della Linke, interpretare il sentimento antifascista nell’opposizione all’estrema destra in ascesa non implica affatto subalternità alle forze di centro-sinistra (l’ossessione di qualche settore dell’estrema sinistra italiana). Non ha lasciato spazio alla retorica del “partito unico” che cancella la capacità di cogliere gli effetti profondamente negativi per le classi popolari dell’affermazione dell’ultradestra. L’incomprensione di questo sentimento popolare che ha soprattutto mobilitato le nuove generazioni è costata una fetta di consenso alla BSW e ne ha prodotto l’esclusione dal Parlamento.

Terzo fattore del successo della Linke è una sua ridefinizione più netta quale partito della giustizia sociale e con un profilo classista. Nel tempo trascorso dalla fine della DDR, prima la PDS e poi la Linke hanno oscillato tra identità diverse. Una fase definibile in parte come populista (il popolo dell’est contro l’establishment occidentale) e stata poi seguita da un prevalere della connotazione di sinistra postmoderna “arcobaleno”. La lista per le elezioni europee del 2014 caratterizzata dalla scelta, di scarsa efficacia elettorale, di candidature indipendenti espressione di (presunti) nuovi movimenti di opinione è stata sostituita da un più netto orientamento su temi socio-economici. Si è già segnalato come questo non sia stato sufficiente a recuperare in modo significativo consenso della classe operaia tradizionale. Il voto è prevalentemente urbano, giovanile, femminile e istruito, ma chi interpreta la classe lavoratrice secondo gli schemi oleografici del passato (e anche qui si è riscontrato l’errore di analisi di Sahra Wagenknecht e Oskar Lafontaine) non è in grado di rappresentare la natura multi-identitaria che oggi caratterizza le classi popolari. Naturalmente come rendere strutturale un orientamento politico che è ancora congiunturale e come recuperare anche i settori di classe lavoratrice più tradizionali ad un progetto alternativo resta problema aperto e complesso.

Se si sono segnalati i fattori positivi che hanno contribuito al successo elettorale della Linke è bene aver presente anche gli elementi di difficoltà e gli scogli che essa ha di fronte. Due a me paiono i più rilevanti. Sicuramente il tema della guerra dove si è espressa una certa difficoltà ad avanzare una proposta politica tale da tradurre coerentemente e comprensibilmente il riferimento valoriale pacifista. Un problema che sta di fronte all’intera sinistra radicale europea che sull’Ucraina ha assunto orientamenti estremamente diversificati e a volte anche opposti. L’altro limite riguarda lo scarto che ancora esiste tra la focalizzazione su alcuni temi sociali specifici (tassazione più giusta, caro-affitti, tutele sociali) ed un vero modello socio-economico alternativo che non sia semplicemente la somma di questi pur importanti obbiettivi. In prospettiva diventa indispensabile delineare un progetto che tenga insieme radicamento sociale e sbocco politico.

Franco Ferrari

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6 Commenti. Nuovo commento

  • claudio salone
    27/02/2025 10:02

    Ho sempre apprezzato i Suoi interventi su questa rivista. Stavolta però mi permetto di esprimere il mio (seppur parziale) dissenso sull’analisi del voto alla “Linke” nelle elezioni appena concluse in Germania.
    1. – Non nascondo il mio disappunto per l’esclusione del BSW dal Bundestag per appena 12.000 voti. Alla base di questa esclusione pongo l’accelerarsi dei tempi elettorali, letali per un partito nato appena un anno fa e il cui discorso è ben lungi dall’essere “populista” (come l’hanno dipinto i mass media mainstream e come mi pare faccia anche Lei), che non ha evidentemente fatto i tempo a radicarsi sul territorio, soprattutto in quella della vecchia RFT. (Fa impressione vedere la cartina del voto che nei consensi alla AfD ripercorre esattamente i confini della DDR).
    2. – “La natura ambigua del BSW”. In cosa consisterebbe questa “ambiguità”? Basta leggere gli scritti di Sahra Wagenknecht per accorgersi che non c’è alcuna ambiguità nella collocazione “a sinistra” del Bündnis, che, semmai, ha tentato e credo tenterà di realizzare proprio il “progetto che tenga insieme radicamento sociale e sbocco politico” di cui Lei parla, in un’ottica di governo e non di una mera enunciazione di principi buoni per le “anime belle” che da tempo infestano le sinistre europee.
    3. – “Auf die Barrikade!” Crede davvero che sia lo slogan giusto e, soprattutto, all’altezza della complessità dei tempi? Da che mondo è mondo le generazioni giovani sono salite sulle barricate e di sicuro questo richiamo alla lotta “antifà” dura e pura ha fatto breccia tra l’elettorato più disposto a un approccio radicale a problemi complessi. In termini politici è un copione già visto. La “Linke” è ancora una volta erede e diretta discendente della “gauche caviar”, un comodo frigorifero per chi ha il potere, dove immagazzinare voti inutili.
    Dove sarebbe “il radicamento sociale” della Linke? A Kreuzberg? a Prenzlauerberg? Mi piacerebbe vedere in un grafico dove ha pescato voti. Ipotizzo principalmente in ambienti universitari, intellettuali, middle class urbana a reddito garantito, movimenti femministi, cultura woke. Un po’ quello che accade in Italia con l’AVS. Non c’ di che stare allegri.
    5. – Il progetto, “ambiguo” come dice lei, del BSW è l’unico che tenti un’analisi “marxista” della società attuale, riassunta nel motto “Vernunft und Gerechtigkeit”, “Ragione e giustizia”, di rimettere al centro le condizioni di vita delle classi lavoratrici e di dare una risposta “da sinistra” a temi quali il rispetto della legalità in tutte le sue forme, suprema garanzia per i più deboli.
    Grazie.

    Rispondi
  • Franco Ferrari
    28/02/2025 13:40

    La ringrazio innanzitutto per l’interesse e l’apprezzamento per i miei articoli, anche quando questo si traduce poi in opinioni diverse dalle mie. Sulla politica proposta da Sahra Wagenknecht ho pubblicato diversi interventi nei quali ho cercato innanzitutto di capire e interpretare prima di giudicare, pur senza nascondere le mie valutazioni critiche. In questo articolo ho cercato di sintetizzare tre elementi di differenza (non sono tutti) tra la Linke e il movimento di Sahra Wagenknecht che mi fanno propendere a favore di quel partito e che hanno influito sul diverso esito elettorale: puntare sul partito degli iscritti anziché sul partito carismatico; aderire al movimento popolare e soprattutto giovanile antifascista anziché restarne in disparte; rilanciare un profilo sociale e di classe (in questo correggendo impostazione precedenti della stessa Linke) senza cadere in una visione comunitarista e nazionalista della classe lavoratrice. Non condivido e non mi pare corrisponde alla realtà, l’idea che la BSW raccolga voto popolare e la Linke ceto medio. Molti dei giovani che hanno premiato la Linke lo hanno fatto perché temono per la propria condizione sociale in relazione alla crisi economica, alla riduzione dello stato sociale, all’aumento degli affitti e così via. Il problema è semmai di ricomporre settori sociali popolari che oggi tendono a dividersi lasciando inalterato il potere della classi dominanti.

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  • Alessandro Vigilante
    02/03/2025 15:53

    La risposta dell’autore dell’articolo alle critiche del commento di Claudio Salone è stata molto educata e ponderata come si deve che sia. Io vorrei essere più diretto sulla questione della BSW, che ha l’unico aspetto positivo di contrastare le politiche di guerra (ad est), ma con una fermezza – credo – molto più attenta ai fattori meramente economici immediati – pur fondamentali, che a quelli strategici dell’etica solidale internazionalista e di classe.

    Per considerazioni più dettagliate, riporto all’articolo “Lo strano caso di Sahra Wagenknecht” di Franco Ferrari, pubblicato su questo stesso sito il 11/09/2024, al link: https://transform-italia.it/lo-strano-caso-di-sahra-wagenknecht/
    in cui espongo un mio umile commento un po’ più esteso.

    Qui mi permetto di porre solo due scarne domande a coloro che non percepiscono “la natura ambigua della BSW”.

    1) Può essere considerato un “progetto attento all’analisi marxista” una forza politica scissionista che di fatto è un partito personale di tale Sahra Wagenknecht, fin dalla sigla?

    2) Se si ha a cuore la “suprema garanzia per i più deboli”, come è possibile riformare il fondamentale motto del comunismo scimmiottandolo in: “Proletari di tutto il mondo unitevi, ma impedite l’ingresso nelle vostre comunità a quelli più poveri di altre etnie”?

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  • Luigi Porro
    02/04/2025 15:58

    Trovo molto interessante l’analisi sulla situazione creatasi in questi ultimi tempi dopo le ultime elezioni per il Bundestag. Mi piacerebbe poter corrispondere direttamente con qualche militante della Linke per scambiarci impressioni e idee che riguardino la politica italiana, tedesca e dell’Europa comunitaria. Purtroppo non ho un recapito email di Linke. vi sarei grato se me lo inviaste, grazie. Il mio è xxxx.

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    • redazione
      02/04/2025 16:15

      Gentile Luigi, abbiamo rimosso il suo indirizzo dal commento per riservatezza. Le rispondiamo subito personalmente. Cordialità

      Rispondi
  • Luigi Porro
    02/04/2025 16:31

    Grazie mille.

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