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I viaggi di Pitea

di Marino
Calcinari

Pitea era nato nella comunità greca di Massilia e al termine della sua vita raccolse in molti papiri la memoria dei viaggi che aveva compiuto.
Forse si trattò di un unico, grande viaggio che però, valicate le colonne d’Ercole, lo avrebbe spinto molto lontano , a settentrione,  sulle onde di quel Mare Oceano che allora delimitava tutte le terre conosciute, e avendo acquisito le precedenti memorie dei periegeti, che come Ecateo avevano solcato non solo l’Egeo e il Mediterraneo ma anche il mare pontico, alla fine egli descrisse la sua peregrinazione in un ponderoso testo, il “Perì Okeanou”, andato perduto , e di cui oggi non restano che pochi frammenti, peraltro inseriti nelle pagine di altri storici come Plinio e Strabone, che almeno ebbero modo di leggerlo ai loro tempi e le note, importanti che esso conteneva.
Quale itinerario segui’Pitea? Forse  da Massilia, avrebbe potuto raggiungere e oltrepassare le Colonne d’Ercole, poi risalire la costa atlantica e giungere in Britannia, invece scelse l’itinerario terrestre. La ricostruzione dell’itinerario può essere solo congetturale, ma verosimilmente Pitea, si mise in cammino con una piccola scorta da Massilia procdendo in direzione nord ovest, seguendo il corso della Loira  fino alla foce di Corbilo (oggi Saint Nazaire). Qui comprò o affittò una barca dalla popolazione nativa e con un piccolo equipaggio costeggiò tutta l’isola, superò le Shetland e sbarcò in un punto imprecisato della costa norvegese. In Cornovaglia aveva avuto modo di visitare le miniere di stagno e le tecniche con cui il metallo veniva lavorato. Se memorizzasse o prendesse note scritte non sappiamo, ma certo si documentò e raccolse le informazioni nel miglior modo possibile per rendere edotti coloro sul cui mandato egli agiva. E, sappiamo che utilizzò quelle note per comporre il suo libro.
Forse si fermò in una isola delle Shetland, allora pressoché inabitate, e da lì aveva proseguito verso l’Ultima Thule dove poté osservare fenomeni naturali molto interessanti, d’inverno il giorno non durava più di tre ore,  e poco a nord dell’arcipelago il mare era come immerso in una profonda nebbia che ristagnava sulle onde…
Egli però considerava la costa dell’attuale Norvegia non come terraferma, ma come un’altra grande isola, e questa convinzione si sarebbe trascinata per secoli ; quindi dopo avere costeggiato le sponde orientali della Britannia si diresse verso sud ma all’altezza di Dover volse la prua ad Oriente verso i paesi dell’ambra (per cui dovette aver avuto modo di raccogliere informazioni utili) e con l’equipaggio, certo motivato da una ricompensa economica , costeggiò le rive scogliose della Germania. Qui forse si fermò nella zona del Grande estuario dell’Elba e potè commerciare con le tribù germaniche che allora abitavano quei territori, verosimilmente Eruli, Reudigni, Teutoni, Farodini, Sassoni e altre tribù minori ; in cambio di qualche minerale o attrezzo da lavoro quella gente gli dette viveri ed acqua per il viaggio. Forse in quella sosta lo collochiamo nelle Isole Frisoni, tra la Germania e l’attuale Danimarca. . Certamente non oltrepassò il Capo Skagen.
Aveva compreso e memorizzato la rotta per i paesi dell’ambra, e forse dell’oro.
Tornato a Massilia, allora, pote’  dare forma compiuta alle note raccolte e compose il libro che si è detto.

Ma quest’opera, purtroppo andò perduta e cio’ determinò un ritardo di secoli per riacquisire la conoscenza delle terre nordiche. Plinio il vecchio che forse quel libro ebbe modo di leggere scrisse ( cfr. L. XXXVII 11, 35), a proposito di un dettaglio geografico, l’importanza economica di alcuni territori remoti, ma utili a Roma, come quello, ad esempio, abitato dai Guioni e collocato sulle sponde di un estuario dell’Oceano di nome Metuonide per un’estensione di 6000 stadi; egli scriveva che a un giorno di navigazione si trovava l’isola di Abalo, ed in questo luogo,  durante la primavera giungeva l’ambra, trasportata dalle correnti, che era una secrezione del mare congelato; gli abitanti se ne servivano come legna per il fuoco e la vendevano ai vicini Teutoni.»

Pitea si diresse qindi verso il nord, volendo raggiungere quelle Isole Cassiteridi, le isole dello stagno dove si trovavano anche quei metalli preziosi che furono cagione della rovina di Tartesso .  Pare che lo stesso profeta Isaia – c’è un passo nella Bibbia-, molti secoli prima avesse previsto la rovina di quella città.  La storia invece racconta che Pitea partì da Massilia in un giorno del 325 a.C., e che quel viaggio gli fu commissionato ed organizzato da uomini d’affari, mercanti e possidenti della comunità greca. Ed egli aveva studiato per tempo sia le posizioni degli astri e in più aveva calcolato la latitudine della sua città, aveva poi svolto un accurato studio sulle maree ed aveva compreso, per primo, come esse fossero regolate dalla luna . In più egli sapeva parlare in diverse lingue e la “ mission” che gli era stata commissionata, nel massimo della segretezza, era molto impegnativa e richiedeva attenzione e cura .  Giungere in Albione (cioè in Britannia), esplorarne le coste, procedere oltre a nord, alla ricerca della Via dell’Oro e, ancora più a nord, per scoprire il giacimento dell’“oro profumato” cioè l’ambra. Ci sarebbe riuscito.

Marino Calcinari

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