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L’altro 8 maggio, in Algeria

di Sergio
Dalmasso

La Francia festeggia, l’8 maggio, la fine della seconda guerra mondiale.

Mai si parla, purtroppo, delle tragiche repressioni, che l’8 maggio 1945 e nei giorni immediatamente successivi l’esercito francese e milizie di civili hanno compiuto contro la popolazione civile della Algeria, colonia francese dal 1830 e sino al 1962, dopo una resistenza durata per otto anni.

8 maggio 1945, Guelma. La repressione è opera di milizie di civili europei, nate nella primavera, davanti al crescere di un forte sentimento nazionale nella popolazione algerina. Le cause sono molteplici: – la crescita di movimenti indipendentisti in tutti i paesi colonizzati (India, Indocina francese…) – la speranza che alla sconfitta del nazismo si accompagni un reale processo di trasformazione politica e sociale – la convinzione che gli ideali di libertà, democrazia ed eguaglianza predicati contro il nazismo valgano anche per i continenti extra europei, soprattutto per paesi che hanno dato militari agli eserciti che hanno combattuto la Germania.

La milizie francesi colpiscono la popolazione di Guelma e dei villaggi vicini, prendendo di mira soprattutto la fascia di popolazione più pericolosa, quella che ha un ruolo all’interno della comunità e potrebbe divenire riferimento per la popolazione tutta. A dirigere le operazioni di massacro è il sotto prefetto che sarà, anni dopo, dirigente del gruppo armato di estrema destra, OAS.

Lo stesso giorno, 10.000 manifestanti si radunano a SETIF, nord est del paese, per chiedere la propria liberazione, dopo la vittoria sul nazismo. La polizia aggredisce la folla per prendere una bandiera algerina e uccide colui che la sventola. Un furgone militare falcia altri manifestanti.

Muoiono nello scontro 23 europei e 35 algerini.

Il giornale “Oh partisan”, di un gruppo di resistenti comunisti, nell’agosto 1945 titola: Oradour sur Glane in Algeria, con un ovvio parallelo tra il massacro di Setif e il villaggio francese dove i nazisti hanno compiuto il maggiore massacro (10 aprile 1944, 643 morti).

Gli ordini alle truppe che presidiano il territorio è di bloccare sul nascere il movimento di protesta, per difendere l’impero e mantenere il ruolo di grande potenza a livelo europeo e mondiale.

La popolazione è mitragliata, le aree vicine a Setif sono bombardate dal cielo e dal mare. Villaggi kabili sono incendiati e rasi al suolo. Numerosissimi gli arresti, molte le esecuzioni sommarie.

Le operazioni militari durano a lungo. Le vittime si calcolano in un numero altissimo, tra le 20.000 e le 30.000 (102 i morti europei). E’ fortemente colpita anche la cittadina di Kherrata.

Occorre strangolare immediatamente la protesta, dare un esempio, ricorrere ad ogni mezzo per impedire che si allarghi.

E’ evidente la contraddizione che, nella storia francese, si riproporrà nel decennio successivo (generali anti nazisti condurrano la “battaglia di Algeri”, le torture, la distruzione, con il gas, di tanti villaggi): de Gaulle è a capo della resistenza francese, ma applica una concezione imperialistica e coloniale approvata dai partecipanti antinazisti alla Conferenza di Brazzaville (1944).

Tralasciando gli ultimi decenni, la Francia, tra il 1945 e il 1964, sarà costantemente impegnata  in operazioni militari in Asia e soprattutto in Africa.

I massacri compiuti in Africa sono stati taciuti ed omessi. Omesse le responsabilità politiche e militari di crimini contro l’umanità per fatti che costituiscono:

attentati volontari alla vita, torture, sparizioni forzate, persecuzioni di ogni gruppo o di ogni collettività identificabile per motivi di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso commessi in esecuzione di un piano concreto.

Alla criminale violenza dei fatti, si aggiunge, oggi, quella del silenzio.

La questione non tocca solamente la riflessione storica.

Se alcune potenze coloniali hanno riconosciuto, almeno formalmente, i crimini compiuti:

la Germania per la Namibia, La Gran Bretagna per il Kenia, l’Australia, la Nuova Zelanda, gli stessi Stati Uniti per le popolazioni autoctone

La Francia non ha mai avuto il coraggio di mettere in discussione il proprio passato.

Al contrario, la destra (non solamente quella estrema) critica i giudizi negativi verso il passato coloniale, chiede la modificazione dei libri di testo scolastici che ne fanno cenno, richiama gli aspetti positivi della presenza francese in Africa ed in Asia, capace di portare cultura, civilizzazione. E’ il richiamo ad un forte nazionalismo che fa leva sul senso comune, sulla volontà di non mettere in discussione il proprio passato ed i propri crimini. Si lega, oggettivamente, al suprematismo bianco e alla campagna contro la sostituzione etnica (le grand remplacement).

E’ innegabile l’aspetto politico che il tema assume, davanti alla reale possibilità che l’estrema destra lepenista e una destra sempre meno moderata e democratica assumano il potere, entro breve tempo, nel paese.

Il silenzio e la riabilitazione del criminale passato coloniale richiamano André Cesaire:

Prima di esserne stati vittime, si è stati complici del nazismo. Lo abbiamo sostenuto prima di subirlo, lo abbiamo assolto, abbiamo chiuso gli occhi su di lui, lo abbiamo legittimato perché per un tratto non si era rivolto che a popoli non europei.

Sergio Dalmasso

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