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Ora e sempre resistenza

di Marino
Calcinari

Sabato 12 aprile 2025 in Casa del Popolo di Ponziana a Trieste una iniziativa in preparazione del 25 aprile organizzata dal Partito di Rifondazione Comunista 

Lo sdoganamento dei fascismo non avviene per caso, ma sicuramente a Trieste allorquando nel 1998 un professore (di sinistra e del PDS) ed un ex studente (del FdG-MSI/An) dialogano, in modo affabile e conciliante sulla necessità di andare oltre le vetuste dicotomie o contrapposizoni ideologiche per affrontare in modo nuovo le problematiche dell’Europa post ‘89 e dopo la dissoluzione dei regimi del socialismo reale all’Est che si stavano consumando in quegli anni.
Contro ogni revisionismo o banalizzazione della tragedia che le politiche repressive, razziste e militariste che il fascismo aveva sviluppato allora Rifondazione Comunista organizzò domenica 1° marzo alla Stazione Marittima una assemblea aperta il cui argomento era espresso nel titolo che allora demmo a quella iniziativa: “ Contro le destre vecchie e nuove. Lavoro. Solidarietà. Convivenza. Ambiente “ cui partecipò tra gli altri l’on. Oliviero Diliberto, capogruppo del PRC alla Camera dei Deputati.
In quella sede denunciammo l’assoluta subalternità e quindi la funzionalità del CentroSinistra ed in particolare del PDS ad un progetto politico e sociale che allora colpiva direttamente gli interessi e le condizioni materiali di vita e di lavoro dei più deboli. Dopo la firma di Maastricht con cui si fondava l’Unione Europea nel 1993, sulle cosiddette “compatibilità economiche” da adottare la maggioranza politica impose vincoli e rigidità che ricadevano pressoché esclusivamente sul mondo del lavoro. Ma quella subalternità (attiva in sede europea ) del PDS, poi PD si traduceva, qui e nel paese, in fatti e scelte concrete, di accettazione del paradigma neoliberista ed alla cancellazione, con l’inizio delle privatizzazioni, di ogni più blanda forma di welfare. Il sostegno ad Illy, il dialogo con la Lega Nord però ancora non bastavano per entrare nelle grazie, o nella considerazione di quel ceto politico affaristico, non esclusivamente democristiano, e quindi accedere a posizioni di comando o responsabilità nella gestione della cosa pubblica. Trascrivo quanto scrivemmo allora e che mi sento di dovere ribadire oggi, in un contesto affatto diverso, ma il cui contesto originario lascia capire, in parte perché oggi un nuovo fascismo o Urfascismo abbia potuto ripresentarsi e come pochissimi se ne siano accorti. Forse perché c’ erano le condizioni e veramente qualcuno non ha visto cosa stava arrivando. Ma, per dirla con una espressione usata da Umberto Eco il fatto che il fascismo storico  non fosse completamente totalitario, non per la sua mitezza, ma piuttosto per la debolezza, ha tratto in inganno o disviato l’attenzione dell’opinione pubblica e quindi – aggiungendo il ruolo massivo dei social oggi nella comunicazione – sia stato possibile, ai neofascisti, stendere da un lato, un nero velo di Lete e di manipolazione della memoria,e come dall’altro la loro propaganda insista non a caso di parlare di “ricordi”. Allora, però, anziché opporsi o contrapporsi frontalmente al vecchio blocco di potere cittadino dc/confindustriale/massonico che aveva iniziato a trasformare le istituzioni in strumenti di demolizione dello stato sociale e nel deprimere o svilire gli istituti della partecipazione democratica per rendere le istituzioni impermeabili al conflitto sociale, il PDS alla ricerca spasmodica di una legittimazione, ritenne che per avere il via libera nell’omologazione che gli veniva chiesta avrebbe dovuto compiere dopo la Bolognina un altro passo indietro. Solo così gli sarebbe stata garantita l’accettazione nel nuovo assetto politico di governo della città, il PdS avrebbe dovuto rimuovere o disconoscere la sua stessa storia, l’ideologia e le radici culturali costitutive della sua realtà. La questione delle foibe diventava quindi merce di scambio e fondamento di quell’accordo costituente tra il Pds che poi prese forma in sede di Bicamerale Il 5 febbraio 1997 Massimo D’Alema, allora segretario PDS, era stato eletto Presidente con 52 voti su 70 con l’appoggio di Berlsusconi, Forza Italia e dei centristi del Polo. Confortato da molti volonterosi adepti del nuovo corso tra cui Massimo Brutti, cui si deve un pessimo intervento su FFAA e servizio di leva ma soprattutto nella comparazione tra foibe e olocausto, ignorando a piè pari che la ricerca storica e l’analisi politica avevano sviscerato a fondo la differenza tra due fatti drammatici ma che non stavano insieme in nessun modo, etc. D’ Alema ebbe la strada spianata verso il governo.E la Storia ? Non serviva più, ma noi ricordiamo, e sono questi gli anni della memoria in cui si deve rendere giustizia a chi ha combattuto per la democrazia e per la Repubblica e per ribadire la verità. La meticolosa organizzazione dell’olocausto, della “soluzione finale” da parte dei nazisti e dei loro servi fascisti che a Trieste aveva riempito la Risiera di San Sabba, come ad Auschwitz, a Dachau a Bergen Belsen,a Sobibor e a Terezin, nulla aveva a che fare con i pur gravi eccessi a cui gruppi o singoli si sono lasciati andare contro gli aguzzini ed i loro servi. Ma da subito ci fu chi volle utilizzare una lettura del contesto che stravolgeva la realtà dei fatti ed anziché consentire agli storici di poter fare il loro lavoro ed ai politici di adeguarsi al loro ruolo nella Repubblica parlamentare, dopo vent’ anni di dittatura, riprese forma una narrazione propagandistica e nazionalista in perfetta continuità con le aberranti tesi del nazionalismo fascista. Quindi a Trieste ci fu l’incontro Fini-Violante, il primo erede diretto dei ragazzi di Salò che avevano consegnato Trieste al III Reich e che con i tedeschi e i loro servi collaborarono a tenere acceso il forno crematorio della Risiera. Un brutto esempio di pessima politica, uno dei tanti che il PDS produsse allora, e perciò dobbiamo come allora, saper rispondere a queste falsificazioni, a comparazioni ignobili, ad analfabetismi di ritorno, a reagire con le sole armi che abbiamo, quelle dialettiche, della critica, dell’impegno sociale e civile, con la Costituzione che il paese ha conquistato con la lotta di Liberazione. Il 25 aprile nasce la Repubblica Italiana, Democratica e Antifascista, ma la lotta di Resistenza continua ancora oggi più determinata che mai contro il governo, le sue politiche antisociali, i decreti securitari, le pulsioni autoritarie, le inclinazioni e derive autocratiche.

Ora e sempre resistenza

L’iniziativa in Casa del Popolo a Ponziana con Alessandra Kersevan, storica e Franco Cecotti della segreteria dell’ANPI, organizzata dal PRC ha ribadito la necessità di continuare sulla strada della chiarezza, della corretta lettura degli avvenimenti storici di quel periodo che precedette l’insurrezione del 30 aprile, di come erano organizzati i resistenti ed in quale contesto essi agissero. Il fatto che tutta la regione Friuli Venezia Giulia e Istria fossero state annesse al Terzo Reich testimoniava della subalternità, attiva e complice dei fascisti italiani ai nazisti tedeschi.
I relatori, nei loro interventi hanno evidenziato come la controversa vicenda del Confine orientale non abbia saputo, o potuto evolvere in una affermazione delle forze di progresso che avevano combattuto per la libertà, a cominciare dallo stesso CLN e come mai a distanza di anni ci sia controversia sulle modalità con cui ebbe luogo la liberazione dall’occupazione tedesca e perché si citi sempre più spesso la data del 13 giugno anziché quella del 1 maggio 1945, il giorno in cui le truppe del IX Korpus dell’Armata Popolare di liberazione, insieme a quelle di Unità Operaia, ridussero all’impotenza quanto restava degli occupatori tedeschi, dopo che il 30 aprile il CLN triestino si era sollevato in città. Su questa vicenda il resoconto dello storico Galliano Fogar, membro del Partito d’Azione, è quanto mai preziosa e va ricordata. Il 12 giugno quindi, dopo che Stalin aveva convinto Tito a non insistere, le truppo jugoslave si ritirarono da Trieste e subentrarono quelle alleate (neozelandesi e inglesi). La storica Alessandra Kersevan, sulla falsariga di quanto espresso dal segretario dell’ANPI, poneva alla platea dei presenti una domanda non retorica, come mai si sia arrivati oggi, a questo punto, con il paese con un presidente del Consiglio, ed una maggioranza politica che esprime una politica di aperta rivalutazione di quel periodo storico che ripropone non solo attraverso il revisionismo, che era cominciato già all’indomani del 1945, ma con fatti concreti, di omissione e revisionismo, di rivalutazione del fascismo, non escluso quello più sanguinario e torbido che si tradusse nella strategia della tensione praticata negli anni ‘60 e ‘70, e che ora viene tradotto in “rovescismo” storico. Ma qui, come abbiamo scritto prima siamo già negli anni 90 e tutto era chiaro già allora, per chi avesse voluto vedere, e il caso di Gianpaolo Pansa fa da apripista a questa contronarrazione, con le “memorie” elevate a saggio storico e la non menzione che il “giorno del ricordo” era stato già istituto dai fascisti il 30 gennaio 1944, che nella RSI avevano deciso per una celebrazione dei “martiri della barbarie comunista”. Ecco cosa scriveva il Corriere della Sera del 20 gennaio di quell’anno: “Per disposizione del Duce il 30 gennaio le Federazioni fasciste repubblicane promuoveranno la celebrazione dei nostri Caduti In Istria e Dalmazia nella lotta contro il comunismo partigiano. Messe solenni di suffragio e rievocazioni celebrative, affidate a comitati, consacreranno il perenne ricordo dei Martiri al vindice spirito di riscossa delle nostre schiere e di tutto il popolo.”  E dopo Pansa, che scriveva nel 2003 possiamo citare anche altri autori che si inserirono in questo filone, fino all’ultimo, Tomaso Piffer che parla di “sangue sulla resistenza” e accusa i partigiani comunisti, che lottavano contro i tedeschi e la X MAS, e che erano alleati e combattenti riconosciuti dalla Resistenza internazionale antifascista e che a differenza di altre forze politiche e miltarmente organizzate allora, non avevano pregiudizi ideologici o etnici, di efferatezze e barbarie. Paola Del Din, viceversa, ex partigiana democristiana, era figlia di Prospero Del Din che faceva parte della “Organizzazione O”, che operò in funzione anticomunista dal 1946 al 1956 e che fu sciolta allorquando l’Esercito Italiano ritenne di aver raggiunto una buona efficienza operativa sulla linea di difesa del confine orientale e fu in quell’anno che il Governo italiano e lo Stato Maggiore della Difesa firmarono l’accordo NATO per l’Organizzazione Gladio. Lo stesso Galliano Fogar, militante del Partito d’ Azione, dovette ricredersi sull’affidabilità e le opinioni di chi allora fece quella scelta, che giudicava non solo antidemocratica ma razzista e si rammaricò per quanto, e come, la storiografia, soprattutto quella ufficiale e cattedratica, osasse semplificare e si impegnò contro i revisionismi e le banalizzazioni. Ricordava altresì come il CLNAI, il comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia conoscesse bene la situazione di Trieste e appoggiasse la compartecipazione tra italiani e le formazioni partigiane della resistenza jugoslava, ricordando come la Resistenza, allora in Europa, fosse una sola ed era internazionalista. Ricordiamocene ora, ricordiamo che come allora si lottava per far finire una guerra scatenata da fascisti adesso dobbiamo impedire che un’altra si scateni. Fermiamo il piano di riarmo europeo che vorrebbe sottrarre 800mld di euro ai servizi sociali, alla salute, all’educazione,al lavoro agli enti locali,ai beni comuni, alla cooperazione internazionale alla transizione ecologica, fermiamo la guerra in Ucraina, fermiamo il massacro a Gaza. Nei giorni che vanno dal 7 al 10 maggio, in cui si celebra anche gli 80 anni della fine della seconda guerra mondiale in Europa aderiamo, sosteniamo e prepariamo una iniziativa unitaria contro il riarmo e le politiche neoliberiste della UE che producono sfruttamento e povertà. Il tempo è ora.

Marino Calcinari

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