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La governance del semestre europeo e la manovra 2018

di Paola
Boffo

di Paola Boffo – La manovra economica del Governo italiano si innesta, come previsto dai trattati dell’Unione Europea, nella cosiddetta governance del Semestre europeo per il coordinamento delle politiche di bilancio nazionali nell’UE, finalizzato a garantire finanze pubbliche sane, che sarebbero necessarie per assicurare la stabilità dei prezzi e promuovere una crescita forte e sostenibile che favorisca la creazione di posti di lavoro.

Facciamo qualche passo indietro per contestualizzare, richiamando il quadro normativo in cui ci si muove (1) e riportando alcuni degli elementi delle analisi compiute dall’UE sull’economia italiana (2) e sulla situazione delle sue finanze (3), e le conseguenti Raccomandazioni (4) presentate nel luglio scorso.

(1)Sin dal 1992 il Trattato di Maastricht richiede agli Stati membri dell’Unione europea il rispetto di due regole di bilancio[1], un rapporto indebitamento netto/PIL inferiore al 3 per cento e un rapporto debito/PIL inferiore al 60 per cento, o comunque tendente a questo.

Con il Patto di stabilità e crescita (PSC), sottoscritto nel 1997, la governance europea si struttura maggiormente, costituendo il principale fondamento giuridico della regolamentazione delle politiche di bilancio, ai sensi dell’articolo 121 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea[2](TFUE) (sorveglianza multilaterale) e dell’articolo 126 TFUE (procedura per i disavanzi eccessivi). Esso si articola in un c.d. braccio preventivo (preventive arm)[3]e in un c.d. braccio correttivo (corrective arm)[4]. Con revisioni successive, prima nel 2005, poi nel 2011 con il c.d. six pack e nel 2012 con il c.d. two pack, l’Unione ha stabilito con maggiore dettaglio il modo con cui le norme previste dal Trattato debbano essere attuate, definendo obiettivi e procedure delle regole di bilancio richieste agli Stati membri. In particolare, con la riforma del 2015 viene introdotto un ulteriore parametro, l’Obiettivo di Medio Termine (OMT), valore che varia da paese a paese e che corrisponde ad un risultato di bilancio tale garantire un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento del PIL stabilito dal Trattato e assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche. Per gli Stati membri dell’area dell’euro l’OMT deve essere specificato – secondo le modalità introdotte nel codice di condotta – entro un intervallo compreso tra -1 per cento del PIL e il pareggio, o il surplus. I paesi dell’area dell’euro firmatari del Fiscal Compact si sono impegnati al contenimento dell’OMT al di sopra di -0,5 per cento del PIL, a meno che il rapporto debito/PIL non sia al di sotto del 60 per cento e ci siano bassi rischi per la sostenibilità delle finanze pubbliche.

Il braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita mira ad assicurare, attraverso la definizione di procedure di sorveglianza (cioè di una vigilanza ex ante dei parametri di riferimento delle politiche stesse) che gli Stati membri seguano politiche di bilancio sostenibili nel medio periodo. Le procedure previste nell’ambito del braccio preventivo dovrebbero assicurare che i limiti previsti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (3 per cento del PIL per il deficit e 60 per cento per il debito) non siano oltrepassati nel corso di un normale ciclo economico.

Le procedure e la tempistica di azione della sorveglianza sono definite nell’ambito del c.d. Semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche. Vengono, in particolare, definite le scadenze per la presentazione dei Programmi di Stabilità (PdS) e dei Programmi nazionali di riforma (PNR). I PdS sono documenti alla base della sorveglianza multilaterale delle posizioni di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche, la cui funzione principale è quella di consentire alla Commissione e al Consiglio di valutare la corrispondenza della politica di bilancio degli Stati membri con gli obiettivi di medio termine, nonché il rispetto del processo di convergenza e della regola sulla spesa. I PNR sono documenti che descrivono le politiche di riforma che gli Stati membri dell’UE intendono adottare per promuovere la crescita e l’occupazione.

Entrambi i documenti devono essere presentati annualmente entro la prima metà del mese di aprile.

(2) Il 7 marzo 2018è stata pubblicata la relazione per paese relativa all’Italia 2018, nella quale sono valutati i progressi compiuti dall’Italia nel dar seguito alle raccomandazioni specifiche per paese adottate dal Consiglio l’11 luglio 2017 (4), il seguito dato alle raccomandazioni specifiche per paese adottate negli anni precedenti e i progressi verso il conseguimento degli obiettivi nazionali di Europa 2020.

La relazione per paese comprende altresì l’esame approfondito a norma dell’articolo 5 del regolamento (UE) n. 1176/2011, i cui risultati sono stati pubblicati lo stesso 7 marzo 2018. L’analisi ha portato la Commissione a concludere che l’Italia presenta squilibri macroeconomici eccessivi. In particolare, l’elevato debito pubblico e la dinamica ancora debole della produttività comportano rischi di rilevanza transfrontaliera, in un quadro caratterizzato da un volume di crediti deteriorati elevato, ma in calo, e da un tasso di disoccupazione alto, seppure in via di diminuzione. Risulta particolarmente importante la necessità di agire per ridurre il rischio di ripercussioni negative sull’economia italiana e, date le sue dimensioni e la sua rilevanza transfrontaliera, sull’Unione economica e monetaria.

L’Italia è attualmente nel braccio preventivo[5]del patto di stabilità e crescita ed è soggetta alla regola del debito. Il programma di stabilità 2018 presentato dal governo uscente è basato su un quadro tendenziale, nell’ipotesi di politiche invariate, in base al quale il disavanzo nominale sarebbe migliorato, passando dal 2,3 % del PIL nel 2017 all’1,6 % nel 2018 e allo 0,8 % nel 2019, raggiungendo una posizione di sostanziale equilibrio entro il 2020. L’obiettivo di bilancio a medio termine, ossia il pareggio di bilancio in termini strutturali, dovrebbe essere raggiunto entro il 2020 e mantenuto nel 2021. Secondo il programma di stabilità 2018, dopo il lieve calo registrato nel 2017 (dal 132,0 % del PIL nel 2016 al 131,8 %) il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe continuare a scendere di un punto percentuale del PIL dal 130,8 nel 2018 per attestarsi al 122,0 % nel 2021, anche grazie a proventi delle privatizzazioni pari allo 0,3 % all’anno per il periodo 2018-2020. Nell’ipotesi di politiche invariate, le previsioni di primavera 2018 della Commissione prospettavano una crescita del PIL reale più bassa e un disavanzo più elevato per il 2019 rispetto a quanto previsto nel programma di stabilità 2018. Infatti, le previsioni della Commissione non comprendono l’aumento dell’IVA (0,7 % del PIL) previsto per legge come «clausola di salvaguardia» per conseguire gli obiettivi di bilancio nel 2019.

(3) A causa della non conformità dell’Italia alla regola del debito nel 2016 e nel 2017, come evidenziata da una prima analisi, il 23 maggio 2018la Commissione ha pubblicato una relazione preparata a norma dell’articolo 126, paragrafo 3, TFUE. Sulla base dell’esame di tutti i fattori pertinenti, la relazione concludeva che il criterio del debito stabilito dal trattato e dal regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio (3) al momento debba essere ritenuto soddisfatto e che l’avvio di una procedura per i disavanzi eccessivi non fosse pertanto giustificato, soprattutto in considerazione della conformità ex post dell’Italia con il braccio preventivo nel 2017.

Si rilevava pure che, a politiche invariate, vi è un rischio di deviazione significativa nel 2019 e nel biennio 2018-2019, e che l’Italia non soddisferà la regola del debito nel 2018 e nel 2019. Inoltre, un elevato rapporto debito pubblico/PIL attorno al 130 % del PIL implica che ingenti risorse devono essere destinate a coprire il servizio del debito, a scapito di voci aventi un maggiore effetto di stimolo della crescita, tra cui l’istruzione, l’innovazione e le infrastrutture.

Nel complesso, il Consiglio è del parere che a partire dal 2018 l’Italia debba adottare i necessari provvedimenti per conformarsi alle disposizioni del patto di stabilità e crescita. L’impiego di eventuali entrate straordinarie per ridurre ulteriormente il rapporto debito pubblico/PIL rappresenterebbe una risposta prudente.

(4) Secondo l’analisi UE la spesa pubblica dell’Italia per le pensioni di vecchiaia, attestandosi attorno al 15% del PIL, è attualmente tra le più elevate dell’Unione. Le passività implicite derivanti dall’invecchiamento demografico sono state limitate dalle passate riforme del sistema pensionistico, migliorando la sostenibilità a lungo termine dell’Italia anche mediante il progressivo adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita. Tuttavia, i bilanci 2017 e 2018 contengono disposizioni che segnano una parziale inversione di rotta rispetto a tali riforme. Gli ultrasessantacinquenni in Italia rappresentano una quota di popolazione superiore alla media dell’Unione e destinata a crescere ulteriormente nel tempo, con un conseguente peggioramento dell’indice di dipendenza degli anziani. Di conseguenza, la spesa pensionistica è destinata ad aumentare a medio termine. L’elevato peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica impone anche un contenimento delle altre spese sociali, incluse quelle finalizzate alla lotta contro la povertà, e di elementi di spesa a favore della crescita, come l’istruzione, il cui peso in percentuale della spesa pubblica è andato riducendosi sin dai primi anni 2000. Nel rispetto dei principi di equità e proporzionalità, si potrebbero conseguire risparmi consistenti intervenendo su pensioni di importo elevato che non corrispondono ai contributi versati.

Il sistema fiscale italiano grava molto su capitale e lavoro, con effetti negativi sulla crescita economica. Nonostante la recente estensione di incentivi fiscali mirati, la pressione fiscale sui fattori di produzione è ancora tra le più alte dell’Unione, con effetti negativi su investimenti e occupazione. Vi sono margini per ridurre tale pressione senza gravare sul bilancio dello Stato, trasferendo il carico fiscale verso imposte meno penalizzanti per la crescita, come quelle sul patrimonio e sui consumi. L’imposta patrimoniale ricorrente sulla prima casa è stata abrogata nel 2015, anche per i nuclei familiari più abbienti. Inoltre, i valori catastali sono in gran parte non aggiornati ed è ancora in itinere la riforma tesa ad allinearli ai valori di mercato correnti. Il numero e l’entità delle agevolazioni fiscali, in particolare per le aliquote ridotte dell’imposta sul valore aggiunto, sono particolarmente elevati e la loro razionalizzazione è stata rinviata, sebbene fosse prevista dalla normativa nazionale. Vi è inoltre margine per ridurre l’onere sulle imprese e le famiglie in regola, riducendo la complessità del regime tributario e aumentando il livello complessivo di adempimento degli obblighi fiscali. L’Istituto nazionale di statistica italiano stima che l’economia sommersa ammonti circa al 12,6 % del PIL nel 2015, ma non sono previste azioni strategiche per affrontare questo problema. Il 15,9 % circa dell’occupazione totale è parzialmente o completamente non dichiarato, con picchi prossimi al 50 % in alcuni settori.

Durante la crisi gli investimenti hanno subito un forte calo e non sono ancora tornati ai volumi del 2007. Nonostante l’aumento registrato nel 2017, il livello degli investimenti è ancora basso rispetto a quello di altri paesi dell’Unione. Gli investimenti privati sono particolarmente bassi, a causa di fattori strutturali. Tra questi figurano un contesto imprenditoriale meno favorevole, i vincoli di carattere finanziario connessi a un mercato dei capitali non adeguatamente sviluppato, le condizioni restrittive per i crediti bancari e la penuria di lavoratori altamente qualificati dovuta, tra gli altri motivi, alla fuga dei cervelli e alle scarse possibilità di formazione continua. Attività immateriali, come ricerca e sviluppo, innovazione e formazione dei lavoratori, sono fondamentali per la produttività e la crescita economica e possono contribuire a spiegare le differenze di produttività tra paesi. Tuttavia, gli investimenti in questo tipo di attività rimangono al di sotto della media dell’Unione a causa del gran numero di microimprese, della mancanza di specializzazione in settori ad alta intensità di conoscenza, del basso tasso di digitalizzazione e di competenze digitali limitate. Al tempo stesso, la spesa pubblica complessiva in ricerca e sviluppo è stata ridotta. Il finanziamento delle piccole e medie imprese continua a essere fortemente dipendente dal settore bancario e l’erogazione di crediti rimane modesta, nonostante costi di finanziamento a livelli storicamente bassi. Vi sono inoltre importanti differenze regionali in termini di investimenti in ricerca e sviluppo, di capacità di avvalersi della recente politica di incentivazione per le imprese innovative e di qualità dell’istruzione. Sulla base dell’attuale valutazione dei risultati delle diverse misure settoriali stabilite nell’ambito delle iniziative «Finanza per la crescita» e «Industria/Impresa 4.0», sembrerebbe opportuno creare una strategia di lungo periodo a sostegno degli investimenti, che sia in grado di rafforzare i diversi fattori che sostengono l’innovazione, tra cui la disponibilità di credito, una solida base per la ricerca, l’istruzione superiore e competenze adeguate. Parrebbe analogamente opportuno prendere in considerazione le differenze esistenti, a livello regionale, nel sistema industriale e nel sistema dell’istruzione.

Sulla base di queste considerazioni il Consiglio ha raccomandato che l’Italia adotti provvedimenti nel 2018 e nel 2019 al fine di:

  1. Assicurare che il tasso di crescita nominale della spesa pubblica primaria netta non superi lo 0,1% nel 2019, corrispondente a un aggiustamento strutturale annuo dello 0,6 % del PIL. Utilizzare entrate straordinarie per accelerare la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL. Spostare la pressione fiscale dal lavoro, in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati. Intensificare gli sforzi per ridurre l’economia sommersa, in particolare potenziando i pagamenti elettronici obbligatori mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti. Ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica al fine di creare margini per l’altra spesa sociale.
  2. Ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio razionalizzando e facendo rispettare le norme di disciplina procedurale, incluse quelle già prese in considerazione dal legislatore. Aumentare l’efficacia della prevenzione e repressione della corruzione riducendo la durata dei processi penali e attuando il nuovo quadro anticorruzione. Assicurare il rispetto del nuovo quadro normativo per le imprese di proprietà pubblica e accrescere l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici locali. Affrontare le restrizioni alla concorrenza, in particolare nel settore dei servizi, anche mediante una nuova legge annuale sulla concorrenza.
  3. Mantenere il ritmo della riduzione dell’elevato stock di crediti deteriorati e sostenere ulteriori misure di ristrutturazione e risanamento dei bilanci delle banche, anche per gli istituti di piccole e medie dimensioni, e attuare tempestivamente la riforma in materia di insolvenza. Migliorare l’accesso delle imprese ai mercati finanziari.
  4. Accelerare l’attuazione della riforma delle politiche attive del lavoro per garantire parità di accesso a servizi di assistenza nella ricerca di lavoro e alla formazione. Incoraggiare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso una strategia globale, razionalizzando le politiche di sostegno alle famiglie ed estendendo la copertura delle strutture di assistenza all’infanzia. Promuovere la ricerca, l’innovazione, le competenze digitali e le infrastrutture mediante investimenti meglio mirati e accrescere la partecipazione all’istruzione terziaria professionalizzante.

La raccomandazione rivolta all’Italia sull’aggiustamento richiesto ai sensi del Patto di Stabilità e Crescita, è stata, come per tutti gli altri Stati Membri, approvata all’unanimità dal Consiglio europeo del 28 giugno 2018 e adottata dal Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, compresa l’Italia, il 13 luglio 2018.

 

[1]In generale per regola di bilancio o regola fiscale si intende un vincolo permanente sulla politica di bilancio che assume la forma di limiti numerici relativi a specifici aggregati del bilancio.

[2]Il Trattato di funzionamento dell’unione europea (TFUE), entrato in vigore il 1 dicembre 2009, nasce dalla modifica del trattato che costituisce la Comunità europea.

[3]Regolamento (CE) N. 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.

[4]Regolamento (CE) N. 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi

[5]Il braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita (PSC) è stato introdotto per rafforzare la disciplina di bilancio negli Stati membri. La principale ragione per cui l’Unione europea intende salvaguardare la disciplina e la stabilità sta nel fatto che una crisi di bilancio in uno degli Stati membri potrebbe ripercuotersi sugli altri. Il regolamento sul braccio preventivo del 1997 (n. 1466/97), dopo le modifiche del 2005 e 2011, impone ora agli Stati membri di far progredire i saldi strutturali, ossia i saldi nominali corretti per fattori ciclici e misure una tantum, verso gli obiettivi specifici per paese denominati “obiettivi a medio termine” (OMT) che, per la maggior parte dei paesi sono fissati tra lo 0,5 % e -1 % del prodotto interno lordo (PIL). Ciò dovrebbe impedire ai disavanzi nominali degli Stati membri di superare il tetto del 3 % del PIL stabilito dal trattato. Aspetto più importante, dovrebbe anche garantire, entro un tempo ragionevole, la convergenza del rapporto debito/PIL dei paesi fortemente indebitati verso il limite del 60 % stabilito dal trattato.