di Roberto Morea –
Il primo 25 aprile che mi ricordo è stato molto tempo fa quando ancora quindicenne andai ad un comizio in una piazza del quartiere dove vivevo in una, allora come oggi, periferia della mia città. Era un comizio all’aperto di quelli che ormai si vedono solo nei film storici, in cui il senso della politica era quella della partecipazione in piazza. A parlare, tra gli altri, c’era qualcuno che non mi aspettavo di sentire, era Ruggero Orlando. Quello che per televisione pochi mesi prima aveva annunciato il primo passo dell’uomo sulla luna e che, con la sua inconfondibile voce ci raccontava delle vicende politiche americane chiudendo ogni collegamento con qui New York a voi Roma.
Per me sentire la sua voce era sentirmi a casa e, sebbene in età non tanto matura, riconoscevo la competenza e la professionalità dei suoi interventi e restai ad ascoltare incantato in una piazza gremita, le parole scandite con passione e consapevolezza.
Il 25 Aprile non è la data di qualcun* è la data di tutti, questa frase che allora era ovvia e senza possibilità di essere smentita, oggi viene contraddetta dalle più alte cariche dello Stato. Intendiamoci non ho mai pensato che la liberazione dal fascismo sia stata veramente festeggiata da tutti allo stesso modo, ma mai avrei pensato che le istituzioni stesse contraddicessero i principi costituzionali su cui si fondono.
Ma come è possibile, dopo che il 4 dicembre del 2017 la Costituzione fu difesa da una ondata di affetto e gratitudine, si arrivi oggi a smentire con i fatti quel fondamento giuridico ed etico su cui si giura nel momento di assumere la carica di Ministro?
Certo non succede tutto in un colpo solo, “bisogna farne di strada per diventare così coglioni, da non capire…” mi verrebbe da continuare “che non esistono fascisti buoni”. Certo il paese e la sua coscienza profonda ne ha fatta di strada, ma forse non è proprio così. Non è proprio vero che siamo diventati ciechi e sordi di fronte a chi “festeggia a Corleone” esiste un popolo che si riconosce ancora con quella lotta di liberazione che ci ha consegnato la possibilità e la responsabilità della nostra libertà.
Per questo mi viene in mente un altro e diverso artista il quale, rivolgendosi ad un inqualificabile spettatore che dal suo posto in galleria interrompeva, probabilmente con una felpa dedicata, disse: “ io non ce l’ho con te … ce l’ho con quello che ti è seduto vicino e non ti ha ancora buttato di sotto”. Ecco io mi sento così, ma non da ora, da quando passo dopo passo un pubblico sempre meno attento, ha lasciato che chi sedeva vicino dicesse e facesse.
Devo dire che non mi aspetto, anche se mi piacerebbe, che chi è preposto alla difesa della costituzione intervenga per dire parole di (buon) senso per riportare ministri e sottoministri al loro ruolo e al senso dello Stato a cui sono preposti. Mi aspetto invece di riportare la gente, un tempo si sarebbe detto “le masse” in un luogo che non dista molto da Corleone, luogo scelto dal ministro degli interni per “festeggiare” il 25 Aprile insieme a chi combatte la criminalità organizzata tutti i giorni.
Il luogo a cui faccio riferimento è questo si simbolo della lotta alla mafia in cui più credo. Il posto si chiama Portella della Ginestra, lì è luogo in cui lotta di liberazione e lotta alla mafia si fondono in un inesauribile fonte di eterna giovinezza.
Non mi aspetto di trovarci ministri né alte cariche dello Stato, mi aspetto di trovarci (simbolicamente) tutti gli uomini e tutte le donne che come me sentono ancora il peso e la responsabilità di dare a figli e nipoti il senso di quella enorme vittoria che fu il 25 Aprile.
Roberto Morea