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Hanno resistito

di Luciano
Beolchi

Molti palestinesi diranno: io c’ero. Con sentimenti diversi, opposti, persino. Molti, persino troppi, fuori dalla Palestina, diranno di essersi schierati contro la strage, di averla riconosciuta da subito come tale e di aver capito presto che si trattava di un genocidio. Questo più di tante sottili disquisizioni ci fa dire chi ha vinto e chi ha perso fin qui questo conflitto, che di sicuro continua.

Si cerca di capire che strada prenderà a questo punto dell’orrenda strage. Hamas è sopravvissuto moltiplicando i suoi aderenti e sostenitori nel mondo.
Pochi saranno, tra i poco eroici soldati di Israele, quelli che si faranno un vanto di esserci stati e anche solo riconosceranno di aver incoraggiato la strage. Negheranno, mentiranno perché a nessuno piace essere riconosciuto come soldato di un esercito sterminatore. E inoltre, questo esercito, i suoi capi e i suoi soldati, sono accusati di genocidio e nei prossimi anni, nei prossimi decenni vivranno nella paura di essere identificati come responsabili o quanto meno come testimoni e dovranno contestare le testimonianze di centinaia di migliaia di testimoni superstiti. Perciò mentiranno, negheranno e si pentiranno di aver fatto circolare le loro fotografie, di aver comprovato, loro per primi, le nefandezze di cui tanto allegramente si erano fatti protagonisti.
Loro e i loro ufficiali, quelli che hanno disseminato la campagna genocidaria di regole d’ingaggio feroci e assassine. E sarà tutto un rincorrersi di “io ho ubbidito agli ordini”.
Il punto è, in una campagna genocidaria, che si eseguono gli ordini anche più feroci non per la paura delle punizioni – statisticamente irrilevanti di fronte alla gravità del delitto collettivo – ma per non essere esclusi dal gruppo – e in questo caso non è solo dal gruppo militare, ma da larga parte della popolazione di Israele. Sottrarsi a quello che fanno tutti, vuol dire affrontare l’ostracismo, l’ignominia, l’obbligo, se si vuole essere coerenti, di denunciare i compagni e i superiori, diventando “il traditore”. È quanto è già successo in Algeria e in Vietnam, per non dire nello sterminio programmato durante la campagna di Russia del 1941-1945; e il meccanismo è così forte che in Vietnam a commettere le atrocità erano soprattutto i soldati di prima linea; e tra loro quelli che al loro paese erano discriminati e brutalizzati; il “gruppo” era più forte della solidarietà tra gli oppressi.
Non avranno vita facile neanche i politici che hanno sconfessato la Giustizia Internazionale dichiarando che erano pronti ad accogliere Nethanyahu e Gallant – ma non certo i palestinesi inseguiti dallo stesso mandato di cattura internazionale; e già questa discriminazione dice quanto sia pretestuoso l’attacco di polacchi e ungheresi alla pretesa faziosità della giustizia internazionale: di cui si stracciano le sentenze, ma solo per quella metà che riguarda i loro amici.
Loro e quelli che la pensano come loro si dichiarano ufficialmente e politicamente favoreggiatori di criminali ricercati ed è un’etichetta che si stampano da soli sulla fronte, tutta gente che sostiene che la libertà politica si arresta dove comincia anche la più piccola violenza, quando si tratta di reprimere pacifiche manifestazioni di qualche gruppetto di quindicenni. E ora fanno scudo a dei super criminali, o per lo meno indagati come tali, quando 50 milioni di tonnellate di macerie sono lì a domandare una spiegazione. Quelli che vorrebbero mandare in galera anche chi si siede per terra come forma pacifica di protesta e poi si danno da fare per proteggere criminali sospettati di voler sterminare un intero popolo.
L’esercito di Israele ci ha raccontato che a Gaza c’è stata una sola battaglia, quella del 7 ottobre 2023 Questo ha pubblicato sul numero di giugno 2024 di Le Monde Diplomatique1 riferendolo a fonti israeliane e non è mai stato smentito da alcuno: nella battaglia del 7 ottobre ci sono stati 1143 vittime israeliane (767 civili e 376 militari) e oltre 1600 palestinesi uccisi sul campo. Cifre che ci parlano di una battaglia e non di una strage di innocenti, a seguito di un attacco di sorpresa da parte palestinese come Israele ne ha condotti centinaia nel corso dei decenni, Il resto è stato solo strage di una città inerme. Ora la parte che ha dovuto fare un piccolo passo indietro a Gaza, ha nelle sue mani tutta la Cisgiordania.
Israele si era candidato per gestire a modo suo la pacificazione della Striscia, assumendo direttamente e nelle forme violente e ricattatorie che ci ha dato modo di conoscere, la distribuzione di acqua e cibo ai superstiti, ma c’è un piccolo “ma” ed è che Hamas non è stato distrutto, a prescindere dal numero ingente delle perdite; e non è stato distrutto non perché hanno costruito più tunnel del previsto, ma perché non ha perso il sostegno del suo popolo, pure in questa prova difficilissima; e l’idea di sostituire il più brutale esercito del mondo con poco più di una forza di polizia, esporrebbe questa forza a una guerriglia micidiale. Da maggio ad oggi, pur in una situazione tremenda, quella guerriglia è costata allo Tsahal 122 morti. Si può immaginare quando si dovesse confrontare con un Hamas decuplicato ed allestire dei punti di distribuzione di cibo e acqua nel quale dovessero passare ogni giorno due milioni di persone.
Potrebbe farlo, si dice, affidando il compito all’ANP e ad Al Fatah, ma Al Fatah non gode di immunità per concessione divina. Ogni rappresaglia coloniale ha visto una parte consistente della popolazione passare dalla parte del nemico: in Algeria furono gli Harkis, i collaborazionisti algerini dell’esercito francese: cinque volte più numerosi dei mujahid dell’FLN, così come l’esercito francese era dieci volte più numeroso degli insorti; eppure non hanno vinto loro.
Lo stesso è successo in Vietnam, dove gli americani avevano fatto dell’esercito vietnamita uno degli eserciti più potenti e meglio armati del mondo, sgominato nel giro di pochi giorni quando gli americani decisero di scappare. La stessa cosa accadde in Afghanistan, dove non ci volle qualche settimana per spazzare via un esercito cui gli alleati NATO avevano lasciato quantità inverosimile di armi: bastarono due giorni.
Non ci auguriamo certo una guerra civile tra palestinesi, ma è un’eventualità possibile e la responsabilità sarebbe tutta di Al Fatah che si sta offrendo come polizia mercenaria e collaborazionista al servizio dell’occupante, con 247 arresti di resistenti all’occupazione solo nell’ultimo mese. Meglio sarebbe che i suoi membri disertassero finché sono in tempo.
Visto che la pratica di Gaza non si risolveva, ma neanche creava troppi fastidi Netanyahu e Trump hanno deciso di concedere una tregua – niente più di una fragile tregua – in cambio della restituzione di ostaggi, pronti a romperla quando gli ostaggi saranno restituiti o anche prima; e nel frattempo puntano le loro armi sulla Cisgiordania.
Se a Gaza è stato commesso un genocidio, questo è ancora poco rispetto alle sorti che si stanno preparando per la Cisgiordania occupata; e allora, per prima cosa, bisogna togliere ogni patente di democrazia a quanti ripetono come un mantra salvifico: due popoli, due stati. E fingono di non accorgersi che dal 1967 ad oggi, 700.000 ebrei sotto la protezione dell’esercito e degli USA, si sono fortificati in Cisgiordania, rubando terre, strade e acqua, costruendo su quel povero martoriato territorio, grande come un quarto della Lombardia, centinaia di chilometri di muri, migliaia di postazioni militari. E ogni atto di difesa del popolo nativo sarà preso come un buon pretesto dalla stampa occidentale per una politica che è persino insufficiente chiamare apartheid, perché è pura e semplice pulizia etnica.
Chi parla della soluzione due popoli, due stati oggi copre e maschera l’unico obiettivo che, nelle condizioni date, rientra tra quelli perseguiti dalla maggioranza degli israeliani e da tutti i loro governi: l’espulsione di due milioni di palestinesi, diventati apolidi, dalla Cisgiordania. E’ con questo fatto che si deve confrontare anche la sinistra docile e comprensiva nei confronti dell’orrenda strage. Continuerà a sottoscrivere supinamente la lista dei terroristi stilata dai sionisti; o si deciderà a riflettere se Hamas, il FPLP, il FDPLP, come l’FLN algerino e quello vietnamita a suo tempo, fanno parte o meno del fronte di liberazione dei popoli dal colonialismo, come già pensa la maggior parte dei popoli medesimi? Intanto, un’intera generazione di studenti medi e universitari si è aperta alla politica militante, protestando contro la violenza prevaricatrice del sionismo e per i diritti della Palestina e dei popoli oppressi. Questa è una grande cosa.
L’Occidente ha dimostrato infinite volte di avere più fede nelle proprie armi e nei propri soldati che nella resistenza dei popoli e anche se non tutto è sempre andato per il verso giusto, quella ipotesi non ha retto e presto qualcuno dovrà rispondere politicamente anche delle centinaia di migliaia di morti ucraini in una guerra che doveva finire due anni fa, alle stesse condizioni, e che anzi non avrebbe mai dovuto iniziare.
Hanno resistito e la resistenza non è solo la morte eroica del combattente; è anche la disperazione, il pianto, il terrore, la solitudine del superstite. Ma hanno resistito. I vivi e i morti. Hanno resistito e nessuno, quale che siano stati i suoi sentimenti diversi e magari opposti, dovrà mai vergognarsi di essere stato tra le vittime di Gaza.
Dovranno vergognarsi gli altri, gli assassini e negli anni a venire, tra gli artisti, i professionisti, i ricercatori, gli studenti e i manager israeliani che frequentano i ricchi paesi occidentali, nessuno avrà il coraggio di dire: sì, io c’ero, facevo parte dell’esercito sterminatore.
Anzi no, qualcuno ci sarà, ma c’era anche qualcuno, come Jean-Marie Le Pen che si vantava di essere stato torturatore in Algeria, aggiungendo, a scanso di equivoci: lo facevano tutti, due milioni di francesi in divisa e non. Ci sono quelli che l’hanno chiamata guerra di Gaza, ma di battaglia a Gaza c’è stata solo quella del 7 ottobre.
Si dirà che tacciono per pudore. Senso di colpa. Ma anche per omertà e occultamento di colpa vera, magari autocertificata e avranno dalla parte loro tutto quello che difendono i criminali in divisa in qualsiasi parte del mondo, quelli che buttano via la chiave, quelli che i sospetti bisogna arrestarli, specie se su di loro pende un mandato di cattura… oops!
Un solo 11 settembre può essere un ricordo straziante; cosa possono essere cinquecento 11 settembre di seguito?  Il puzzo dei cadaveri, di macerie, di merda non si dimentica e vi perseguiterà e molti di voi si ammaleranno della malattia di cui qualcuno tra voi conosce il nome, la PWSS Post War Stress Syndrome: ma per aver qualche speranza di curarla bisogna ammettere, riconoscere quello che si è fatto, altrimenti si allungherà la catena di suicidi che furono migliaia dopo il Vietnam. Oppure, come accadde ai reduci dal Vietnam, si diventa tossicodipendenti o si finisce in prigione, o tutte e tre le cose insieme: un terzo di reduci del Vietnam finirono in galera perché la loro società non li riconosceva e non li voleva più. Del resto, chi vuole per amico o per vicino di casa uno spietato assassino?
Viaggiare per il mondo diventerà difficile; e poi inevitabilmente qualcuno finirà per parlare. Magari solo per dire che lui o lei non c’erano. E voi gli direte “bugiardo, spia, venduto e traditore”. Che lui non c’era, dirà, ma c’era un altro, tutti lo sapevano che segnava sul calcio del suo fucile di precisione il numero dei bersagli che si erano sporti da una finestra, che erano corsi a prendere l’acqua, che avevano attraversato una strada, che si erano seduti per terra senza averne il permesso.

Noi oggi non li conosciamo, ma li conosceremo i nomi dei vostri comandanti, della vostra brigata, della vostra unità. Di chi dava gli ordini e di chi li eseguiva in questa mostruosità che avete voluto chiamare guerra e che era solo un massacro quotidiano di civili.
Tutto questo non perché lo dice chi scrive questo articolo. Lo ha raccontato, a proposito di un’altra guerra di massacri, un mezzo negro, come direste voi, un mezzo negro che non conoscete e che si chiamava Frantz Fanon. E le torture di anziani, di ragazzi, di bambini e bambine? Nella guerra di Algeria si disse che dei due milioni di bianchi che avevano indossato le divise francesi in terra algerina, non ve ne era uno che non avesse partecipato a torture, per praticarle o solo per assistervi. Ci sono migliaia di testimonianze francesi e algerine che lo raccontano.
Naturalmente ci sono unità specializzate per queste operazioni, si chiamano unità d’intelligence. Noi non conosciamo i loro nomi, ma li conosceremo, come conosceremo i nomi dei loro capi, come si sono conosciuti quelli della prigione di Abu Ghraib.  La forze del popolo è irresistibile e il popolo è immortale. Lo ha scritto un ebreo sovietico e comunista, di quelli che non vi hanno fatto conoscere. E conosceremo i nomi di quelli che hanno completato l’opera in quei luoghi di tortura che chiamate carceri: Sde Teiman è uno di quei nomi che cominciamo a conoscere.
Ce li diranno le migliaia di bambini, ragazzi e ragazze che la resistenza vi ha costretto a liberare. Qualcuno dei torturatori è già noto persino ai vostri organi di giustizia, di solito così sordi e ciechi. Rischia una censura, una ramanzina, ma il mondo della giustizia non si esaurisce in quei complici mercenari del genocidio che scimmiottano una democrazia legale.
Quelli che hanno gridato che a Gaza non serviranno più le scuole, perché non ci saranno più bambini, dovranno smentire, dire ai loro figli e a loro stessi che loro non c’entrano, che non sono stati loro. Coloro che ridevano a veder passare quei camion carichi di uomini incappucciati, di ombre non già più umane, condotte verso un destino atroce, diranno di non averli visti, di non aver riso, di non avere sfregiato i morti e i vivi, ma ci sono migliaia e milioni di fotografie che li smentiscono.
Molte di quelle le dobbiamo ai duecento e passa reporter, operatori, fotografi e giornalisti, cui avete dato una caccia spietata. Chi ha dato gli ordini di compiere quel consapevole genocidio collaterale che doveva completare la sistematica soppressione di oltre mille medici e sanitari, degli insegnanti, degli intellettuali, che dovevano scomparire perché la Palestina dimenticasse la propria identità, perché il mondo non sapesse? E ora? Resta lo slogan Israele criminale, Palestina immortale.
Non doveva andare così, ma così è andata. Vi siete offesi perché milioni di persone hanno gridato – e milioni di ragazzi – “Dal fiume al mare”, lo gridavate anche voi, del resto; ma, francamente, chi vorrebbe vivere al vostro fianco dopo aver dimostrato quello di cui siete capaci?

Tutti vi temono e molti vi combattono. Siete ancora sicuri che la guerra porti alla pace? O la guerra porta solo a un’altra guerra, più feroce e spietata della precedente? E siete sicuri che a voi tocchi sempre la parte del vincitore?
Sfileranno le truppe vincitrici in mezzo ad ali di popolo festante? Sarebbe un piacere vedere le facce vostre e dei vostri comandanti, ma probabilmente molti rinunceranno alla sfilata, si daranno malati, accuseranno altri impegni e saranno solo i più fessi a sfilare. Avete dato fuoco alla gente, alle case, alle tende. Cosa pensavate di distruggere in quell’orgia di perversione? Gli arabi, come li chiamate, sono ancora lì. Avete cancellato la parola, avete decimato i testimoni, ma i testimoni a carico finirete per essere voi stessi: per quello che avete visto e per quello che avete fatto.
Gli autori del più spregevole massacro antisemita dei tempi moderni, lo sterminio di quelli la cui unica colpa collettiva era di essere semiti palestinesi. È per questo che si chiama genocidio e ne dovete collettivamente rispondere.
Loro hanno resistito e Gaza rinascerà come memoria di tutta l’umanità; un grido solenne di tutti i cercatori di pace e una condanna per tutti i criminali di guerra. Davvero siete così stolti che volete installare le vostre colonie in mezzo a due milioni di martiri? O è, come pensano molti, un’operazione di distrazione rispetto al bersaglio grosso che è la cacciata di tutti i palestinesi dalla Cisgiordania, preambolo allo sterminio di quelli che vi hanno costretto a ospitare a casa vostra e a dargli anche la cittadinanza del vostro stato ebraico?
Avete portato via un camion di ragazzi e di giovani e avete restituito camion di cadaveri senza un nome, un’indicazione. E anche questo, lo sapete bene, è un delitto dei più gravi, nel momento in cui un prigioniero è nelle vostre mani: chi li ha uccisi, chi ha partecipato alla profanazione dei morti, chi ha caricato quei camion, chi ha dato quegli ordini?
Quei cadaveri e mille molti altri continueranno a perseguitarvi e spunteranno fuori anche se avete provato a seppellirli sotto cinquanta milioni di tonnellate di macerie, per quanto possibile accuratamente spianate. Delitti su delitti, colpe su colpe.
Quelle seicento e passa colonie ficcate nel cuore stesso della Cisgiordania stanno chiedendo e pretendono una cosa molto banale: la continuità territoriale. Come si può negargliela? E naturalmente la continuità territoriale con lo stato d’Israele. Quelle che resteranno in mezzo saranno tante piccole Gaza da cui non si potrà entrare e non si potrà uscire. Delle riserve indiane, dei Bantustan, che spetterà alla comunità internazionale di nutrire, mentre Israele e l’ANP dovrebbero garantirne la sicurezza interna, che saranno i palestinesi a dover pagare, come è prassi per tutte le forze di occupazione. E tutto ciò che si venderà nei Bantustan, servizi e merci, sarà solo israeliano. E israeliane le banche, le tesorerie, l’anagrafe, il rilascio di documenti, i permessi di lavoro e di studio, tutta una partita da risolversi rigorosamente in ebraico.
Avete anche voi i vostri ammiratori. E chi non ne ha? Le vostre fotografie, le vostre armi e divise affiancheranno quelle delle SS Totenkopf sugli altarini virtuali e materiali dei nazisti e fascisti europei e americani, qualche principe inglese farà lo spiritoso con addosso la vostra divisa. Fino a quando?

Luciano Beolchi

  1. L’articolo di Gilbert Achzar è a pag. 18.[]
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