Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più «dirigente», ma unicamente «dominante», detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. (A. Gramsci, Q3, § 34, p. 311)
1. Le parole e le cose
Giorgia Meloni ha dichiarato di essere del tutto d’accordo con la proposta di riarmo europeo promossa da Ursula Von der Leyen (che essa infatti ha convintamente votato) ma di avere qualcosa da ridire sul nome dell’operazione (da 800 miliardi), infatti “riarmo” potrebbe suonare sgradevole per i cittadini italiani costretti a fare i conti coi tagli alla sanità, all’istruzione, ai salari e alle pensioni. Così invece di ReArm Europe il riarmo dell’Europa ora si chiamerà Readiness (prontezza).
Nella surreale affermazione di Meloni c’è qualcosa di importante su cui riflettere: nella politica del capitalismo contemporaneo, una cosa sbagliata (e forse orrenda) si può fare ma non si deve dire. D’altronde basta avere il controllo dei mass media perché questa contraddizione non rappresenti alcun problema. Nella tradizionale attitudine alla menzogna della politica, il nesso fra la parola e la cosa è rotto, e nel cinismo di massa che caratterizza questa epoca le parole non hanno più alcun rapporto con la realtà. Già Bertolt Brecht aveva scritto:
Quando chi sta in alto parla di pace,
la gente comune sa
che ci sarà la guerra.
Quando chi sta in alto maledice la guerra
le cartoline precetto sono già state compilate.
Tuttavia anche questo rivendicato primato di non dire la realtà di ciò che si sta facendo può essere superato: è infatti possibile non dire nulla, anzi dire il nulla.
È quanto ha fatto “Repubblica” pubblicando in prima pagina (!) il 28 febbraio 2025 un appello del nulla, intitolato “Una piazza per l’Europa”, a firma Michele Serra: “Una grande manifestazione di cittadini per l’Europa, la sua unità e la sua libertà. Con zero bandiere di partito, solo bandiere europee1. Qualcosa che dica, con la sintesi a volte implacabile degli slogan: ‘Qui o si fa l’Europa o si muore’”.
Si potrebbe solo aggiungere a queste trite ovvietà che di mamma ce n’è una sola e che non ci sono più le mezze stagioni. Anche l’allusione finale al ‘Qui o si fa l’Italia o si muore’ di Garibaldi fa parte delle trite ovvietà: chi mai può parlare male di Garibaldi?
Prosegue il serriano appello del nulla:
Penso che una manifestazione di sole bandiere europee, che abbia come unico obiettivo (non importa quanto alla portata: conta la visione, conta il valore) la libertà e l’unità dei popoli europei, avrebbe un significato profondo e rasserenante per chi la fa, e si sentirebbe meno solo e meno impotente di fronte agli eventi. E sarebbe un segnale non trascurabile, forse addirittura un segnale importante, per chi poi maneggia le agende politiche; e non potrebbe ignorare che in campo c’è anche un’identità europea ‘dal basso’ [su questo carattere ‘dal basso’ dell’organizzazione dell’evento di piazza del Popolo torneremo fra poco, NdR], un progetto politico innovativo e rivoluzionario che non si rivolge al passato, ma parla del domani. Parla dei figli e dei nipoti.
Tuttavia è lo stesso Serra ad ammettere che il suo appello del nulla parli in realtà di difesa europea e cioè di guerra; tornando sul tema il 5 marzo sullo stesso quotidiano, scrive:
Europa, cosa difendiamo difendendoci [evviva! ma dunque si sta parlando di difesa europea] Tuteliamo la pace e la tolleranza, prima di tutto, perché l’intera architettura europea è concepita per questo. I diritti, il multilinguismo [sic!] la libertà religiosa, l’inclusione, la separazione dei poteri.
Tutto è ben nascosto da Michele Serra sotto una coltre di stupidità, di certo apparente ma tuttavia apertamente rivendicata. In piazza del Popolo il 15 marzo Serra ha avuto il coraggio di dire:
Ai politici presenti in piazza, che ringrazio di cuore, e a quelli che non ci sono, che rispetto, ho solo un piccolo rilievo da fare: siete troppo intelligenti. Cercate, per favore, di essere un po’ più stupidi, come questa piazza che non ha fatto calcoli, che non sa esattamente cosa si deve fare, ma cerca di farlo lo stesso.
Certo, quanto a stupidità non è poca cosa fare, anzi chiamare a fare, qualcosa che non si sa cosa sia. Ma è evidente che l’appello del nulla non fa appello all’intelligenza, né a quella dei “politici” né a quella dei convenuti in piazza. L’appello del nulla di Michele Serra fa appello a qualcos’altro che non è l’intelligenza e – come cercheremo di capire – è proprio questo che lo rende così pericoloso, perché piazza del Popolo 15 marzo 2025 è in realtà un solenne inizio, l’inizio di qualcosa assai importante, addirittura l’entrata in guerra dell’Italia.
Mutatis mutandis il 15 marzo 2025 somiglia al 24 maggio 1915, la data che segnò la vittoria dell’interventismo e l’ingresso in guerra dell’Italia nella Prima guerra mondiale: allora era la borghesia nazionalista pre-fascista2 aizzata dagli studenti interventisti, oggi è la melma del consenso di massa alla NATO e all’europeismo armato aizzata dai mass media monopolizzati dal capitale finanziario. Molte, naturalmente, le diversità ma identico e spaventoso è l’esito: l’esito è la guerra e il consenso passivo alla guerra, un esito che va combattuto prima che sia troppo tardi.
2. L’appello del nulla è un appello per la guerra
Ecco allora perché occorre criticare un appello apparentemente tanto innocuo come quello “del nulla” e una manifestazione che assicura di essere “rasserenante per chi la fa” e che – addirittura – farebbe sentire chi vi partecipa “meno solo e meno impotente”.
Un primo elemento di perplessità (se non si vuol dire di sospetto) consiste nel fatto che “Repubblica” il giornale (anzi: il giornale-partito) che convoca la manifestazione, assumendo come front man il grazioso Michele Serra, è stato ed è il giornale della guerra, il più deciso, il più oltranzista, il più feroce sostenitore della guerra e, in modo particolare, della strage dei Palestinesi ad opera di Israele. Il proprietario di questo giornale è la Exor (John Elkann) azionista della fabbrica d’armi italiana Fincantieri-Leonardo. Coincidenze.
La perplessità diventa rifiuto, anzi indignazione, se si considera cosa l’appello di Serra non dice, e il momento politico dell’Europa in cui si inserisce.
L’appello del nulla non dice nulla della necessità di sostenere un compromesso di pace in Ucraina, e ciò proprio nel momento in cui qualche prospettiva di pace si intravede. Anzi, la singolare riscoperta dell’antiamericanismo da parte di coloro che hanno sempre battuto servilmente le mani allo zio Sam, fa pensare che non sia affatto gradita di Trump proprio la proposta di una trattativa. Ma soprattutto l’appello del nulla non dice nulla della guerra di sterminio che prosegue a Gaza e in Palestina, aggiungendo ora agli oltre 50.000 morti civili anche la privazione di elettricità, di acqua e di cibo per i gazawi. Di fronte a una tragedia di tali proporzioni che si svolge nei nostri giorni e sotto i nostri occhi, non dire nulla significa essere complici. Chi tace acconsente. La storia giudicherà duramente questo silenzio, ancora peggiore di quello di Pio XII, e condannerà chi si è girato da un’altra parte e ha fatto finta di non vedere il massacro.
In che momento storico-politico dell’Europa l’appello del nulla si colloca? Ebbene per l’Europa questi non sono affatto tempi normali, al contrario sono il tempo di una svolta storica che consiste nella decisione dei vertici europei di procedere a un massiccio riarmo, 800 miliardi di euro, tutti a debito che (questi sì!) parlano “del domani (…) dei figli e dei nipoti” (per dirla con le parole dell’appello del nulla), perché saranno loro, i figli e i nipoti, a pagare questo enorme debito.
Qual è dunque il Piano di riarmo proposto dall’ex ministro della Difesa della Germania Ursula von der Leyen e votato al Parlamento europeo3?
Vediamo solo alcuni punti cruciali di quel piano4: al punto 7 “Ribadisce il suo impegno a favore della formula di pace e del piano di pace presentato dal presidente ucraino Zelensky: ritiene che si tratti di un piano completo (…) che richiede il completo ripristino dell’unità territoriale dell’Ucraina, l’attribuzione di responsabilità per i crimini di guerra e il crimine di aggressione, il pagamento di risarcimenti da parte della Russia per gli ingenti danni causati in Ucraina, il fatto che i responsabili siano chiamati a rispondere pienamente”. Al punto 16 “accoglie con favore le conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 6 marzo 2025 e il relativo sostegno a un rapido rafforzamento della difesa europea attraverso il piano ReArmEurope“. Al punto 21 chiede l’ammissione dell’Ucraina nella NATO. Infine “esprime sgomento per quanto riguarda la politica dell’amministrazione statunitense di riappacificarsi con la Russia”.
Come si vede si sostiene né più né meno la vittoria militare dell’Ucraina di Zelensky e la sconfitta sul campo della Russia di Putin, benché i fatti dell’esito attuale della guerra proclamino esattamente il contrario; si ribadiscono tutti i punti che hanno portato alla guerra, come il “completo ripristino dell’unità territoriale dell’Ucraina”, cioè comprese le repubbliche del Donbass fatte oggetto dal 2014 al 2022 di una guerra interna da parte del regime di Kiev contro i russofoni (che prima dell’invasione russa ha fatto 14.000 morti), e compresa la Crimea, che ha da tempo votato con oltre il 90% dei consensi l’annessione alla Russia; da notare – come prova di irresponsabile arroganza – la richiesta di processare Putin (come furono processati Milosevic e Saddam Hussein? o Gheddafi?5) e di fare pagare alla Russia i danni di guerra, ma soprattutto la richiesta di fare entrare l’Ucraina nella NATO; infine si noti la condanna (“lo sgomento”) per ogni cambio della politica americana, che da concausa e principale promotrice della guerra rischia di diventare sostenitrice di un compromesso di pace con la Russia.
Dunque si ribadisce la scelta dei Governi europei (la stessa che li ha portati ad armare l’Ucraina) per la vittoria militare dell’Ucraina e la sconfitta militare della Russia come unico esito possibile, ed auspicato, di quella guerra, una scelta folle e irrealizzabile, se non nella prospettiva di una guerra nucleare. Una scelta politica che ha danneggiato anzitutto l’economia europea (le “auto-sanzioni”) impedendole di attingere alle economiche fonti energetiche russe a vantaggio di quelle statunitensi peggiori e più costose. Soprattutto è una politica che ha impedito all’Europa di svolgere la sua naturale funzione di mediazione fra Ovest ed Est, cioè la rinuncia a qualsiasi iniziativa diplomatica di pace; anzi quando la pace si prospettava poche settimane dopo l’inizio della guerra il premier britannico6 Johnson è corso a Kiev per dettare il suo niet, e quando qualche leader europeo come il tedesco Scholz ha tentato di telefonare a Putin è stato prontamente bacchettato.
Chiamare a schierarsi “per l’Europa” di fronte a queste decisioni, senza una sola parola di critica, negli stessi giorni in cui i vertici europei (eletti da nessuno) le assumevano ha significato una cosa sola: schierarsi per quelle decisioni, sostenere di fatto il riarmo e la guerra.
“Il resto è silenzio”, ma questo silenzio è fatto di ipocrisia.
3. Convincere della guerra: il nemico
Per fare la guerra occorre convincere l’opinione pubblica della guerra, anzi della sua necessità. È stato così nella Prima Guerra mondiale, in cui in Italia l'”interventismo” ha svolto un ruolo decisivo7.
Nell’immaginario reazionario esisteva già un nemico bell’e fatto, l’Unione Sovietica, e bastava dunque recuperarlo, senza troppe modifiche. È l’usato sicuro. Poco conta che Putin sia anticomunista, che anzi abbia accusato Lenin e l’Ottobre di aver impedito – con l’inopportuna Rivoluzione d’Ottobre – la vittoria delle gloriose truppe dello zar nella Prima guerra mondiale e, nello specifico, non importa che Putin abbia rimproverato a Lenin anche “l’invenzione” dell’Ucraina come Stato indipendente. Tutti i più vieti luoghi comuni dell’odio anticomunista sono stati ora resuscitati, non ultima l’idea del carattere “asiatico” della Russia che rende quel grande paese irrazionale e pericoloso come un orso impazzito. E non interessa che la Russia non ci abbia mai invasi, mentre noi “buoni” italiani abbiamo partecipato più volte all’invasione della Russia, come parte della “grande Armata” di Napoleone, nella guerra di Crimea di Cavour, con la coalizione controrivoluzionaria europea dopo la rivoluzione d’Ottobre, e infine con l’ARMIR, al seguito di Hitler nel 1942-43. Il terrore diffuso dalla propaganda di papa Pacelli per i cosacchi che avrebbero abbeverato i loro cavalli nelle fontane di piazza S. Pietro è stato recuperato dall’immondezzaio della storia e fatto funzionare ancora.
Nonostante non ci sia un solo elemento razionale (geo-politico, militare, economico etc.) che sostenga l’idea di una Russia protesa alla conquista militare dell’Europa, tuttavia le narrazioni deliranti in merito all’aggressività russa, che se non fosse stata fermata in Ucraina avrebbe conquistato tutta l’Europa fino… al Portogallo, hanno riempito ossessivamente i mass media del mainstream. Eppure fino a pochi anni or sono “Repubblica” pubblicava, dietro lauto finanziamento, un supplemento “Russia Today” che celebrava le meraviglie della Russia di Putin.
Costoro non hanno memoria, e soprattutto non hanno né pudore né senso del ridicolo.
4. Convincere della guerra: “noi” contro “loro” (il razzismo culturale)
Dunque il nulla dell’appello di Serra e della sua piazza non è affatto innocuo. Dietro fa capolino la vecchia bestia del nazionalismo, ora declinato come nazionalismo europeo occidentale, perché il nazionalismo è da sempre l’ingrediente indispensabile per la guerra e il riarmo, e adesso per convincere le masse della necessità di destinare 800 miliardi di euro all’acquisto di armi (che per la maggior parte compreremo dagli USA e da Israele).
Nel nazionalismo c’è, oggi come ieri, un insopportabile fondo di razzismo. Il razzismo è sempre la vera base di ogni nazionalismo.
Per convincersene basta considerare cosa hanno detto fra gli applausi nella piazza del nulla due degli intellettuali di riferimento, Scurati e Vecchioni (ma altri interventi sono stati ancora peggiori).
Antonio Scurati si è lasciato andare a una contrapposizione fra “noi” (buoni) e “gli altri” (no) in un discorso definito “intervento perfetto” da un post di Enrico Mentana8. Quell’intervento lascia davvero basiti, perché francamente non ne azzecca una, cioè nessuna delle esclusive di “bontà” che attribuisce a noi europei buoni corrisponde a verità.
Vediamole una per una: “Non siamo gente che invade paesi confinanti, non siamo gente che rade al suolo le città”: Scurati scorda il bombardamento di Belgrado iniziato il 24 marzo del 1999 e durato 78 giorni (2.500 morti civili, di cui 89 bambini, 12.500 feriti, senza contare i morti per leucemie e altri tumori causati dall’uranio impoverito); a quel massacro, privo di qualsiasi legittimità ONU, partecipò il I Governo D’Alema (21/10/1998-22/12/1999) con vice-presidente Mattarella9.
Continua Scurati: “Non massacriamo e torturiamo i civili con gusto sadico”: forse non lo facciamo noi (e Genova 2001? La Questura di Verona? Il carcere di S. Maria Capua Vetere? etc.), ma di certo lo fanno dei libici che (da Minniti in poi) noi paghiamo e armiamo proprio affinché blocchino con mezzi feroci i migranti diretti in Italia.
“Non deportiamo bambini per usarli come riscatto”. Vedi punto precedente.
E ancora: “Non siamo gente che deporta clandestini in catene a favore di telecamera”: no, noi siamo gente che più semplicemente li fa morire in mare. In occasione del 3 ottobre 202410 la Fondazione ISMU ETS ha fatto presente che, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM), si contavano a quella data almeno 1.452 morti nel Mediterraneo, con una proiezione a fine 2024 di poco inferiore a 2.000. Nel decennio dal 2014 al 2023 hanno perso la vita in questo modo almeno 29.000 persone. Una guerra, la più vile delle guerre contro i più poveri del mondo.
“Non tagliamo finanziamenti ad associazioni umanitarie”: no, facciamo di peggio, cioè mettiamo fuorilegge e perseguitiamo le associazioni umanitarie più attive per la salvezza dei migranti in mare.
“Non neghiamo la scienza”: ma definanziamo sistematicamente la Ricerca e l’Università pubblica, portandole al collasso, magari per destinare quei fondi al riarmo.
“Non umiliamo in mondovisione il leader di un paese che combatte per la propria sopravvivenza”: sarà, ma Milosevic è stato fatto morire in carcere senza condanna nel 2006, nel 2011 Gheddafi fu strangolato, e – si dice – stuprato dopo l’intervento armato francese (complice l’Italia), nel 2013 Saddam Hussein fu impiccato dopo un processo-farsa, etc.
“Non vogliamo essere così. Lo abbiamo fatto, fino a 80 anni fa, – conclude Scurati cioè grosso modo fino al 1944 – ma proprio per questo abbiamo smesso”. Abbiamo smesso? Ma poiché si parla di Europa non si può passare sotto silenzio l’orrore plurisecolare del colonialismo europeo (a cui anche l’Italia partecipò), le guerre, le invasioni, gli stermini, le stragi, la schiavitù, il razzismo che rappresentano tanta parte della storia dell’Europa, e anche della sua ricchezza.
La domanda da porsi è la seguente: come può un intellettuale come Scurati (che io considero fra i massimi narratori italiani) bendarsi gli occhi di fronte agli orrori italiani e europei e affermare con tanta sicumera la superiorità morale dell’Italia e dell’Europa sul resto del mondo?
C’è una sola risposta possibile: esclusa in questo caso l’ignoranza11, resta solo l’interiorizzazione del suprematismo “bianco”, di una differenza radicale, ontologica, fra “noi” e “loro”, a noi (europei, bianchi, dominanti) si perdona tutto, semplicemente perché loro non sono esseri umani. Si spiega solo così anche l’assordante silenzio degli oratori di piazza del Popolo sul massacro in atto a Gaza e in Palestina. Questo silenzio complice sarebbe impensabile se i palestinesi fossero come noi, cioè europei e “bianchi”.
Anche l’incredibile apologia del carattere “guerriero” che Scurati rimpiange fa parte di questa ideologia. Lamenta Scurati che siamo diventati “imbelli”, incapaci di mettere in gioco la nostra vita nella guerra come i veri uomini sapevano fare, insomma vigliacchi, un apparato concettuale iper-maschilista a conferma che il maschilismo è parte essenziale della guerra.
È un neo-razzismo12 che definirei “culturale”, se razzismo e cultura potessero andare insieme. Ne abbiamo avuto, sempre a piazza del Popolo il 15 marzo, un esempio nell’intervento di Roberto Vecchioni, tanto più significativo proprio perché accompagnato dalla bonomia rassicurante del personaggio. Ha detto in piazza, e senza arrossire, Vecchioni:
Ora chiudete gli occhi e ascoltate questi nomi: Socrate, Spinoza, Cartesio, Hegel, Marx, Shakespeare, Cervantes, Pirandello, Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?
E ancora, rivolto ai giovani – per rafforzare il significato guerresco delle sue affermazioni – ha aggiunto:
Siate convinti che non esiste corrispondenza tra pace e pacifismo. Non si può accettare qualsiasi pace. Pacifisti siamo noi perché teniamo alla nostra cultura. La cultura dovrebbe finire qui perché la cultura dovrebbe essere nostra e basta, anzi, è nostra.
Ma la cultura è tale proprio perché appartiene a tutti e a tutte, non è affatto “nostra” né può esserlo mai, giacché essa nasce dalla critica, dall’incontro, dalla contaminazione e dallo scambio, ed è sempre stato così. Come si può isolare dall’Oriente (anzi: contrapporre ad esso) la cultura greca, la matematica, la medicina, l’astronomia, la letteratura dell’Europa? Le piramidi non sono cultura? Tolomeo ha insegnato geografia e scienza per molti secoli al mondo compreso l’Occidente. Né la scrittura alfabetica né la numerazione decimale furono inventate a Parigi. La biblioteca di Alessandria non era in Piemonte, né la grande cultura ellenistica parlava inglese. I filosofi greci sono arrivati in Europa non recta via da Atene a Roma ma passando per i traduttori arabi, a loro volta poi tradotti in latino, Aristotele sarebbe forse per noi sconosciuto senza Averroè, e basterebbe leggere l’elenco degli “spiriti magni” nel canto IV (vv.142-144) della Divina Commedia (che Vecchioni in quanto professore dovrebbe avere insegnato per anni):
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
Averoìs che ’l gran comento feo.
L’umanesimo e il Rinascimento nascono sulla base dei saperi e delle persone che vennero da Bisanzio (cioè da Istanbul), dopo la caduta dell’Impero romano di Oriente nel 1453 (un impero, quello d’Oriente, che – non lo si dimentichi – durò per un millennio dopo la fine di quello d’Occidente13).
Ed è un prodotto dell’Europa di Vecchioni il cristianesimo? Gesù di Nazareth non è nato in Brianza, e San Paolo, il vero fondatore del cristianesimo, era un rabbino ebreo nato Tarso nell’Est dell’attuale Turchia. La cultura ebraica è riducibile all’Europa? Sant’Agostino era un africano, vescovo di Ippona (oggi Annaba in Algeria) e nato ancora più a Sud a Tagaste (dunque con ogni probabilità non era di carnagione rosea). Questo elenco sarebbe troppo lungo, e certamente inutile, né Vecchioni considera le grandi culture asiatiche, indiana e cinese, o quelle indigene dell’America, da cui non abbiamo mai smesso di imparare, ma per i razzisti culturali è come se tutto ciò non fosse esistito. All’elenco eurocentrico dei tanti che la pensano come Vecchioni manca il mondo, né più né meno.
Nell’elenco, un po’ fazioso e un po’ infantile, di autori proposto da Vecchioni (tutti maschi, bianchi, morti) mancano Maometto e Maimonide, mancano Confucio e Gandhi, mancano Budda e Malcom X, etc. La feconda contaminazione delle culture del mondo vale naturalmente anche per le letterature: mancano, forse per la colpa di non essere europei, Borges, Garcia Marquez, Philip Roth, Emily Dickinson, Toni Morrison e Katherine Mansfield, e manca la giapponese Murasaki Shikibu l’autrice di quello che forse è il più antico romanzo del mondo Genji Monogatari (XI secolo).
Mancano naturalmente Tolstoj e Dostoevskji, giacché (come si ricorderà) questi autori russi sono stati proibiti anche da noi (come nell’Ucraina di Zelensky) assieme alle musiche russe e alla partecipazione dei gatti russi alle mostre feline internazionali.
Nella sua ministeriale ignoranza il Ministro Valditara ha dichiarato: “L’impero romano distrutto dagli immigrati”…
Il poveretto non sospetta neanche che i migranti non hanno distrutto l’impero di Roma ma, al contrario, l’hanno costruito e governato per secoli. A cominciare dal mitico fondatore Enea che era un profugo di guerra venuto dall’Asia (Minniti e Piantedosi l’avrebbero respinto in mare, Meloni l’avrebbe deportato in Albania): l’imperatore Claudio nacque a Lione (come nascerà a Lione Caracalla), Traiano nacque in Spagna come Adriano, Settimio Severo a Leptis Magna (Libia), Alessandro Severo in Libano, Massimino detto il Trace (la Tracia è fra la Bulgaria e la Grecia) sembra che non mise neanche mai piede a Roma, gli imperatori Gordiani venivano dalla Frigia (Anatolia), Marco Giulio Filippo imperatore con suo figlio dal 244 al 249 fu detto – chissà perché? – Filippo l’Arabo, Claudio II detto (chissà perché?) il Gotico veniva da Sirmia in Illiria, e la lunga serie degli imperatori Illiri arriva fino a Diocleziano (imperatore dal 284 al 311), Costantino veniva da Naissus, cioè oggi sarebbe un serbo, e la lista degli imperatori (e anche dei papi) non trasteverini è, con buona pace di Valditara, infinita.
L’argomento propagandistico della destra (e non solo) contro la cosiddetta “sostituzione etnica” rivela fino in fondo il carattere razzista di cui parliamo: il concetto di “sostituzione etnica” unisce infatti in sé un massimo di stupidità e un massimo di razzismo, giacché presuppone che esista e sia da difendere una pura “etnia” italica, la quale però non esiste e non è mai esistita. Solo il fascistissimo e criminale “Manifesto della razza” del 1938 poteva scrivere le seguenti panzane:
Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola (…) Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione (…) I quarantaquattro milioni d’Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio (…) Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome14.
La verità storica è il contrario di queste balle: gli italiani sono da sempre il risultato di mescolanze di popolazioni, dovute agli scambi commerciali e all’emigrazione/immigrazione non meno che alle invasioni, e a tali mescolanze si sommano da sempre altre diversità, ciò che rende i Sardi diversi/uguali dai Veneti, i Siciliani diversi/uguali dai Piemontesi e così via. Basta guardarci reciprocamente in faccia e interrogare i nostri cognomi per convincersene. L’Italia è questa mescolanza continua di popoli e culture a cui è legata – se posso dirlo – anche intelligenza e bellezza. E questa mescolanza benedetta che è l’Italia continuerà. Si rassegni il presidente lombardo, il legaiolo Attilio Fontana15: se il suo DNA non andrà naturalmente estinto (come, per difendere la sanità lombarda, alcuni malnati potrebbero auspicare) i suoi nipotini e le sue nipotine avranno la pelle, i capelli e la forma degli occhi diversi dai suoi (e certamente, non è difficile, saranno più belli/e e più intelligenti di lui).
Al contrario di quanto credono i nostri piccoli Goebbels, la grandezza di Roma, la gloria di Roma, è consistita proprio nella capacità di assimilare, di accogliere e fare incontrare persone, corpi, intelligenze, saperi, di provenienza diversa, rendendo tutti e tutte da “stranieri” cittadini16.
5. Convincere della guerra: la politica come propaganda e mediaticità
La politica del capitalismo globale in crisi, e proprio per questo guerresco, è interamente ridotta a mediaticità, a comunicazione senza informazione e senza verità17, a spettacolo. Anche (o soprattutto) su questo piano Berlusconi ha vinto, e oggi abbiamo a che fare con i suoi multiformi eredi. Dunque a sostenere (fra mille ipocrisie) le ragioni dell’Europa guerresca non poteva esserci un onesto comizio fatto di parole e idee, ma invece un comizio-spettacolo, un talk show di personaggi, soprattutto televisivi, di attori/attrici, di cantanti, tanto meglio se apprezzati a sinistra e fra i pacifisti. L’elenco degli “ospiti” (definiti proprio così, come in uno show televisivo) è troppo lungo per essere completato qui: Claudio Amendola (attore e regista), Fabrizio Bentivoglio (attore e regista), Luca Bizzarri (attore e conduttore televisivo), Lella Costa (attrice e scrittrice), Corrado Formigli (giornalista, e conduttore televisivo), Luciana Littizzetto (attrice e conduttrice televisiva) in video, Pif (scrittore, regista e autore televisivo) in video e, dulcis in fundo, Jovanotti (cantautore) in video. Non per caso a presentare tutto ciò è stato chiamato il conduttore televisivo per eccellenza Claudio Bisio.
Non mancavano gli intellettuali di professione – chiamiamoli così – ma invitati non in riferimento alle loro competenze disciplinari bensì anch’essi in quanto personaggi mediatici, di solito televisivi, come Corrado Augias (giornalista, scrittore e autore televisivo), Gianrico Carofiglio (scrittore, ex magistrato ed ex parlamentare), Maurizio De Giovanni (scrittore e autore televisivo), Stefano Massini (scrittore e drammaturgo), Liliana Segre (Senatrice a vita) in video, Benedetta Tobagi (scrittrice e conduttrice radiofonica), Elena Cattaneo (Senatrice a vita) in video, Gustavo Zagrebelsky (giurista) in video.
La copertura mediatica addirittura preventiva (annuncio in tutti i giornaloni e le Tv e in tutti i mass media del potere) garantiva il sicuro successo dell’operazione18. Almeno a mia memoria, non si era mai assistito a una tale gonfiatura mediatica di un evento politico, culminata nella intera prima pagina di “Repubblica” del 15 marzo, opera di Altan (come sempre geniale) con tanto di libro in omaggio19. Dal nostro punto di vista è proprio la vastità delle adesioni, la loro totalità, che preoccupa. Le diverse articolazioni del potere politico20 e del potere mediatico (che sono sempre più un unico potere) si sono tutte mobilitate a fondo come – appunto – in una “mobilitazione generale”; e questo ci fa correre brividi nella schiena perché la “mobilitazione generale” è ciò che di solito precede una guerra.
L’operazione politico-mediatica di piazza del Popolo del 15 marzo è costata ai contribuenti romani (anche a quelli che hanno in orrore “Repubblica”, Michele Serra e – per ipotesi – le scelte della UE) circa 300.000 euro. Secondo “Il Fatto quotidiano”21, il Comune di Roma ha pagato 60.000 euro per il palco, 23.000 euro per i gazebo, 22.000 euro per la regìa televisiva, 47.000 euro per gli impianti audio luce, 4.000 euro per i “cestini” (i panini, NdR) e pure 1.000 euro per i pass e i “laccettini” dell’evento. Oltre 2.500 euro di “costi di gestione, ospitalità, viaggi e transfer artisti”, in cui è compreso anche il rimborso per il treno Milano-Roma e per il soggiorno all’Orazio Palace Hotel di Claudio Bisio22. La cifra totale spesa è cospicua per una città che manca di posti negli asili-nido comunali, di autobus e perfino di soldi per riparare le buche.
Ma il punto fondamentale è un altro: è che tutto ciò sia apparso del tutto normale al sindaco Gualtieri (“Lo rivendico con orgoglio. Lo rifarei mille volte” – ha dichiarato), a riprova che per lui e i suoi sostenitori non esiste alcuna differenza fra istituzioni e scelte di parte o di partito: le prime, in quanto articolazioni dello Stato come un Comune appartengono a tutti, le seconde appartengono solo a chi concorda con quei partiti, fossero anche partiti di maggioranza al Governo o al potere. La confusione, o l’identificazione, fra istituzioni dello Stato e partito/i al potere è esattamente ciò che caratterizza un regime. Un regime è infatti essenzialmente l’identificazione fra lo Stato e il partito al potere. Durante il fascismo la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) fu integrata nelle Forze Armate, stipendiata dallo Stato e considerata un’articolazione dello Stato, come peraltro lo stesso Partito Nazionale Fascista. Certamente né il mite Serra né l’europeo sindaco Gualtieri vogliono farci indossare la camicia nera (o blu in omaggio alla bandiera europea) ma essi, e i loro seguaci, dovrebbero riflettere sulla insopportabile confusione che hanno operato fra il Comune di Roma e una piazza di parte e anche sul fatto che la Rai, un servizio che dovrebbe essere pubblico, abbia trasmesso in diretta il comizio di piazza del Popolo23, una cosa a cui non erano mai arrivati né la Dc né Craxi e neppure Berlusconi (ma che Mussolini faceva coi suoi comizi radiofonici).
Il regime ha bisogno dei suoi D’Annunzio, cioè di voci e volti che rivestano di arte (e dunque del consenso legato all’arte) le idee del regime. È l’estetizzazione della guerra, che è necessaria alla guerra non meno dei cannoni.
Spiace dirlo a tutti coloro che – come chi scrive – hanno amato in passato un grande attore espressione della cultura popolare italiana, ma questo ruolo di corifeo del regime è stato svolto da Roberto Benigni. Il suo intervento in tv su Rai1 è stato, non certo per caso, simultaneo all’operazione piazza del Popolo, per fare parte integrante di quell’evento e allargarne i confini di massa grazie all’audience televisiva che Benigni sempre garantisce.
Sul contenuto di quell’intervento sarebbe meglio scendere un velo di pietoso silenzio. Dopo aver definito la UE la più meravigliosa costruzione politica degli ultimi 5.000 anni, Benigni ha denunciato che il nemico (cioè la Russia) sforna dalle sue fabbriche “milioni di fake news al giorno”, ha inoltre fatto risuonare l’urlo guerresco secondo cui gli “altri ci temono”, temono la straordinaria forza dell’Europa. Nel suo delirio non poteva mancare nemmeno la vergognosa equiparazione fra nazismo e comunismo (dunque a suo tempo Benigni prese in braccio affettuosamente un politico italiano che, in quanto comunista, era equiparabile a Hitler?). Dopo il falso storico di far diventare liberatori di Auschwitz gli americani (e non gli innominabili sovietici) – ma se Parigi val bene una messa, una menzogna val bene un Oscar –, e dopo aver sostenuto nel referendum del 2016 la distruzione renziana di quella Costituzione, che pure aveva da poco celebrato come “la più bella del mondo”, Benigni ha concluso così la parabola tragica della propria (s)vendita al potere vigente, o al regime in via di instaurazione.
6. Convincere della guerra: l’uso dell’atomica non è più un tabù
Alberto Moravia auspicava che la guerra diventasse un tabù, cioè una cosa unanimemente considerata talmente orrenda che non fosse possibile per nessuno pensare di metterla in atto. Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, l’immagine del fungo mortale di Hiroshima sembrava aver realizzato questo auspicio, e peraltro su quel tabù dell’atomica si reggeva la “coesistenza pacifica”, cioè la reciproca deterrenza fra USA e URSS. Ora non è più così: ora si parla apertamente di armi nucleari tattiche, che sarebbero più piccole e maneggevoli e dunque utilizzabili più facilmente in una delle guerre in corso. Un ministro del Governo israeliano ha infatti proposto di usare una bomba atomica su Gaza, e non è stato per questo né processato né internato. La storia ci insegna che quando si parla di fare una cosa, prima o poi quella cosa si finisce per farla.
Si tratta di propaganda di guerra, usata per abituare l’opinione pubblica a pensare alla guerra atomica come a un esito possibile: la potenza di un arma nucleare tattica è di 50 chilotoni, cioè oltre quattro volte superiore alla bomba di Hiroshima che fu di 15 chilotoni. Naturalmente è nascosto all’opinione pubblica l’inquinamento micidiale che anche una sola bomba nucleare tattica comporterebbe e – ancora di più – sono taciute le conseguenze di innesco ed escalation che avrebbe l’uso dell’atomica.
Recentemente il cialtrone presidente francese Macron ha offerto alla UE “l’ombrello nucleare” (sic!) francese. La proposta è stata considerata come una cosa seria, invece di essere accolta da un coro unanime di amari sghignazzi: forse la Von der Leyen, o qualche altro esponente della UE, avrebbe il dito sul bottone rosso che lancia le bombe francesi? Siamo seri. La destra ha obiettato tutt’al più che le bombe francesi sono poche decine contro le oltre 6.000 della Russia, come se si trattasse di avere in una gara di tirassegno al luna-park più o meno proiettili. Ma anche questa critica è del tutto aliena a ragione: basterebbe infatti una sola bomba nucleare tattica sganciata su Parigi o su Mosca per determinare lo scatenarsi dell’ultima guerra della storia dell’umanità.
La stessa irresponsabile (e criminale) volontà di sottovalutazione della guerra sta alla base del tragicomico exploit della Commissaria europea “per la gestione delle crisi” Hadja Lahbib. La signora belga, sorridente con il suo bel tailleur blu da donna in carriera, ci ha spiegato che in vista di una “crisi” (cioè, in sostanza, di un attacco atomico) occorre munirsi di un “kit di sopravvivenza”, cioè di una bottiglietta d’acqua, di un accendino, di documenti e un po’ di soldi contanti (no carte di credito, giacché le banche verosimilmente non esisterebbero più), di un coltellino svizzero multi-funzione e di un mazzo di carte (francesi o napoletane?) per passare il (poco) tempo restante. Non si sa se ridere o piangere. Questo è il livello politico (e intellettuale) dei gruppi dirigenti della UE, dalla Commissione presieduta da Von der Leyen che – mai eletta da nessuno – ci governa.
Ma non tutte le cose ridicole sono innocue: questo grottesco show unisce al ridicolo il pericolo, perché serve a mitridatizzare le masse, riscaldandoci pian piano l’acqua come alla rana nella pentola della nota storiella, cioè a farci pian piano abituare all’idea della guerra, nascondendo il vero carattere, micidiale e – ripeto – finale della guerra che ci stanno preparando.
E non per caso viene dall’Europa un invito a “promuovere una comprensione più ampia fra i cittadini di minacce e rischi (…) con programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze su sicurezza, difesa e importanza delle forze armate (…) a rafforzare la preparazione e la prontezza civile e militare”.
Insomma: educhiamoci, ed educhiamo in particolare i giovani, alla guerra.
7. Ma chi siamo “noi”? Contraddizioni e miserie del concetto di “Occidente”
È ormai chiaro che siamo di fronte a una dichiarazione di guerra, alla formalizzazione della “Terza guerra mondiale a pezzi” di cui parlò già papa Francesco. E siamo di fronte alla decisione di farvi partecipare l’Italia. Nessuno in alto ha richiamato l’ostacolo insuperabile della Costituzione italiana, che ripudia la guerra; meno che mai colui che ha il dovere istituzionale di tutelare la Costituzione ha richiamato l’esplicito e inaggirabile art. 11 della Costituzione24. L’Italia già partecipa, con la fornitura di armi e mezzi, a una guerra che si presenta esattamente come un mezzo (peraltro fallimentare) “di risoluzione della controversia internazionale” fra Russia e Ucraina, per non dire della partecipazione dell’Italia, come fedele e avido fornitore di armi, anche ad altri conflitti, che non sono neanche guerre ma massacri.
Eppure il movimento pacifista stenta a manifestare tutta la sua forza, cioè il suo carattere (stando ai sondaggi) maggioritario. Questo è esattamente il decisivo problema che abbiamo di fronte: Hic Rhodus, hic salta!
Ma per cercare di affrontarlo è necessario capire approfonditamente chi è in guerra, e per che cosa. Se ormai nessuno (tranne forse l’on Picierno del PD) può ripetere più la favola che la guerra sia fra un aggredito la democrazia (ucraina) e un aggressore il totalitarismo (russo), bisogna anche smettere di credere all’altra favoletta secondo cui sarebbero casuali o autoprodotte le 59 guerre dimenticate (59!) che attualmente sono in corso, guerre dimenticate come sono dimenticati i milioni di morti che esse provocano.
No, chi è in guerra è l’Occidente, l’Occidente capitalistico che vive la crisi irreversibile del suo dominio, crisi di economia e politica, di rapporti con la natura e di modi di organizzazione sociale, di sistemi di produzione e distribuzione della ricchezza, di modelli di consumo, di culture, ideologie e valori (anzi residui e fantasmi valoriali, dato che i valori in quanto tali sono del tutto soppressi): da questa crisi resta all’Occidente solo la supremazia militare, oramai in bilico sulla catastrofe atomica. Gli resta la guerra.
L’Occidente è un soggetto evidentemente antico ma, al tempo stesso, per molti aspetti del tutto nuovo, nel senso che la sua crisi, o meglio la sua agonia, porta a compimento una terribile tendenza profonda presente da secoli: nella chiarezza del tramonto si vede nitida la natura dell’intera èra borghese, che ha via via preso il nome di colonialismo e sterminio, di imperialismo e sterminio, di costrizione dei popoli negli stati-nazionali25 e sterminio, di schiavismo e sterminio, di sfruttamento e sterminio, di guerre di conquista e poi inter-imperialistiche, e di nuovo e sempre di stermini. Difficile dunque dire cosa venga prima fra il capitalismo, da sempre tendente alla propria espansione globale, e la guerra dichiarata al mondo dall’Occidente, certo è che le due cose si tengono l’una con l’altra e probabilmente sono due facce della stessa medaglia.
Una tale tendenza mortifera di dominio dell’Occidente capitalistico è stata a lungo incompiuta, contrastata e come trattenuta, dalla dialettica storica connessa alla resistenza dei popoli e alla lotta di classe, ma adesso essa si presenta come s/frenata, letteralmente assoluta (legibus soluta, “sciolta dalle leggi”, come gli imperatori romani), senza più vincoli o limiti. L’Occidente dichiara la guerra al mondo, e rivendica apertamente il diritto di farlo, semplicemente perché ha creduto (specie a partire dal 1991) di avere la forza per farlo.
Ricordiamo solo ai sostenitori del riarmo europeo il nesso che esiste fra armamento dell’Europa e fine della democrazia, che fu già chiaro a Berlinguer nella sua ultima intervista:
Se l’Europa riprendesse la via di divenire un terzo blocco militare, la direzione della vita politica europea finirebbe per essere presa, prima o poi, da gruppi e caste reazionarie26.
D’altra parte, se aver proceduto alla moneta unica europea, in mancanza di uno stato democratico europeo (e dunque di qualsiasi controllo politico democratico sulla moneta) ha condotto l’Europa di Maastricht alla dittatura dei banchieri, è evidente che promuovere un esercito europeo, in mancanza di uno stato democratico europeo (e dunque di qualsiasi controllo politico democratico sugli eserciti) condurrebbe alla dittatura dei militari. Credo che dovrebbero riflettere su questo coloro i quali sostengono il riarmo, obiettando solo che esso dovrebbe riguardare non gli eserciti dei singoli Stati bensì un unitario esercito europeo.
Dunque la strada è una sola, quella ricordata ancora da Berlinguer nel 1984:
Non solo una guerra totale, come è ovvio, ma anche una guerra locale (…) fra le due superpotenze, avrebbe per l’Europa conseguenze di annichilimento. (…) Il disarmo è l’unica risposta sicura alla ricerca delle sicurezza27.
I motivi geopolitici, e in ultima analisi come sempre economici, della Terza guerra mondiale a pezzi in cui siamo ormai immersi esulano evidentemente dai limiti di queste pagine.
Basti dire che da sempre la guerra, flagello per i popoli, è una risorsa preziosa per il potere. In primo luogo essa consente di sostituire al welfare distrutto il warfare, cioè (come ci ha insegnato Chomsky) un massiccio intervento dello Stato a sostegno delle industrie private che però (al contrario del welfare) non determina nessun incremento del potere del proletariato; in secondo luogo la guerra garantisce la pace sociale, o almeno la passività e il disciplinamento delle masse popolari: “Siamo in guerra: tutti uniti sotto il padrone!”.
La rimozione sistematica delle vere cause della guerra (una rimozione generalizzata e insuperabile, garantita dal monopolio dei mass media) fa parte integrante dell’assetto che ci domina. E se una cosa non ha cause umane allora essa è un fatto di natura come un temporale o un terremoto, e a cose come i temporali o i terremoti non ha senso opporsi né ha senso cercare di sbarazzarsi di chi le ha provocate. La guerra è stata naturalizzata, ciò che garantisce l’impossibilità di qualsiasi opposizione ad essa.
Sia ben chiaro: la categoria di “Occidente” che stiamo proponendo non ha più nulla a che fare con la geografia. Basterebbe a dimostrarlo che i trentacinque stati coalizzati sotto la guida americana già nella prima guerra in Iraq del 1991 fossero anche paesi asiatici e africani, così come l’Alleanza del Trattato del Nord Atlantico-NATO, conserva il suo vecchio nome ma comprende oggi paesi che con l’Atlantico non c’entrano nulla, come il Giappone e la Bulgaria, l’Australia e la Finlandia e la Svezia, etc.
8. Il Deus absconditus e “il nuovo ordine tempestoso e terribile”
La vera nuova Santa Alleanza non è neppure quella che oggi è all’opera sotto il nome di NATO28, ma è una ben più determinante alleanza, quella fra tecnologia e mercato, il vero Deus absconditus [Dio nascosto] (Isaia, 45, 15): è il mercato che può giudicare tutto e che nessuno può giudicare.
Questo dio capitalistico nascosto ha la sua teologia29, la sua religione, i suoi riti e i suoi profeti, e perfino – circostanza troppo spesso sottovalutata – una sua etica sessuale a cui i fedeli (e non solo loro) si debbono attenere. Vorrà pur dire qualcosa che alcuni eroi eponimi del capitalismo contemporaneo, da Berlusconi a Trump, siano e si vantino di essere campioni del maschilismo più sfrenato, puttanieri e stupratori. Forse abbiamo sbagliato nel vedere nella morale capitalistica vigente solo la pars destruens liberatrice della vecchia morale cattolico-tradizionale, trascurando che la “nuova” morale presenta anche aspetti costrittivi e impositivi, radicalmente anti-femminili: la pornografia è il burka dell’Occidente.
D’altronde la tecnologia, che vive oggi il suo trionfo finale con l’uso (e soprattutto con il mito) dell’Intelligenza Artificiale, rappresenta il chiodo piantato sulla bara della umana e libera critica.
Se ne rese conto Asor Rosa in un libretto straordinario (e forse troppo trascurato30) che scrisse in occasione della Guerra del Golfo. La tecnologia infatti, secondo lui è una “teologia incarnata” con cui nessuna teologia mentale può competere31 ed è contraddistinta dalla “perdita progressiva sempre più accentuata di senso”32 rappresentando con la sua “totale devalorizzazione” “l’unica fede veramente ancora attiva a livello di massa”33.
Elon Musk, il tossicodipendente psicotico che è l’uomo più ricco dell’attuale mondo, rappresenta in forma pura e – di nuovo – assoluta (cioè priva di legami e limiti) la volontà di potenza che è alla radice del capitalismo occidentale: coincidono infatti in lui la disponibilità illimitata di denaro34, il potere politico che gli viene dalla corte di Trump, il controllo pervasivo e capillare delle masse consentitogli dal possesso del tutto incontrollato dei social media e dall’Intelligenza Artificiale. Il combinato disposto di queste potenze si muove ormai verso un’eugenetica che fa impallidire quella nazista35, cioè verso la creazione di un “uomo nuovo”36, un superuomo cyborg selezionato fin dall’embrione in base alle sue caratteristiche.
Questo terribile panorama post-umano non è più la fantascienza distopica di qualche narratore visionario, è la realtà che si sta già costruendo nei fatti, nel nostro tempo e sotto i nostri occhi impotenti.
La guerra non solo è alla base di tutto ciò ma ne rappresenta anche l’esito conclusivo. Un esito che Asor Rosa descriveva (già nel 1992) quasi profeticamente:
Il “nuovo ordine” sarà tempestoso e terribile. È completamente sbagliato pensare che l’Unum imperium, unus rex fondi un principio di pace. L’unicità essenziale del potere su scala mondiale è destinata, al contrario, a sconvolgere tutti i già fragili equilibri del mondo. […] Scorreranno fiumi di sangue, non si avrà pietà per nessuno. La guerra, come si è visto, sarà un elemento fondante e continuo, pre-supposto, del nuovo ordine37.
Il quesito non è più se tutto ciò sia possibile, è semmai se tutto ciò sia ancora contrastabile ed evitabile.
Certo è che di tempo ce ne resta poco.
Raul Mordenti
- In questo nulla spicca comunque il divieto alle bandiere di partito, una regoletta qualunquista e anticostituzionale che troppo spesso abbiamo accettato: “Nessuno escluso: anche associazioni, sindacati, partiti, ma senza alcuna bandiera di associazione, sindacato, partito, “purché disposti poi a scomparire, uno per uno, nel blu monocromo della piazza europeista”.[↩]
- Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare che anche nel ’14-’18 è esistito un interventismo democratico (in Italia i Salvemini, i Bissolati etc., per non dire di Mussolini) che sosteneva la “guerra giusta” a sostegno delle “democrazie” francese e britannica contro gli autoritari Imperi austro-tedeschi. Sono questi i veri progenitori dell’interventismo degli intellettuali ex-craxiani o ex-marxisti o ex-liberalsocialisti che si espressero rumorosamente all’inizio della guerra in Ucraina, specie dalle colonne di “Repubblica-La Stampa” e del “Corriere della Sera”. Cfr. la nostra presentazione di un numero di “MicroMega” del 2022: https://fb.watch/dcwxs3IAcJ/ https://www.facebook.com/watch/?v=1082915442260987&extid=CL-UNK-UNK-UNK-AN_GK0T-GK1C&ref=sharing.[↩]
- Il carattere assolutamente a-democratico (cioè anti-democratico) della UE è totalmente occultato dagli “europeisti” di piazza del Popolo: in generale all’opinione pubblica viene efficacemente nascosto che gli organismi decisionali della UE sono intergovernativi, cioè espressione dei Governi e non dei parlamenti o dei popoli europei. Il parlamento europeo, con tutti i suoi limiti, è meramente consultivo, né può contrastare la Von der Leyen e la potente lobby militare-finanziaria di cui costei è espressione diretta.[↩]
- Da: D. Gallo, Ucraina, il voto UE serve a continuare la guerra, in “Il Fatto quotidiano”, 20 marzo 2025, p.11.[↩]
- Su come l’Occidente tratta i leader sconfitti (compresi i suoi ex-dipendenti) cfr. infra i “processi” a Milosevic, Saddam Hussein, Gheddafi.[↩]
- A proposito: sarebbe interessante sapere come mai il Regno Unito (che non fa più parte della UE) sia presente ai vertici e abbia voce in capitolo (sempre una voce oltranzista e guerrafondaia). Ma sul concetto di Unione Europea, che è assai diverso dal concetto di “Europa”, converrà tornare più avanti.[↩]
- Sono fatti storici ormai accertati che dietro l’interventismo delle “radiose giornate di maggio” che forzarono la mano al Governo e a Giolitti ci fossero la monarchia e le fabbriche di armi e che il passaggio del socialista neutralista Mussolini al fronte interventista sia stato finanziato dalla massoneria francese, per la fondazione del suo quotidiano “Il Popolo d’Italia”.[↩]
- In un post in Facebook, il 15 marzo 2025, alle ore 20:05.[↩]
- Nel seguente II Governo D’Alema (23/12/99-19/4/2000) l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella fu anche Ministro della Difesa. Tuttavia quegli eventi bellici, di cui fu indubbio protagonista, hanno provocato in lui una sorta di dimenticanza, o rimozione, al punto da spingerlo a definire la guerra in Ucraina, come “la prima guerra in Europa” dopo la fine del secondo conflitto mondiale.[↩]
- “Giornata della memoria e dell’accoglienza” nella quale si ricorda il naufragio al largo di Lampedusa che costò la vita a 368 migranti.[↩]
- Scurati non è privo di laurea come il Ministro della Cultura Giuli e non vanta una laurea farlocca, con esami in serie fatti la domenica, come la Ministra del Lavoro Calderone.[↩]
- Il carattere insopportabilmente razzista di quegli interventi è stato denunciato, con accorata efficacia, da Djarah Kan, un’italianissima figlia di africani, scrittrice e attivista femminista e antirazzista: “Alcuni degli interventi che si sono susseguiti dal palco della manifestazione per l’Europa a Piazza del Popolo, mi hanno fatto davvero male. Ne parlo da giorni con tutte le persone nere che conosco. e condividono il mio stato d’animo. Stiamo male. Malissimo. Perché non riusciamo a credere che quella sinistra italiana lì riunita stia parlando di Europa, negli stessi toni, con lo stesso linguaggio e addirittura con le stesse visioni culturali che i colonizzatori hanno sempre sfruttato per giustificare quella barbarie che è stata e che è ancora oggi il Colonialismo. Lo giuro. Provo un dolore enorme. Da donna africana, da figlia di indigeni africani che hanno dovuto lasciare una terra ricchissima, resa sterile dal colonialismo e dal capitalismo estremo, questa retorica mi uccide. Quella piazza mi ha sconvolta. Tra il revisionismo storico di Scurati e le parole di Vecchioni, quello spettacolo di persone bianche, intelligenti, istruite incapaci di cogliere la violenza storica di quell’idea di Europa, mi ha spezzata in due. Non posso credere che l’unico modo per opporsi a due dittatori, sia questo ritorno alla Vecchia Europa eurocentrica, culla della civiltà e di tutto ciò che può essere giusto e buono. Con una leggerezza allucinante c’era gente che dichiarava apertamente che l’Europa ha insegnato al mondo la filosofia, la storia, l’arte. L’Europa è superiore. L’Europa è il faro del Mondo” (https://www.labottegadelbarbieri.org/suprematismo-occidentale-3-quella-piazza-mi-ha-sconvolta/).[↩]
- E che durante quel millennio guardava (giustamente!) all’Occidente europeo come a un luogo di ignoranza e barbarie.[↩]
- Da: Dodicesima diposizione. fascismo e neofascismo: conoscerli per combatterli, a cura del Dipartimento Antifascismo del PRC, Roma, Bordeaux, 2024, pp.57-58.[↩]
- Il quale ha dichiarato a Radio Padania Libera: “Dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate”.[↩]
- Una importante traccia di questa vera gloria passata (la cittadinanza romana per tutti i residenti dell’impero) c’è invece nella nostra Costituzione, che all’art.10 terzo comma recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.” Questo sarebbe dunque il vero criterio per decidere chi dobbiamo accogliere in Italia, e non la maggiore o minore ferocia degli Stati da cui provengono i migranti: è davvero deplorevole che questo chiarissimo articolo 10 della Costituzione non sia entrato, neppure “da sinistra”, nel dibattito sui criteri di accoglienza, riapertosi dopo l’invenzione “albanese” di Giorgia Meloni.[↩]
- Per una trattazione più articolata di questi problemi, sia consentito il rinvio a: R.Mordenti Ontologia della menzogna (informazione e guerra), Trieste, Asterios, 2023.[↩]
- Si potrebbe anzi notare che a una tale copertura mediatica preventiva ha corrisposto un risultato tutto sommato modesto, cioè una piazza del Popolo in gran parte occupata da palco e gazebi e neppure del tutto piena (niente di paragonabile alle grandi mobilitazioni sindacali, ad esempio quelle in difesa dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori). Un vero esperto di piazze e di folle come Riccardo Corato, ha calcolato essere presenti in piazza del Popolo non più di 15.000-20.000 persone. Meno di un terzo, o di un quarto, dei partecipanti alla manifestazione contro il riarmo europeo del 5 aprile, sostanzialmente ignorata dai media mainstream.[↩]
- Il Manifesto di Ventotene che – come gli eventi successivi avrebbero purtroppo reso evidente – nessuno dei promotori aveva letto. Ma anche in questo caso ciò che contava, l’unica cosa che contava, era l’immagine, impadronirsi della bella immagine di Spinelli.[↩]
- C’erano in piazza del Popolo, fianco a fianco senza imbarazzo, espliciti e urlanti sostenitori della guerra (à la Calenda, per intenderci) insieme agli incerti pacifisti del PD o di AVS, e anche a tante anime belle convinte di cambiare, sventolando la propria personale bandierina della pace, il senso della manifestazione.[↩]
- V. Bisbiglia, La Procura di Roma indaga sulla manifestazione di Rep, “Il Fatto quotidiano”, 27 marzo 2025, p.11.[↩]
- Superfluo dire che un’altra manifestazione, per la pace e contro le scelte di guerra della Commissione europea, la quale si è svolta nella stessa città di Roma e nelle stesse ore (partendo da piazza Barberini) non ha ricevuto dal Comune di Gualtieri neppure un centesimo.[↩]
- Ancora una volta: all’appuntamento di piazza Barberini per la pace e contro le scelte di guerra della Commissione europea (contemporaneo a quello di piazza del Popolo) non è toccata non dico la diretta ma nemmeno il diritto ad essere nominato nei Giornali radio e nei TG della Rai.[↩]
- Ripetiamolo una volta di più questo att.11 dimenticato e tradito: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.[↩]
- La follia di un solo popolo in un solo Stato, con un solo re, una sola lingua e una sola religione, che esordì con la cacciata degli ebrei dalla Spagna.[↩]
- E. Berlinguer, L’ultima intervista, in “Critica Marxista”, nn.1-2 del 1984; vedi anche L’Europa, la pace, lo sviluppo secondo Enrico Berlinguer, intervista di Aldo Zanardo, in “MicroMega” giugno 1984. Ringrazio Roberto Musacchio per queste segnalazioni (e per molti altri preziosi chiarimenti senza i quali non esisterebbero queste mie pagine).[↩]
- Ibidem.[↩]
- D’altra parte sarebbe improprio definire alleanza una situazione in cui un solo Stato comanda e tutti gli altri obbediscono.[↩]
- Credo che sarebbe necessario studiare a fondo la cosiddetta “teologia della prosperità”, in voga a partire dagli Stati Uniti, una sorta di calvinismo estremistico secondo cui essere ricchi è segno di un santo rapporto con Dio, così come essere poveri è segno di colpa e di peccato. L’esatto contrario del Vangelo. Chiediamo l’aiuto dei teologi.[↩]
- A. Asor Rosa, Fuori dall’Occidente ovvero Ragionamento sull’»Apocalissi», Torino, Einaudi, 1992. Cfr. ora anche il volume collettaneo Apocalisse, ora. Fine della storia e coscienza escatologica, a cura di Luca Lenzini e Giancarlo Gaeta, Macerata, Quodlibet, 2025.[↩]
- A. Asor Rosa, Fuori dall’Occidente, cit. p.106.[↩]
- Ivi, p.114.[↩]
- Ivi, p.100.[↩]
- Che gli consente fra l’altro (con un gesto esibito e altamente simbolico) di dare un milione di dollari a uno degli elettori, estratto fra quelli che hanno firmato secondo la sua volontà. Altro che scarpe date in omaggio agli elettori obbedienti dal comandante napoletano Achille Lauro![↩]
- Peraltro, non certo a caso, Musk esibisce apertamente in pubblico le sue simpatie nazi-fasciste.[↩]
- La scuola è esplicitamente e intenzionalmente esclusa da questi processi, anche grazie al radicale de-finanziamento trumpiano (cioè alla distruzione) del sistema formativo pubblico. La scuola è un nemico, forse il nemico, denunciato come pericoloso luogo di influenze “estremistiche” da parte di insegnanti “poveri” (e soprattutto: come pericoloso luogo di possibile socializzazione inter-umana dei/delle giovani). La formazione on line dei mesi del lockdown ha rappresentato la prova generale di questa formazione senza relazione inter-umana, che si stenta a definire ancora scuola.[↩]
- A. Asor Rosa, Fuori dall’Occidente, cit. p.99.[↩]
1 Commento. Nuovo commento
Certe prospettive fanno tremare i polsi e non solo quelli anche solo a pensarci e a leggerle. Ieri in un reel su Instagram Saviano ipotizzava scenari simili a quelli dipinti qui ma aggiungeva un destino migliore per l’umanità con la fine del “dittatore” attuale d’oltreoceano così come erano finiti tutti gli altri suoi simili.