di Stefano Galieni – Dopo il vertice di Bruxelles dei 28 presidenti del consiglio UE soprattutto il governo italiano ha provato a dichiararsi unilateralmente il vincitore di un lungo braccio di ferro contro la “perfida Europa” per quanto riguarda i temi concernenti l’immigrazione e il contrasto agli “ingressi illegali”. Ma non è andata così. A vincere una partita miope e giocata sulla pelle delle persone sono stati i paesi del gruppo Visegrad (Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia) che hanno ottenuto di poter soprassedere a qualsiasi forma di collaborazione /relocation, relocation dei richiedenti asilo. E a imporsi sono stati i falchi tedeschi contrari a qualsiasi circolazione interna di persone non sottoposte ai diktat del, per ora non riformato “Regolamento Dublino”, ovvero l’Austria che sta per blindare ancora di più i propri confini meridionali e la Germania in cui una CSU che minaccia la crisi col proprio “Salvini” con crauti, ottiene che si intensifichino le espulsioni verso l’Italia. Per il resto minacce e promesse. Promesse di impegni generici e retorici di sostegno ad un’Africa sfruttata e tutt’ora preda preferita del neocolonialismo, finanziamenti al regime turco di Erdogan, da poco confermato come gendarme orientale. Armi e sostegno militare a chi, soprattutto nei paesi del Sahel si vorrà prestare a realizzare campi di detenzione per il rimpatrio spacciati come centri di smistamento per separare gli odiati “migranti economici” dai richiedenti asilo giustificati come tali in base ad una gerarchia stabilita dai padroni occidentali.
Nei paesi finora interpellati non c’è stata alcuna disponibilità a svolgere il “lavoro sporco” per gli europei. Ha risposto “picche” l’Algeria, si sono di fatto chiamati fuori Tunisia e Marocco, ingestibile resta la situazione in Libia dove i governi europei, in una fase complessa, agiscono come apprendisti stregoni. A poco serviranno i 500 milioni stanziati in tutta fretta per l’Africa che pareggiano la tranche di simile portata inviata alla Turchia, si tratta, cinicamente, di cifre ritenute insufficienti anche a spostare gli equilibri politici.
Il tronfio governo italiano è partito per Bruxelles contando di portare a casa il diritto a respingere “gli illegali”. È tornato con la promessa di un rafforzamento di Frontex, con dichiarazioni di intenti per incrementare i rimpatri che si tradurranno in centri di detenzione da realizzare in Italia e impegni a cui questo paese non è in grado di ottemperare se non violando tutte le norme internazionali possibili.
Conte e il suo capo Salvini hanno mostrato di essere semplicemente “dilettanti allo sbaraglio”, animati da pessime intenzioni ma tornati via a mani vuote da quello che doveva essere il vertice in cui si sarebbe riaffermato l’orgoglio italico.
Gli scontri e gli scambi di tweet (da Renzi in poi sembra che i rappresentanti dei governi nostrani abbiano tale social come unico elemento di approfondimento delle tematiche affrontate), testimoniano una difficoltà anche a comprendere quanto stava avvenendo nei due giorni del vertice a Bruxelles.
La logica dei confini interni da salvaguardare è divenuta concretamente quella imperante, più delle intenzioni esternalizzanti verso il Sud e l’Est. Le “piattaforme” in cui si vorranno scremare richiedenti asilo da migranti al di là dei tempi di realizzazione, sono come gli hotspot già in funzione, strumenti di propaganda creati per dimostrare pugno di ferro ma in grado poi di incidere – anche prendendo il punto di vista degli assertori delle porte chiuse – solo in maniera ininfluente nella circolazione delle persone, né più né meno come lo sono stati i Centri di Identificazione ed Espulsione comunque denominati.
Quelli che si andranno invece a realizzare particolarmente in Italia serviranno da una parte a militarizzare l’accoglienza, dall’altra a riaffermare il ruolo da “contenitore” della penisola in cui dovranno essere ripresi tutte/i coloro che sono riusciti ad arrivare in un altro paese europeo in cui magari hanno più chance di una vita senza assistenzialismo.
Alla faccia della decantata riforma del Regolamento Dublino, ormai è rimandata sine die e alla faccia di una ricollocazione delle persone che potranno continuare ad essere accettate solo su base volontaria dei singoli paesi come voleva il gruppo di Visegrad.
Da ultimo il fronte libico. Si forniranno ulteriori 12 motovedette alla Guardia costiera libica. Lo farà il governo italiano regalando piccoli mezzi veloci ma non in grado di salvare le persone caricate sui gommoni. I 4 mezzi che l’Italia fornì a suo tempo al regime di Gheddafi, più volte riparati, non sono sufficienti a coprire una inesistente zona SAR (Search And Rescue) libica e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Inibendo di fatto la presenza alle navi delle Ong (il documento di Bruxelles è su questo tema interpretabile in modi diversi) e in assenza di altri assetti adeguati, (natanti con gli strumenti per effettuare salvataggi), quella vasta area resta totalmente sguarnita.
I 3 naufragi di questi giorni, le circa 300 vittime accertate ne sono il frutto.
Si misura per caso sul numero dei morti il peso politico di un paese nello scacchiere internazionale?
Chi scrive si augura che quanto accaduto si misuri presto nelle aule dei Tribunali Internazionali dove qualcuno sia chiamato a rispondere di queste oscene uccisioni.