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Vincitori e vinti

di Franco
Ferrari

di Franco Ferrari

Il 2019 ci ha portato quattro sconfitte. L’ultima in ordine di tempo in Gran Bretagna con la vittoria ampia di Boris Johnson contro il Labour di Corbyn. Prima abbiamo dovuto scontare la dispersione dell’esperienza del Rojava per il convergere dell’azione di molti soggetti, in primo luogo l’esercito turco e i suoi mercenari integralisti. Poi c’è stato il golpe in Bolivia che ha deposto Morales. E prima ancora la sconfitta di Tsipras in Grecia, dopo aver dovuto subire la violenta pressione, per anni, degli altri governi dell’Eurozona (di destra come di “sinistra”).

Naturalmente l’anno che se ne va non ha mancato di offrirci qualche evento da poter festeggiare: la sconfitta dei liberisti in Argentina, la liberazione di Lula, la possibilità di un governo di sinistra in Spagna (indipendentisti catalani permettendo).

Non sembri un paradosso, ma è dalle sconfitte che vorrei trarre le mie note di ottimismo e gli auspici per il 2020, l’anno palindromo.

Prima delle sconfitte ci sono state quattro vittorie impensabili. Impensabile che un piccolo partito della sinistra radicale che a malapena riusciva ad entrare in Parlamento potesse conquistare il governo. Impensabile che un leader socialista, rimasto sempre a fare il backbencher di terza fila (che aveva votato più spesso contro le politiche di Blair di quanto non facessero i conservatori) diventasse a furor di popolo leader dei laburisti e reggesse per due elezioni. Impensabile che in un Medio Oriente stretto fra oligarchie legate all’imperialismo e spinte fondamentaliste reazionarie potesse sorgere un’esperienza laica e tollerante del pluralismo etnico. Impensabile che in Bolivia arrivasse al governo, e lo tenesse per tanto tempo, un movimento spinto dai “dannati di quella terra” nota più per i golpe militari che per la giustizia sociale.

Il paradosso è che ci sono toccate quelle sconfitte perché ci sono state prima quelle vittorie impensate. E poi chi c’è stato a sorreggerle? I giovani per Corbyn, non i fighetti dell’Erasmus, come pensa qualcuno a sinistra, ma semmai quello che un tempo avremmo chiamato il nuovo proletariato giovanile, in più multietnico e sessuato. Le donne per il confederalismo democratico del Rojava. Gli indios in Bolivia. I quartieri popolari del Pireo, la tradizione antifascista di Creta, che hanno votato no alle imposizioni dell’Unione Europea nel luglio 2015 e anche se hanno dovuto piegare la testa non hanno perso la bussola e la speranza.

Queste sono le forze del “nuovo mondo” necessario, il nascente “quarto stato” che può, se vuole, mettersi in cammino. Dall’altra parte ci sono le classi dominanti, confuse, incapaci di prefigurare una soluzione (fosse pure nel loro interesse e non nel nostro) alle grandi contraddizioni dell’epoca. Fallimentari nella gestione della globalizzazione, della crisi ambientale, di quella migratoria. Divise tra il piano A del capitalismo sempre più finanziarizzato, dei ricchi sempre più ricchi che si avvalgono di lavoratori sempre più poveri e insensibile alle sofferenze che provoca, o ripiegate sul loro piano B, del nazionalismo gretto e reazionario. 

30 anni fa si diceva che la storia era finita. Loro avevano vinto e noi eravamo morti. 30 anni dopo possiamo registrare che la loro vittoria risulta sempre più costruita su fragile argilla. E noi, i morti, forse così morti come loro speravano, in realtà, non siamo.

E allora, buon 2020 a tutti noi.

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