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Vaccini, politiche sanitarie e ruolo pubblico

di Alberto
Deambrogio

intervista a Edoardo Turi*

 Alberto Deambrogio: la vicenda dei vaccini, della loro produzione e distribuzione si è presentata come molto complessa. Una storia piena di opacità, di tensioni tra interessi sociali, economici, geopolitici. Negli scorsi giorni si è espresso anche il parlamento Europeo, dopo che Biden aveva aperto all’idea di una sospensione dei brevetti. Qualcuno ha parlato di premio nobel ad Astra Zeneca… In un quadro dunque molto articolato la campagna noprofitonpandemic.eu insiste affinché una popolazione informata e attivata possa far sentire il proprio peso sulle decisioni future in sede europea. Tu che idea generale ti sei costruito su tutto ciò?

Edoardo Turi: sin dall’inizio l’epidemia da Covid19 si è mostrata  come un terreno di  scontro geopolitico ed economico tra i paesi più forti: dalle reticenze cinesi sulla data di inizio e la diffusione reale e alla inaffidabilità dei dati forniti, dal ruolo ambiguo dell’OMS (in cui è forte il ruolo cinese, che è ben diverso dal ruolo dell’URSS dopo la Seconda Guerra mondiale)alla tendenza di alcuni paesi come USA,GB e Russia di non imporre misure drastiche, sottovalutando solo apparentemente la pericolosità del virus (io credo invece che fossero consapevoli dei rischio ma avessero calcolato, dal punto di vista del consenso e delle economie nazionali, che una limitata chiusura e una riapertura più rapida-oggi con l’esclusiva dei vaccini-avrebbe dato loro un vantaggio su altri paesi ed economie, esattamente come in guerra). Lo stesso quindi sta avvenendo ora con i vaccini, dove la ricerca era stata abbandonata livello internazionale da Big Pharma e dai Governi, perché poco redditizia rispetto a quella sui farmaci per le malattie cronico degenerative (cardiovascolari, diabete, respiratorie, tumori). Alcuni paesi si sono mossi con largo anticipo sul piano della ricerca, su quello industriale e commerciale, anche tramite cospicui finanziamenti pubblici e i loro servizi di intelligence, mentre l’UE e l’Italia no: la competizione infatti è anche intra UE (vedi strategie epidemiologiche diverse dei vari paesi membri). Oggi si registra, come per l’epidemia, anche una scarsa informazione pubblica nell’UE sui vaccini, il loro uso, le diverse limitazioni e popolazioni target (età, patologie), l’andamento della campagna vaccinale (i paesi membri non hanno un sistema informativo unico di registrazione delle malattie infettive e delle vaccinazioni: l’Italia ha scoperto con l’epidemia di non avere  un suo sistema nazionale di registrazione, oggi assai semplice con l’informatica, e di aver smantellato il sistema di registrazione nazionale  delle malattie infettive presso l’Istituto Superiore di Sanità). Poi ci sono paesi extra UE che hanno perseguito strategie epidemiologiche diverse (Nuova Zelanda, Australia) e altri che stanno utilizzando i vaccini come strumento di politica internazionale come la Cina e la Russia: non dimentichiamo che i dati sull’andamento dell’epidemia dei paesi poco o non  industrializzati e del Sud del mondo sono insufficienti, note le loro difficoltà ad acquistare o produrre i vaccini ,che come quelli ad MRNA sono di difficile gestione e che tutti vaccini hanno bisogno della catena del freddo, difficile da assicurare nei paesi più poveri (elettricità, frigoriferi). Anche gli USA hanno fatto propaganda e timide promesse a scopo di consenso mediatico, ma sempre assicurando prima l’interesse nazionale. Nel sud del mondo c’è la sola eccezione di Cuba. Astrazeneca, la cui ricerca sui vaccini l’Italia ha contribuito a finanziare senza ritorni, non è un benefattore dell’umanità come Pfizer o altri. Per questo la Campagna internazionale noprofitonpandemic.ue  è importante: rompe il paradigma dell’egoismo nazionale e di censo, nelle società industrializzate. Certo c’è una complessità dei problemi che non si può disconoscere ed altre strade contemporaneamente possibili, ma complesse sul piano legale ed economico, e dipendono anche dalle diverse legislazioni nazionali e dell’UE, ma attraverso cui i Governi potrebbero imporre a Big Pharma politiche differenti.

A.D.: dopo le aperture del Presidente U.S.A. è arrivato, come era forse prevedibile, un vero fuoco di fila di critiche all’ipotesi di moratoria e un risultato deludente dall’Health Global Summit. Anche da parte del Governo Italiano si è detto che prima dell’ipotesi di moratoria occorrerebbe togliere limiti alle esportazioni e produrre di più. Si dice che il brevetto è l’unica sicurezza per avere l’innovazione: secondo te è cosi’? E poi: gli accordi tra aziende per produrre di più senza la moratoria sono così facili da ottenere? Riuscirebbero a realizzare con tempestività?

E.T: il primo principio di Draghi, Merkel e Von Der Leyen e degli altri dirigenti politici europei è che non si debbano toccare le regole di funzionamento del capitalismo come appare confermato dall’ Health Global Summit del G20 e la Dichiarazione di Roma che cinicamente ipocritamente non tocca la proprietà intellettuale del vaccino e  colloca  la questione nei trattati TRIPS nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) terreno di dura lotta commerciale tra i paesi e non nel quadro ONU/OMS. Si riafferma la multilateralità degli scambi (“accesso equo a prezzo abbordabile”, soli 100 milioni di dosi di vaccini per i paesi poveri). Quella dell’UE è una posizione miope proprio per la diversità politica che avrebbe potuto assumere rispetto a USA, Cina e Russia. L’ UE sembra dimenticare che è stata la culla del welfare, certo declinato in tempi e modi diversi tra i vari paesi che la compongono, ma questa è stata la sua forza politica: un compromesso tra capitale e lavoro, che si allarga all’ambiente, ai diritti non solo sociali, alla solidarietà internazionale, ai migranti, ai conflitti militari. Oggi, senza lo spauracchio delle rivoluzioni politiche novecentesche certamente fallite (senza che purtroppo le sinistre, più o meno radicali, si pongano il tema del perché non solo sul piano della illiberalità ma del modello economico e sociale), e l’affievolirsi dei movimenti anticapitalisti dopo Genova 2001, quel compromesso non appare più necessario. Eppure i movimenti politici e gli stati nazionalisti e neo-fascisti (le democrazie illiberali o democrature) ripropongono scenari preoccupanti che richiamano il secolo passato. Sembra dimenticata la lezione di Beveridge (dal cui pensiero nasce il National Health Service in GB, basato sul diritto universale e finanziato con la fiscalità generale, come il Servizio sanitario Nazionale-SSN in Italia con la L. n. 833/1978 e pochi altri paesi al mondo) e di Keynes: due liberali che volevano difendere il capitalismo dai pericoli in esso insiti e dalle rivoluzioni comuniste. Oggi c’è una totale egemonia del pensiero neo-liberale (liberismo è un eufemismo), favorito dai media e internet, purtroppo anche nelle classi sociali subalterne, convinte che il loro interesse e i loro valori debbano o possano  essere gli stessi delle classi sociali dominanti: da qui la forza “ideologica” ed elettorale di formazioni come Lega, FdI, M5S e PD che declinano quel pensiero in modo diverso ma di cui condividono l’assioma fondamentale: il sistema di produzione e consumo capitalistico non si tocca. Ed è qui che si pone il tema dei brevetti e della produzione: serve la moratoria sui brevetti per aspetti legali e ed economici, ma anche la messa in comune della conoscenza scientifica e dei cicli di produzione. Uno sforzo collettivo internazionale che non si fece per l’AIDS con i disastri che ricordiamo. Il Fondo mondiale per AIDS, TBC e malaria somiglia molto all’ l’iniziativa OMS per i vaccini anti SARS CoV 2 denominata Covax basato sulle liberalità di donatori non abbastanza generosi. La pandemia può invece diventare il terreno per proporre un nuovo modo di fare ricerca, produrre e distribuire a livello internazionale tutti i farmaci indispensabili, mettendo in comune dati e tecnologie, senza dimenticare al contempo le cause sociali ed ambientali dell’epidemia stessa e il modo diseguale con cui sta colpendo i paesi e le classi sociali. Ciò pone un tema fondamentale in sanità pubblica: i determinanti di salute (ambiente, reddito, lavoro, casa, istruzione, servizi, trasporti, prevenzione in ambienti di vita e di lavoro), un compito che non può essere solo del SSN.

A.D.: quando si dice che la moratoria sulle licenze non risolverebbe comunque il problema, si richiama una presunta scarsa capacità produttiva. Restando in ambito europeo ed italiano è così vero che una tale capacità sarebbe in gran parte da costruire? Quali sono i poli produttivi italiani e in quali “mani” sono? Nelle scorse settimane si era parlato (il Ministro Giorgetti) di una disponibilità a supportare la nostra capacità produttiva, ma ora di tutto questo se ne sono perse le tracce.

E.T.: In effetti l’Italia ha abbandonato da tempo ogni sforzo nazionale di produrre direttamente farmaci e vaccini, indebolendo così in pochi anni la propria industria in particolare negli anni ‘90 con la vicenda Sclavo (famiglia Marcucci, i cui esponenti siedono in Parlamento) – Enimont e le delocalizzazioni che ne sono conseguite. Nonostante ciò, in base ad elaborazioni di dati ISTAT, Eurostat, EFPIA ,IQVIA effettuati da Farmindustria, al 2017  abbiamo 65.000 addetti alla produzione (90% laureati e diplomati e 42% donne), 66.000 nell’indotto, 6400 nelle ricerca (52% donne)e 31,2 miliardi di euro di produzione di cui il 79% destinato all’export, 2,8 miliardi di investimenti (1,5 in ricerca e 1,3 in produzione), 60% di imprese a capitale esterno e 40% di imprese a capitale italiano: l’Italia è il primo produttore farmaceutico dell’UE. Ci sono poli industriali in grado di produrre il vaccino: nel Lazio, in Toscana, in Puglia, in Campania, nel Veneto e in Lombardia, distinguendo tra produzione (bioreattori per produrre il principio attivo del vaccino) e infialamento (più semplice). Inoltre in Italia esiste una capacità di intervento sulla produzione di farmaci dal 1853 ed è lo Stabilimento chimico farmaceutico militare che, come risulta da audizioni in Senato nel 2018, con 20 milioni di euro e assunzioni di personale sarebbe stato in grado di produrre vaccini. Certo sarebbe necessario un movimento di ricercatori, studenti, lavoratori e operatori sanitari che ponesse il problema del controllo pubblico sulla ricerca e la filiera  produttiva, con attenzione all’ambiente e al lavoro, lanciando una vertenza  per una buona occupazione e una industria farmaceutica pubblica: non vedo in questo momento segnali importanti in tale direzione da parte delle forze politiche della sinistra e del sindacato a iniziare dalla Campagna nonprofitonpandemic.ue  (bisogna che si impegnino nella raccolta di firme), sino all’informazione trasparente e alla controinformazione rispetto a quanto accade nelle stanza dell’UE, del Governo e delle Regioni: il Ministro Giorgetti ha chiesto riserbo sulle trattative in corso che riguardano le industrie farmaceutiche coinvolte. Perché se la strada perseguita è quella della collaborazione tra pubblico e privato anche con il Piano HERA incubator dell’UE? Ritorniamo al punto di prima: la sinistra deve sviluppare una nuova elaborazione teorica ma anche promuovere conflitti, organizzare lotte e vertenze, sul territorio, nei luoghi di lavoro e di studio, la prassi senza teoria è cieca e viceversa. Oggi si punta tutto sulla comunicazione e l’immagine, alimentata dai social network esaltati dalla pandemia (posto dunque sono): quest’ultima forma di attivismo è importante solo se non esclude il lavoro “di massa”, la presenza nelle realtà, a iniziare dalle immense periferie urbane, dell’osso appenninico e del meridione. Un webinar nazionale di 300 persone non sostituirà mai una manifestazione locale di 300 persone.

A.D.: la legge italiana ai tempi di Bindi ministra della salute aveva previsto e formalizzato un impegno per il nostro Paese nella ricerca vaccinale. Come mai secondo te quel tipo di impegno, diremmo oggi lungimirante, non è mai stato onorato? Che fine farà ora il progetto “Reithera” dopo l’intervento della Corte dei Conti e dopo l’abbandono nei fatti del percorso di ricerca primigenio?

E.T: non si tratta solo di firmare contratti di acquisto con oligopoli privati (prezzi, consegna, controllo della catena del valore, pur importanti), ma di rinegoziare nei prossimi anni il rapporto tra ricerca pubblica e privata. L’industria farmaceutica sostiene che così si penalizza lo stimolo alla concorrenza, alla ricerca e si interagisce con il mercato azionario: ma è proprio quello che vogliamo! Conoscenze, innovazioni e proprietà intellettuale sono concatenate, come sostengono anche industria e Governi: ma perchè allora non devono essere pubbliche, se oggi la ricerca scientifica è lo sforzo di condivisione di dati prodotti in luoghi e enti diversi, frutto del lavoro di generazioni di ricercatori scientifici precedenti, socializzati sulle riviste scientifiche della comunità internazionale e largamente finanziate dal pubblico e quindi dai contribuenti? E’ la contraddizione della conoscenza che nasce come bene pubblico ma poi viene privatizzata e incorporata nella valorizzazione finanziaria del capitale. Inoltre i tempi di autorizzazione dei vaccini da parte degli Enti regolatori in USA e UE sono stati rapidissimi, meno di un anno, così le generazioni future dipenderanno da questi brevetti, che durano venti anni, per diciannove anni. La Ministra Bindi aveva previsto nella sua terza Riforma della L. n. 883/1978, il D.Lgs, n. 229/1999, che la ricerca scientifica dovesse essere collegata agli obiettivi del SSN e ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA): così non è stato, come anche quanto previsto dalla stessa norma relativamente alla programmazione della formazione universitaria degli operatori sanitari che doveva essere legata alle esigenze del SSN. In entrambi i casi ha vinto lo spirito di conservazione dell’Università italiana e delle corporazioni ordinistiche e lo abbiamo pagato con la pandemia con pochi infermieri e pochi medici soprattutto in alcune specializzazioni. Oggi abbiamo un Ministro della salute di sinistra, che appartiene a una formazione politica uscita del PD su posizioni socialdemocratiche: non può distinguersi solo sulla condivisibile posizione di prudenza sulle aperture che lo ha caratterizzato finora. Sul PNRR (Next Generation UE, Recovery fund) ci sono banalità sugli Ospedali e le Case di comunità che non intaccano il fatto che il 50% dei finanziamenti per il SSN vadano al privato accreditato, alla medicina convenzionata e alle esternalizzazioni, mentre non è previsto un piano di assunzioni straordinario di personale per il SSN. Il Ministro non propone neanche una valutazione del D.Lgs. n. 229/1999 a partire da Distretti e medicina territoriale, con l’esperienza delle Case della salute (non obbligatorie per legge), che una recente pubblicazione dell’Ufficio studi della Camera dei Deputati ha descritto in modo non certo positivo. Si continua con l’uso della parola “Sistema” sanitario nazionale al posto di “Servizio”, come prevede la legge, per continuare con l’ambiguità della collaborazione tra pubblico e privato accreditato, questo sì un punto debole della L. n. 833/1978 e del D.Lgs. n 229/199, che ne sta minando lentamente i presupposti di universalità insieme all’autonomia regionale differenziata che eredita la modifica del Titolo V della Costituzione. Due provvedimenti che nascono nella stessa stagione politica: il primo Governo Prodi nonostante una forte presenza in esso della sinistra. Mentre viene approvato un DEF 2021 con una progressiva riduzione della spesa sanitaria in rapporto al PIL. Il Vaccino Reithera è un vaccino con la stessa tecnologia di Astrazeneca: non vedo perchè bloccare finanziamenti alla ricerca e produzione. Gli argomenti della Corte dei Conti sono la contestazione dell’acquisto di una sede che assorbiva gran parte del finanziamento, ma nulla vieta che tale indicazione sia recepita e i finanziamenti erogati.

A.D.: un’ultima questione. La campagna vaccinale in Italia ha avuto i problemi che sappiamo non solo per mancanza di dosi, ma anche per evidenti carenze organizzativo-logistiche. Tu che idea ti sei fatto rispetto a quest’ultimo argomento? Ci sono limiti o scelte che rischiano di riverberarsi anche in futuro, visto che con molta probabilità le nostre strutture sanitarie dovranno adattarsi a nuove e cicliche vaccinazioni di massa?

E.T.: anni di definanziamenti del SSN, il Fiscal compact in Costituzione, le Regioni in piano di rientro e commissariate, il blocco delle assunzioni del personale del pubblico impiego, le esternalizzazioni anche di attività socio-sanitarie, la precarietà e il lavoro atipico, le Regioni in ordine sparso anche per l’incapacità del Ministero della salute di coordinamento attraverso gli strumenti previsti (Conferenza Stato, Regioni, Comuni) nello spirito dell’art. 114 della Costituzione, hanno creato la situazione cha la pandemia ha scoperchiato, ma chi lavora nel SSN ne  era ben consapevole. L’Istituto Superiore di Sanità ha perso il suo ruolo previsto dalla normativa di organo di consulenza scientifica del SSN. La mancanza di un Piano pandemico aggiornato. Aziende sanitarie e Distretti di grandi dimensioni: il contrario della prossimità con la figura anacronistica della direzione monocratica che svilisce ogni spinta alla partecipazione di cittadini e operatori. Ci siamo trovati senza un sistema nazionale informatizzato di notifica delle malattie infettive e di registrazione delle vaccinazioni. Abbiamo assistito dall’inizio della pandemia al conflitto delle Ordinanze tra Stato, Regioni e Comuni che ne comportavano altrettante delle Aziende sanitarie. I servizi del SSN sono stati inondati da pagine e pagine di provvedimenti spesso contraddittori che cambiavano rapidamente e con gli operatori preposti sul territorio inadeguati per quantità e qualità. Per le vaccinazioni è lo stesso: i servizi vaccinali della Aziende sanitarie sono insufficienti per personale e attrezzature, così si è scelta la via dei grandi HUB di cui non si sa nulla dei costi. Abbandonata la via delle Primule di Arcuri e Boeri, si sono fatte convenzioni regionali con Enti privati, fino alle farmacie. Mi pare che l’obiettivo sia di non investire in personale e strutture così “passata la festa, gabbato lo santo”, sperando in una rapida “sparizione” del virus come avvenne per la Spagnola e la SARS (cosa che ci auguriamo tutti); ma non si fanno i conti con il fatto che l’epidemia possa invece diventare endemica e richiedere servizi stabili e dedicati sul territorio e in ospedale come avvenne per l’AIDS, comprese le vaccinazioni.

 

*Edoardo Turi, medico specialista in igiene e medicina preventiva. Direttore di Distretto ASL in una grande periferia urbana di Roma. Attivista del Forum per il Diritto alla salute e di Medicina Democratica, proviene dallo scautismo cattolico. Ha partecipato alle lotte del movimento degli studenti e della sinistra extraparlamentare dal 1969 in particolare nel Collettivo di medicina dell’Università La Sapienza di Roma. Militante del Manifesto-PdUP, è stato rappresentante aziendale della CGIL medici nella propria ASL.

 

 

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