Di Genova ne abbiamo già parlato molte volte, di quei fatti epocali, dell’immensa forza distruttrice messa in campo per annichilire la grande protesta contro i grandi della terra e le loro politiche di espansione globale del capitalismo finanziario, ne abbiamo scritto e riscritto.
Per chi, come me, ha attraversato quegli anni, quella protesta e quella speranza, Genova ha assunto un carattere fondativo di una identità collettiva. Un modo per definire chi si è e contro cosa si è.
Se oggi crisi climatica, guerre, impoverimento di massa e arricchimento scandaloso di pochi, possono prosperare nel mondo, è proprio per il mancato riconoscimento di quei caratteri di ingiustizia della globalizzazione che denunciavamo e che sono stati brutalmente repressi lì
Ma oggi, a distanza di 22 anni da quei fatti, chi siamo? a cosa siamo contro? Ma soprattutto chi sono e a cosa sono contro quelli che a Genova non c’erano non per scelta ma perché nati dopo?
Sono domande semplici eppure complicate. Complicate dalle scelte di chi ha provato, dopo quella esperienza, a stare nel mezzo, cercando di aprire falle nella costruzione neoliberista che lo stesso centrosinistra promuoveva e alla fine ha portato a casa solo una propria legittimazione istituzionale o di chi ha pensato di calamitare intorno a sé le tante diversità, a volte inconciliabili, in nome di una alternativa di sistema, in entrambi i casi perdendo per strada l’identità propria e collettiva.
D’altro canto, quella esperienza di Genova, ha costituito anche a livello europeo una crescita di alcune forze politiche della sinistra in altri paesi. Syriza in Grecia, Die Linke in Germania, sono state contaminate da quel movimento e hanno saputo in alcuni casi espandere la propria azione così come la stessa Podemos in Spagna ha il proprio embrione nelle proteste di quei giorni.
Davanti alla tragedia di metà mondo in fiamme, per le guerre, per la siccità e le temperature folli, con le morti di sete, o annegato in mare, di chi cerca una fuga da un inferno senza scampo, e l’altra metà arroccata in una fantomatica presunzione di superiorità, investita comunque dalle distruzioni che il clima alterato produce, non basta più essere il collante delle diversità per parlare ed essere credibili.
Per noi e per chi è venuto dopo, soprattutto in Italia, quel carattere fondativo va certamente re-inventato. Va ripensata una rivolta costituente che metta da parte ciò che è stato e che poteva essere per ridefinire il campo.
Va, io credo, re-interpretata quella capacità di unità, quella cultura politica che è capace di guardare oltre, di porre degli obiettivi lunghi e contemporaneamente di agire nel quotidiano.
Non so se sarà possibile un giorno vedere anche qui le manifestazioni francesi contro la riforma delle pensioni, magari contro l’autonomia differenziata che oltre a condannare il mezzogiorno alla fame perenne, condanna il nord a privatizzazioni selvagge, ad esempio, nella sanità o nell’istruzione e ancor meno salvaguardia del territorio. Non so se i bassi salari e la precarietà spingerà a forme di mobilitazione fuori dalle dinamiche del confronto di palazzo. Quello che so e che ci sarebbero enne motivi per cui quello spirito che ha animato Genova possa ricomparire e re-inventare un processo di cose che cambia lo stato di cose presente.