Oggi la crisi ambientale ha probabilmente superato il punto di non ritorno. Solo una rivoluzione culturale e sociale può, per lo meno, limitare i danni o l’irreparabile.
Ma solo l’acquisizione consapevole della necessità di sconfiggere dell’attuale modello economico e sociale può permettere un serio contrasto ai cambiamenti climatici e alla catastrofe ambientale. Le ragioni di questa consapevolezza vengono da lontano, sono fortemente intrecciate con altre questioni, come la divisione in classi della società o il patriarcato.
Facciamo brevemente un po’ di storia. Partiamo da dove abbiamo cominciato: l’allevamento del bestiame. Con la domesticazione degli animali e con l’allevamento avvenuto nella preistoria, acquista maggior peso la divisione del lavoro, diventa determinante la proprietà dei mezzi di produzione, e con essa si afferma il patriarcato, che ci portiamo sino ad oggi.
Già in questo periodo si può osservare l’inizio dei primi impatti significativi sull’ambiente.
Con l’allevamento prima e l’agricoltura poi, si dà inizio ai processi di accumulazione (privata) della ricchezza; ciò che diventerà ai tempi nostri l’accumulazione capitalistica. Già dai primi secoli della storia inizia la divisione in classi della società umana. Il profitto di pochi diventa il motore della storia.
I primi impatti significativi sull’ecosistema, allora molto lenti (gli effetti visibili dopo secoli o millenni), oggi sono velocissimi. Infatti, mentre nei primi secoli dello sviluppo delle società umane gli impatti, pur significativi, erano localizzati nelle aree con maggiore densità umana, e comunque molto lenti nel tempo, con l’aumento della popolazione e con lo sviluppo delle forze produttive sono divenuti globali e devastanti. L’estrazione di valore dalla natura supera i limiti concessi dalla riproduzione di questo valore.
Questi impatti sugli ecosistemi, allora come oggi, sono strettamente condizionati dalle forme di produzione, dai mezzi di produzione e dalla proprietà di questi mezzi. (ad esempio: i pastori del medio oriente, attraverso un eccessivo carico di bestiame molto localizzato, sono stati probabilmente uno dei fattori che hanno portato quelle zone del territorio ad una progressiva desertificazione).
Ma ciò che più conta, specialmente con la moderna finanziarizzazione dei mercati, è il più completo slegamento tra capitale e società umana. Le merci e il capitale assumono un ruolo autonomo rispetto non solo alla società ma agli stessi individui che possiedono i capitali o le merci. Sempre più il profitto fine a se stesso governa l’azione dei dominanti.
I temi dell’ecologia si sono affermati come indiscutibili solo negli ultimi decenni.
Agli inizi chi cominciava ad affrontare questi problemi è stato oggetto di derisione e talvolta di attacchi violenti. Ad esempio Rachel Carson che già negli anni ’40 si occupò di ecologia e negli anni 60 pubblicò il libro “La primavera silenziosa” venne assalita violentemente da minacce e derisione, scatenato l’industria chimica americana supportata dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti come pure da molti soggetti del mondo dei mass media.
Anche la pubblicazione nel ’72 del rapporto sui LIMITI DELLO SVILUPPO pubblicato dal Club di Roma, fu considerato con sufficienza e ritenuto non credibile dalle classi dirigenti di allora.
Anche l’impegno degli ecologisti italiani della prima ora come Laura Conti (anche in questo caso una donna), o come Giorgio Nebbia, furono considerati con sufficienza e relegati sulle cose carine e interessanti ma non rilevanti, e i movimenti ambientalisti considerati come una macchia di colore, non tra le cose più importanti all’ordine del giorno. Questo anche da parte della sinistra e del sindacato. Solo con il movimento sorto contro il nucleare il movimento ambientalista acquistò una certa rilevanza e attenzione.
Oggi, dopo la momentanea uscita di scena di Trump, i negazionisti sono quasi scomparsi. Ora quasi tutti i leader mondiali, le organizzazioni politiche, e i soggetti economici si dicono ambientalisti. Ma con che risultati dal punto di vista delle scelte politiche ed economiche e con quali conseguenze dal punto di vista delle relazioni sociali e del modello dei consumi? Pochissimi
Tra i produttori, al meglio troviamo chi ha capito che l’ecologia può essere una buona occasione per ristrutturare le proprie produzioni e fare nuovi affari, al peggio troviamo chi continua a fare le stesse cose di prima con un po’ di greenwashing. Ma nessuno di questi mette in discussione il modello produttivo, il modello di consumi, ed il rapporto con gli sfruttati (si producono le macchine elettriche in nome dell’ambiente, ma i metalli rari si fanno estrarre senza alcuna considerazione per l’ambiente e per i lavoratori, e senza mettere in discussione i modelli di mobilità di merci e persone).
Le istituzioni politiche nazionali e sovranazionali, pur in situazioni critiche ed emergenziali, come ad esempio quelle della pandemia, si mostrano anche loro asserviti al profitto delle multinazionali. Sulla questione dei vaccini, hanno accettato i prezzi imposti dalle multinazionali senza mettere in discussione i brevetti e senza operare piani ed azioni per contrastare le cause ambientali che aggravano i pericoli di epidemie come quella del COVID.
Per quanto riguarda la lotta ai cambiamenti climatici, dopo la pubblicazione del Piano per la Finanza sostenibile e della prima versione della TASSONOMIA (le regole per selezionare gli investimenti sostenibili), si cede alla pressione dei lobbisti introducendo nella tassonomia anche il nucleare e il gas. Anche qui l’unica ragione seguita è quella del profitto capitalista.
Del resto, basta osservare la quota di investimenti pubblici in campo ambientale, o in campo sociale o sanitario e confrontarla con gli investimenti per gli armamenti. Mentre la spesa per le armi ha raggiunto i 2.100 miliardi di dollari nel 2021, la cifra complessiva, messa a disposizione dai Paesi membri per la cooperazione allo sviluppo, è stata di 160 miliardi di dollari.
La cosiddetta sinistra italiana (che sinistra non è), guidata dal PD, si dice ambientalista, ma poi è e complice delle scelte speculative mascherandole con qualche fogliolina verde (piste ciclabili accanto alla speculazione edilizia), e non affronta mai le cause strutturali. Anzi, accetta e in alcuni casi si fa promotrice della privatizzazione dei beni comuni, sempre nella logica del profitto capitalista.
Ma anche quel poco che c’è di sinistra vera non ha ancora rivisto e riorganizzato la propria azione politica e la propria organizzazione alla luce del problema ambientale. Lavora per compartimenti stagni, non connette le questioni. Ad esempio, tralasciando per ora questioni complesse come “cosa produrre, come e per chi “, o la necessità di un approccio ad una ecologia profonda che analizzi sino in fondo il rapporto tra società umana e natura, sulle questioni del lavoro, pur avendo compreso la necessità di considerare in modo non dissociato la questione occupazione e le questioni legata alla salute e alla sicurezza, dovrebbe ripensare, con maggiore attenzione, a parole d’ordine come “LAVORARE MENO LAVORARE TUTTI”. Ciò in considerazione della fase attuale del capitalismo che, nel suo processo di ristrutturazione, è costretto ad affrontare un problema non da poco, quello delle crisi di sovrapproduzione di molti prodotti. Questo problema è tanto un problema ambientale quanto un problema di occupazione. Dovrebbero pertanto essere portati avanti obiettivi di lotta sindacale e sociale, che riconsiderano in modo integrato ed ecologico, questioni che riguardano il salario, l’orario di lavoro, il reddito di cittadinanza, e i problemi ambientali legati al: cosa si produce e come.
Infine, la piena assunzione della questione ambientale, in una fase storica in cui sembrano prevalere i nazionalismi, permetterebbe di riprendere il tema dell’internazionalismo, di affrontare con maggiore forza problemi e questioni come il “land grabbing”, la sovranità alimentare, la esternalizzazione delle produzioni e il dumping sociale che ne deriva. Insomma molte delle questioni che prima o poi portano alla guerra (locale o globale), sempre nella logica del profitto capitalista.
Per tutto ciò siamo convinti della necessità di una ipotesi ROSSO VERDE (o verde rosso), e che il lavoro per una società più ecologica, più egualitaria, non può che passare per una critica e una lotta al modello capitalistico.
Chi invece pensa che l’ambientalismo possa essere una cosa slegata dalla critica e dalla lotta al modello capitalista, prima o poi si troverà ad essere un servo dei dominanti o un grillo parlante.
Siamo partiti con l’appello del 15 febbraio di quest’anno
al quale hanno aderito, con contributi:
Abbiamo inviato poi la lettera di invito all’incontro di sabato 28 maggio
Facciamo seguire un elenco degli articoli attinenenti all’iniziativa rosso-verde pubblicati su transform-italia.it:
- il contributo di Riccardo Petrella La speranza di tanti bei giorni è forte
- due interventi di Franco Russo (Rossoverde e L’appello rosso-verde. Un incontro di Transform! Italia)
- l’articolo di Roberto Rosso Dalle lotte in difesa della salute e dell’ambiente il progretto per una nuova società
- gli articoli di Riccardo Rifici La questione ambientale non è una questione ambientale e Ecosocialismo e sinistra
- l’articolo di Roberto Musacchio Ecco perché ci diciamo comunisti e ambientalisti
2 Commenti. Nuovo commento
C è un altra Domenica 29, nn lontana da dove voi farete l incontro,sempre in modalità rosso- verde al Pigneto, ma distinta da voi.Ma è possibile continuare così, divisi e sparpagliati? Ma in questo modo dove pensiamo di arrivare sempre divisi.Io già immagino le vs obiezioni,quelli sono vicini al PD ( cosa x altro nn vera), sono solo una verniciatura come cespugli sempre del PD,loro risponderanno, che voi siete Rifondazione travestiti da ambientalisti,ma minoritari.Insomma la solita solfa,che a sx sia gli uni che gli altri nn ingannano più.E’ pure inutile dire, che sarebbe invece necessaria l Unità con le proprie differenze.Insomma nn c è peggior sordo che nn vuole sentire.La morale è che alle c/o politiche perderemo tutti,un film già visto..Che suggerire,fate una incursione domenica al Pigneto,con un ramoscello d ulivo in mano x vedere se invece di può fare qualcosa tutti insieme,che nn somigli alla solita lista ,che poi sparirà.Nn possiamo predicare la pace,se poi noi stessi nn la sappiamo fare.
Sono fortemente interessato alla tematica rossoverde-verderosso.
Desidero ricevere informazioni, incontri e dibattiti in merito ad una eventuale organizzazione.