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Una richiesta di aiuto per i diritti umani

di Stefano
Galieni

“Una richiesta di aiuto per i diritti umani. Il crescente divario nella protezione dei migranti nel Mediterraneo” questo il titolo della Relazione di follow-up alla Raccomandazione del 2019 della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, resa pubblica pochi giorni fa. Si tratta di un bilancio rispetto a quanto accaduto dopo la Raccomandazione “Vite salvate. Diritti protetti. Colmare il divario di protezione per rifugiati e migranti nel Mediterraneo” del giugno 2019 con cui si suggeriscono agli Stati membri dell’UE affinché chi tenta di raggiungere via mare il continente veda rispettati gli obblighi in materia di diritti umani. Secondo il rapporto, la situazione rispetto a due anni fa, al netto di alcuni labili miglioramenti, “continua ad essere deplorevole”. Gli Stati Ue restano ancora riluttanti nel garantire un adeguato sistema, non solo di protezione ma di salvaguardia della vita stessa di chi tenta di entrare in Europa via mare, di fatto non facendo abbastanza per evitare che chi fugge venga ripreso e sottoposto a torture o a trattamenti inumani e degradanti. A detta della Commissaria Dunja Mijatović “le decisioni del Consiglio d’Europa sono motivate principalmente dall’obiettivo di limitare gli arrivi”. Quello che è inconfutabile è che anche la mancata (voluta o meno) cooperazione fra i Paesi, in materia di immigrazione, provoca in continuazione migliaia di vittime. Nonostante le denunce delle ong, la diminuzione del sostegno alla Guardia costiera libica è stata più dichiarata che praticata, e nessuna reale pratica di espansione di rotte legali e sicure è stata realmente attuata. Il rapporto denuncia i danni del progressivo ritiro delle navi degli stati del Mediterraneo e gli ostacoli frapposti alle attività delle ong che, insieme alle decisioni di bloccare gli sbarchi e la mancata assegnazione di porti sicuri, hanno messo a rischi ogni attività di soccorso. Italia e soprattutto Malta hanno operato in maniera tale che per intercettare le navi dei fuggitivi e riportare le persone nei lager da cui fuggivano hanno avuto campo libero le navi della Guardia costiera libica. Oltre 20.000 i rimpatri effettuati nel biennio 2019/2020. Proprio mentre l’escalation del conflitto in Libia raggiungeva i suoi apici, con l’ingresso a Tripoli di jahedisti di mezzo mondo sostenuti dalla Turchia di Erdogan per fronteggiare le milizie della Cirenaica di Haftar, sostenute da mercenari russi e dall’Egitto, l’UE e in particolar modo i paesi di frontiera – nonostante i cambi di governo – continuavano a cooperare con le sedicenti autorità libiche. L’esplosione della pandemia ha reso ancora più inesigibili i diritti dei migranti, restringendo il campo di attività di tutti. Le raccomandazioni della Commissaria non lasciano scampo ad interpretazioni e sono state raccolte solo parzialmente: la richiesta di avere in mare strumenti adeguati ed efficaci per la ricerca e il soccorso non ha avuto spazio. Oggi in quel tratto di mare il controllo è garantito dall’alto, attraverso aerei e droni ma raramente con mezzi in grado di salvare le persone in difficoltà. Malta e Italia non hanno agito sempre nello stesso modo. La prima è una piccola isola, densamente abitata, in cui è ormai consolidata tradizione evitare di raccogliere profughi, data anche la scarsezza di posti disponibili, che ha reagito stringendo accordi ancora più strategici con la Libia e garantendo le informazioni necessarie alla cosiddetta Guardia costiera di Tripoli per evitare di intervenire nei soccorsi ma, anzi, di lasciare tutto in mano ai libici. Un anno fa, come denunciato da esponenti maltesi, si è giunti anche alla “privatizzazione dei respingimenti”. In almeno due casi comprovati sono stati utilizzate, dopo un periodo di fermo in mare, navi commerciali per riconsegnare in Libia i profughi.

Diverso l’atteggiamento italiano che da quando non c’è più Salvini al Viminale, permette alle navi delle ong di entrare nelle Place of Safety (i porti sicuri) in due giorni ma poi attua fermi amministrativi alle imbarcazioni attraverso interpretazioni a dir poco bizzarre dei codici di navigazione.

La auspicata “solidarietà europea” per redistribuire chi arriva non ha mai preso realmente piede, la “guerra alle organizzazioni umanitarie” continua tanto mediante le procure, quanto con le azioni del ministero dell’Interno e, in maniera ancora più subdola per via mediatica, tentando di screditarne le ragioni etiche per cui i loro equipaggi rischiano la vita in mare.

Il progetto Missing Migrants gestito dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) di cui abbiamo già scritto, ha registrato, a fronte di un calo delle partenze nel primo periodo pandemico, una impennata del numero delle vittime nei naufragi, quasi tutte nel Mediterraneo Centrale.

Non è casuale, per alcuni mesi da Malta e dall’Italia non sono partite navi di ricerca e soccorso e quando nell’aprile 2020 è partita l’operazione EUNAVFOR-MED Irini, questa ha interessato soprattutto la fascia libica orientale, l’Egitto e la Grecia, lasciando sguarniti i luoghi in cui le partenze sono maggiori, Libia occidentale e Tunisia.

L’assurdo è che nelle regole dell’operazione rientrava il fatto che la stessa non deve provocare un effetto di attrazione per i migranti in fuga.

Col risultato che chi fugge si ritrova con scarse possibilità di essere soccorso, se ciò avviene, rimandato in Libia, se invece l’imbarcazione su cui naviga è in difficoltà rischia il naufragio perché sovente i responsabili della zona SAR libica non rispondono alle richieste di soccorso. La Commissaria continua a raccomandare maggiori capacità di intervento europee, la non intromissione anzi il sostegno alle navi delle ong che non devono essere poi fermate perché hanno salvato persone

Mare e ha chiesto che si indaghi su qualsiasi accusa credibile di mancata risposta o di ritardo nella risposta a chiamate di soccorso delle autorità competenti ogni singola zona SAR.

Nonostante le raccomandazioni del giugno 2019 per cui non si poteva considerare la Libia un “luogo sicuro” per gli sbarchi, per i tanti e comprovati soprusi commessi nei confronti dei richiedenti asilo e per il conflitto in corso, si è continuato, come già detto a rimandare indietro migliaia di persone.

L’8 maggio 2020 l’Alto Commissario Onu per i diritti umani aveva chiesto una moratoria su tutte le intercettazioni e i respingimenti in Libia ma nessuno ha ritenuto opportuno obbedire a tale richiesta.

Nel 2020, nonostante la crisi del Covid-19, sono state intercettate e rimandate in Libia 11891 persone, il 34% in più rispetto all’anno precedente e questo grazie ad azioni e omissioni degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Il rapporto denuncia che negli ultimi 3 anni oltre 30 navi private che stavano effettuando salvataggi hanno riportato i sopravvissuti in Libia almeno una – è comprovato – batteva bandiera di uno stato UE.

Si è trovato il modo di aggirare le raccomandazioni del 2019 con sistemi più raffinati, specialmente affidando il “lavoro sporco” a navi non UE o comunque private. Ma la pratica dei respingimenti diretti è aumentata in piena impunità anche nell’Egeo – imbarcazioni rimandate in Turchia dalla Grecia – e da Cipro. Nell’agosto 2019, Le modifiche introdotte in Italia sui decreti sicurezza di Salvini hanno si chiarito che

“l’ingresso, il transito o l’attracco nelle acque territoriali delle navi che hanno effettuato un’operazione di soccorso non possono essere vietati quando questo è stato immediatamente comunicato al competente Centro di coordinamento dei soccorsi e allo Stato di bandiera”. Ma non basta: se il Centro di coordinamento è quello libico, considerato competente in quanto deve controllare una propria zona SAR, questo può impartire istruzioni per lo sbarco in Libia senza intromissioni “umanitarie”.

Gli Stati europei messi sotto accusa, in particolare Italia e Malta, hanno bollato le accuse di respingimenti illegali come “fake news”, secondo la stessa Commissaria, “non si tratta di una risposta seria”.

Nel rapporto in questione si chiede in maniera netta di: riesaminare l’impatto delle attività di sorveglianza aerea e garantire che non contribuiscano, facilitando i respingimenti in Libia, a ulteriori violazioni dei diritti umani; indagare su accuse di respingimenti e rimpatri illegali, considerare anche l’utilizzo delle cd “navi quarantena” come funzionale unicamente garantire la salute di chi arriva e di chi accoglie e non come luogo di privazione della libertà personale.

Nel testo si critica esplicitamente il rinnovo automatico nel febbraio 2020, del Memorandum of Understanding (MoU), firmato nel febbraio 2017. Al precedente Presidente del Consiglio italiano, la Commissaria aveva inviato una lettera, dal titolo “Una richiesta di aiuto per i diritti umani” in cui si chiedeva almeno l’introduzione di modifiche nell’accordo. Il governo italiano ha risposto che alcune delle richieste sono state recepite ma nel testo prorogato non c’è alcun chiaro accordo in materia. Delle modifiche, impossibili per altro ad accordo già raggiunto, si è continuato a parlare almeno fino allo scorso dicembre ma non c’è ad oggi alcun segnale che le possa far considerare – per quanto insufficienti – recepite. L’impossibilità tutt’ora in essere di effettuare forme indipendenti di monitoraggio ha portato la Commissaria a chiedere la sospensione di tale cooperazione.

Peggiore ancora il MoU concordato fra Libia e Malta nel maggio scorso che sancisce l’istituzione di Centri di coordinamento congiunti che potrebbero consentire alla Guardia costiera libica di intercettare fuggitivi le intercettazioni senza fornire garanzie sui diritti degli intercettati.

Di positivo ci sono stati i risultati ottenuti dalle azioni legali promosse delle ong e da chi difende i diritti umani. Alla fine del 2019, in virtù di queste il governo francese ha annullato la consegna di otto navi alla Guardia costiera libica, navi che ne avrebbero implementato le capacità di cattura dei fuggitivi. Tale decisione – e questo offre l’idea di quale clima si respiri fra chi si occupa di tali tematiche – è stata ufficialmente accolta con favore dalla Commissaria UE.

Ulteriori ricorsi, presentati dal Comitato Onu per i diritti umani che ha inviato istanza alla Corte penale internazionale e poi dalla Corte dei conti UE, che ha chiesto la revisione del sostegno finanziario ai progetti in Libia che arrecano danni ai diritti umani.

La soluzione da adottare e che fa propria anche il rapporto, prevede vie sicure e legali di ingresso e percorsi veri di ricollocazione. Vie sicure e legali

I reinsediamenti a detta del rapporto sono stati 29,066 nel 2019, per il 2020 era stato promesso un incremento ma, forse anche a causa della pandemia, ne sono stati realizzato poco più di 11.000.

Ma la pandemia è un motivo reale? Secondo i dati forniti nei Paesi Bassi il governo ha annullato una decisione del 2019 per espandere il numero di persone da accogliere (da 500 a 750), a settembre 2020 ha poi comunicato che le 100 persone accolte dalla Grecia andrà detratto dai posti disponibili. Più grave la scelta della Danimarca di confermare di non accettare le 30 persone da ospitare.

Una parte delle persone a rischio presenti in Libia sono state temporaneamente evacuate – dichiara il rapporto – in Niger e Ruanda, attraverso i Meccanismi di Transito ed Emergenza (ETM), ma oggi anche queste sono diventate più problematiche.

Da ultimo il tentativo di aprire vie legali e sicure è presente ma largamente sottoutilizzato, ci sono in essere iniziative private come quella dei “corridoi umanitari” gestito da realtà soprattutto religiose ma la Commissaria ha rilevato che “i visti umanitari – ulteriore strumento – rimangono fortemente sottoutilizzati”.

Questo il quadro presentato dal rapporto, molto denso che dovrà confrontarsi con il percorso del New pact of migration and asylum, basato soprattutto sui rimpatri e la non concessione dei visti e con la tanto attesa e, nelle bozze micidiale, “nuova direttiva rimpatri che dovrebbe giungere dall’UE.

diritti umani, migrazioni
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2 Commenti. Nuovo commento

  • The INA defines “refugee” as anyone who has left his homeland because of persecution, or fear of persecution, for reasons of race, religion, nationality or belonging to a certain social or political group. In Italy those who do not get vaccinated can not go to the bank, can not go to work, can not go anywhere. For the moment those who do not get vaccinated can only go shopping I ask for political asylum in some country? Can you help me?

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    • redazione
      09/01/2022 14:52

      Non siamo affatto convinti che lei si possa paragonare a un rifugiato che lascia il suo Paese anche per avere farmaci e assistenza sanitaria. transform!italia si batte per il libero accesso ai vaccini e affinché tutti i Paesi ne ricevano a sufficienza. (We are not at all convinced that you can be compared to a refugee who also leaves your country to get drugs and health care. transform! italia fights for free access to vaccines and for all countries to receive enough of them.)

      Rispondi

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