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Una diversa “governance” territoriale per gestire il futuro

di Riccardo
Rifici

Sempre a proposito di come e dove investire per rilanciare l’economia italiana provata dall’emergenza sanitaria, e da molti altri avvenimenti e scelte economiche che l’hanno preceduta, anche per evitare che queste risorse diventino bottino dei soliti attori, credo sia utile una riflessione sul tema della “governace” territoriale, sia per capire come lavorare meglio sulle questioni che riguardano la cura del territorio, la buona organizzazione dei servizi ai cittadini e la promozione di un’economia orientata verso la sostenibilità, sia per fare un po’ di chiarezza in merito al “dibattito” su federalismo e autonomia regionale.

In questi ultimi questi decenni, certamente dalla riforma del Titolo V della Costituzione, fatta ai tempi di Bassanini, tali scontri si sono fatti sempre di più acuti sino ad arrivare ai referendum regionali voluti dalla Lega e alla cosiddetta “Autonomia differenziata” voluta anche da Bonaccini, Presidente dell’Emilia. Anche sulle misure prese per fronteggiare l’emergenza sanitaria, abbiamo potuto rilevare gli scontri istituzioni tra regioni e Stato centrale.

Parto subito col riportare una mia convinzione sviluppatasi anche nel corso di una quarantennale esperienza lavorativa nella Pubblica Amministrazione (prima in una Regione poi in un Ministero: in questi decenni: è stato replicato, in peggio, a livello regionale quel centralismo, molto criticato dai cosiddetti “autonomisti”. In genere si sono replicati i difetti del centralismo statale, senza essere capaci di garantire gli elementi positivi di quel centralismo, provocando, in alcuni casi sovrapposizioni con le indicazioni provenienti dalla Stato e, in altri, contraddizioni con norme di altre regioni (nella mia esperienza lavorative in campo ambientale ho potuto rilevare le contraddizioni tra l’applicazione di norme diverse applicate da territori distanti pochi chilometri, ma separati da un confine regionale). Peraltro, con varie iniziative, culminate con la riforma voluta da Renzi, sono stati definitivamente depotenziate (se non cancellate) le Province che, nel bene e nel male, erano l’organismo di area vasta che aveva cercato di svolgere alcune reali funzioni di governo del territorio.

In sostanza, credo che si possa affermare che, lo spostare a livello delle regioni compiti legislativi e di regolazione, sia stato un fallimento.

Oggi, anche alla luce della crisi sanitaria e in particolare per rispondere alle esigenze di sostenibilità (sociale, ambientale ed economica), è necessario che allo Stato ritornino intatti quei compiti riguardanti la produzione di normative e linee guida in grado di definire orizzonti e strategie sulle questioni strutturali (naturalmente tenendo contro di quanto va sviluppato a livello sovranazionale).

Ciò che oggi è molto carente, o del tutto assente, è quella capacità di articolare a livello territoriale, attraverso il coinvolgimento degli attori che sono sul territorio, quelle strategie che vengono definite a livello nazionale o sovranazionale. Tale azione, se ben condotta, oltre a garantire maggiormente il raggiungimento degli obiettivi previsti dalle strategie globali o nazionali, potrebbe dare quei “feedback”, quei suggerimenti per correggere e migliorare e addirittura integrare, tali strategie e obiettivi.

In estrema sintesi, tutto ciò significa costruire la capacità governare nella quotidianità le attività che si svolgono in un territorio, i processi sociali, organizzativi e amministrativi atti a garantire la qualità dei servizi pubblici e delle attività produttive in una logica di sostenibilità.

Per far questo sono senz’altro necessari finanziamenti e linee guida da parte delle Stato, ma non solo.

Le cose che si possono fare sono molte, ad esempio: per migliorare la qualità ambientale, la coesione sociale e la qualità delle relazioni tra i diversi soggetti di un territorio è necessario promuovere, con adeguati strumenti, l’integrazione tra le attività delle pubbliche amministrazioni, delle imprese produttive e dei centri di ricerca, con il massimo coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentati, garantendo la massima trasparenza verso le collettività locali.  Grazie a ciò possono essere definiti piani integrati di sviluppo socio-economico di area, dai quali fare discendere la realizzazione di progetti specifici anche a carattere sperimentale, che favoriscono l’integrazione delle attività produttive nel tessuto socio-economico locale, migliorano la qualità dei servizi e delle infrastrutture, consentano un migliore utilizzo delle risorse finanziare pubbliche e una razionalizzazione della spesa pubblica nel medio-lungo periodo, con l’individuazione degli strumenti attuativi e le tempistiche per attuarli. Il tutto avendo cura di garantire il massimo della sostenibilità ambientale e della dignità delle persone

Alcuni esempi (non esaustivi) di azioni specifiche possono riguardare:

  • L’attivazione e il mantenimento di momenti di confronto con i cittadini, con gli altri attori chiave che sono sul territorio per seguire e analizzare le azione che interessano il territorio come, ad esempio, quali siano gli investimenti tecnologici, infrastrutturali, o quali altri iniziative occorrano (per esempio: integrazioni ai piani regolatori, atti amministrativi mirati etc.);
  • Ottimizzare l’integrazione delle azioni a livello locale e le sinergie tra i diversi attori del territorio, in particolar modo enti locali, imprese ed enti di ricerca, per proporre e realizzare progetti integrati, produzioni locali o altre iniziative mirate a migliorare la qualità ambientale e sociale del territorio e dei sui prodotti.
  • Realizzare con la collaborazione anche economica dei diversi attori, quelle infrastrutture comuni per la miglior gestione di temi ambientali. Non solo infrastrutture idriche ed impianti di trattamento dei rifiuti urbani, ma anche centri di trattamento per la preparazione al riutilizzo dei residui industriali e dei rifiuti da destinare (nella logica dell’economia circolare) ad altre attività produttive presenti sul territorio al fine di favorire il recupero e il riutilizzo dell’energia e della materia di scarto delle lavorazioni (per realizzare quel che si chiama simbiosi industriale).
  • Promuovere e sostenere attività finalizzate alla riparazione e al recupero dei diversi manufatti;
  • Dare sostegno, ai negozi di prossimità per il commercio al dettaglio ed altre forme di piccola distribuzione organizzata.
  • Realizzare iniziative di qualificazione ambientale dei territori, tra cui: lo sviluppo di servizi e sistemi integrati di trasporto delle persone e di logistica e distribuzione delle merci e dei semilavorati, impianti di produzione di energia rinnovabile a servizio del territorio e delle attività produttive.
  • Sostenere le iniziative per un’economia sostenibile (distretti di economia solidale, GAS, ecc…)
  • Sostenere ed incentivare iniziative dei cittadini per la promozione di comportamenti e modelli di consumo sostenibile
  • Sempre con lo stesso metodo attivare quelle azioni necessarie a garantire e migliorare la fruizione da parte dei cittadini di tutti quei servizi alla persona e alla collettività, con particolare attenzione alla tutela della salute, dell’ambiente, all’istruzione e alla cultura.

Per fare tutto ciò è necessario prevedere canali specifici di finanziamento per tali attività, ma non solo, bisogna prima di tutto ricostruire culturalmente la capacità dei soggetti politici di stare nei territori, e di governare in modo propositivo gli enti locali.

È, inoltre, necessario avviare una riflessione seria sulla struttura istituzionale presente nella nostra Costituzione, soprattutto per come si è andata a configurare dopo la modifica del Titolo V e con l’introduzione forme variegate di “presidenzialismo” (vedi ad esempio il titolo di “governatore” nelle regioni) e i diversi e, talvolta, strampalati sistemi elettorali maggioritari.

Forse, così, ci potremmo rendere conto che è necessario rivalutare la funzione e i compiti di alcune entità, come le Province, o le Autorità di distretto idrografico o altre cadute in disgrazia o mai attivate. Potremmo magari ridisegnare i compiti di strutture come le Comunità montante o altre nuove entità (associazioni di piccoli comuni o di ambiti territoriali particolari) o, infine, ci potremmo convincere che è necessario ridimensionare fortemente (o annullare del tutto) i compiti delle Regioni!

centralismo, Regioni, Titolo V
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