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Un triste anniversario

di Maria Pia
Calemme

Tra il 7 e il 9 marzo 2020, in un “clima” generale di paura per il richio di contagio, a ridosso del lockdown che ci avrebbe imposto di stare chiusi in casa e ridotto ulteriormente gli spazi di vita negli istituti penitenziari con il divieto di colloqui con i familiari e di ingresso dei volontari in carcere, numerose proteste di detenuti attraversarono l’Italia. Ce ne furono di violente, si verificarono delle evasioni e 13 detenuti morirono: tre a Rieti, uno a Bologna e nove nella Casa Circondariale Sant’Anna di Modena, direttamente nell’istituto penitenziario o mentre i detenuti, in gravi condizioni di salute ma non ritenuti in pericolo di vita (circostanza che avrebbe imposto il ricovero in ospedale), venivano trasportati verso altri istituti. I loro nomi (Marco Boattini, Salvatore Cuono Piscitelli, Slim Agrebi, Artur Iuzu, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez, Haitem Kedri, Ghazi Hadidi, Abdellah Rouan) furono resi pubblici solo molti giorni dopo (il 18 marzo) e non dal Ministero della giustizia ma dal giornalista Luigi Ferrarella. Il ministero brillò, all’epoca, per assenza e per omissioni. Non solo non comunicò i nomi dei detenuti deceduti, ma non fornì quasi alcuna informazione su quanto avvenuto (l’ispezione arrivò solo un anno dopo) e tacque a lungo anche sul numero dei contagi da Covid in carcere (il primo “bollettino” ufficiale è del 23 novembre 2020)1.

La Procura di Modena aprì 3 fascicoli d’inchiesta su quanto accaduto al Sant’Anna: il primo relativo ai danni a cose e persone causati dai detenuti all’interno penitenziario; il secondo riguardava la causa di otto delle nove morti avvenute durante le proteste e i conseguenti trasferimenti (per la morte di Salvatore Piscitelli l’inchiesta è condotta dalla Procura di Ascoli Piceno nel cui carcere era stato trasferito da Modena); il terzo ipotizzava i reati di lesioni e tortura ai danni dei detenuti da parte di ignoti.

La prima inchiesta è ancora aperta. La terza ha di recente avuto degli sviluppi, con l’iscrizione nel registro degli indagati di 4 agenti della polizia penitenziaria (notizia confermata durante la cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario, svoltasi a Bologna), a seguito del riconoscimento fotografico di alcuni agenti da parte delle vittime di violenze.

La seconda indagine si è chiusa a giugno 2021 con l’archiviazione2. Il GIP (giudice per le indagini preliminari) ha infatti stabilito che Hafedh Chouchane, Erial Ahmadi, Slim Agrebi, Ali Bakili, Lofti Ben Mesmia, Ghazi Hadidi, Artur Iuzu e Abdellha Rouan sono morti a causa di overdose di metadone e psicofarmaci sottratti, durante la rivolta, dalla medicheria del carcere. L’amministrazione penitenziaria, dunque, non avrebbe alcuna responsabilità in quanto avvenuto. Secondo il GIP, inoltre, sia l’Associazione Antigone sia il Garante nazionale delle persone private della libertà, che avevano chiesto di costituirsi parte civile, sono “soggetti privi della qualifica di persone offese in riferimento ai reati ipotizzati”, cioè non possono intervenire nel procedimento.

A dicembre dello scorso anno l’avvocato Luca Sebastiani, legale della famiglia di Hafedh Chouchane, insieme a Barbara Randazzo e Valerio Onida (patrocinatori del ricorso per le torture durante il G8 di Genova, a seguito del quale la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia), ha depositato un ricorso alla CEDU contro l’archiviazione. Ci aspettiamo verità e giustizia3.

  1. Il più recente, con i dati aggiornati al 7/3/22, riporta 1.060 detenuti positivi su 53.886 presenti e un totale di somministrazioni di vaccino pari a 106.644.[]
  2. Si vedano, tra gli altri, il Dossier contro l’archiviazione di diritti globali.it, e l’articolo di Lorenza Pleuteri in osservatoriodiritti.it, che esaminano le contraddizioni del provvedimento.[]
  3. Questo il nome del Comitato che ha sostenuto anche il ricorso.[]
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