Pubblichiamo la trascrizione dell’intervento alla manifestazione del 21 dicembre contro l’autonomia differenziata che l’autrice ci ha inviato –
Siamo qui perché viviamo nel Paese dei 452 morti sul lavoro del primo semestre del 2022; il Paese della Tav e della Pedemontana da una parte, dall’altra del binario unico Andria-Corato, a causa del quale persero la vita, il 12 luglio del 2016, 23 persone, pendolari, e ne vennero ferite 56; siamo il Paese dell’abusivismo di Ischia e delle morti causate dalla devastazione del territorio; siamo il Paese in cui Lorenzo Parrelli, Giuseppe Lenoci e Giuliano De Seta, che sono usciti di casa per andare a scuola, garantiti dalla scuola, non sono tornati più, morti di alternanza scuola lavoro; siamo il Paese in cui Ginevra, una bambina di Catanzaro, è morta di Covid a 2 anni, inutilmente trasportata d’urgenza al Bambin Gesù di Roma, perché in Calabria, con 2 milioni di abitanti, non ci sono terapie intensive infantili; in Veneto, con 5 milioni di abitanti, ce ne sono 3; siamo il Paese in cui ci si ammala di più di cancro al Nord, ma si muore di più al Sud. E potrei tirar fuori tanti altri casi. Cosa hanno in comune questi dolorosi esempi, apparentemente distantissimi tra loro? Moltissimo: le norme generali dell’istruzione, le infrastrutture, la sanità, il governo del territorio, la sicurezza sul lavoro sono 4 delle 23 materie che – se si concretizzasse il progetto di autonomia differenziata – passerebbero (per le Regioni a statuto ordinario che dovessero farne richiesta) alla potestà legislativa esclusiva della Regione. Siamo veramente stanchi che un bambino o una bambina, una donna o un uomo di Reggio Calabria valgano già molto, ma molto di meno di uno di Reggio Emilia. È necessario invertire la rotta di questa diseguaglianza, di questa ingiustizia che né il fatalismo, né la norma possono convincerci ad accettare.
Siamo qui per ribadire un no senza condizioni a questo progetto di autonomia differenziata, che scardinerà il contratto collettivo nazionale, determinerà diritti universali diversi sulla base del certificato di residenza, aumentando ulteriormente le già enormi diseguaglianze tra zone del Paese, contraendo ancor più gli spazi di democrazia e, diciamolo senza enfasi, ma con consapevolezza: l’autonomia differenziata è un disegno eversivo dell’unità della Repubblica. Le classi dirigenti, ora la destra al governo, tentano di usare cinicamente la complessità del tema (ricordiamo il leitmotiv di Zaia e altri, che parlano di realizzazione della Costituzione) perché, si sa, chi deve procurarsi il pane quotidiano e una casa per sopravvivere ha altro a cui pensare che imbracciare la Costituzione per esigere i propri diritti.
Siamo qui perché il pericolo è imminente e concreto. Il ministro degli Affari Regionali, Calderoli, aveva approntato una legge-quadro che avrebbe rese operative le richieste delle 3 Regioni che già stipularono pre-intese nel 2018 con il governo Gentiloni (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna); una legge prontamente declassata a “bozza” o “appunti”, dopo la levata di scudi di chi inneggiava ai Lep. A costoro Calderoli ha risposto in maniera più efficace e clamorosa: ha inserito la procedura per determinare i Lep nell’art 143 della Legge di Bilancio, affidandola – in una visione proprietaria e lontana dalla democrazia costituzionale – ad una commissione governativa che in soli 6 mesi dovrebbe definire i livelli essenziali di prestazione (cioè quello che non si è fatto in 22 anni) e di cui almeno da 13 anni (dal tempo della legge 42 del 2009) si parla, non facendone nulla. Un tempo record, trascorso il quale la palla passerà in mano ad un commissario. Del Parlamento nessuna traccia, dei Comuni nessuna traccia, le Regioni chiamate solo attraverso la Conferenza. Mentre i cittadini e le cittadine continuano ad essere ignari e ignare. Il motivo è il solito: non disturbate i grandi manovratori. Ci occupiamo di tutto noi. Assecondare questa pretesa significa rinunciare alla partecipazione, quindi alla consapevolezza, quindi alla democrazia.
Quella che dovrebbe essere una discussione pubblica e aperta, volta a definire urgenze, bisogni e richieste dei territori si comprime in un provvedimento dell’Esecutivo, calato dall’alto, volto sostanzialmente ad archiviare il problema, legittimando le già enormi diseguaglianze presenti nel Paese. Per noi dei comitati Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti, non devono e non possono esistere Livelli essenziali di prestazione, ma solo Livelli uniformi di prestazione, perché sono garantiti e scritti nel c. 2 dell’art 3 della Carta.
In un colpo solo – in un Paese messo in ginocchio dall’1-2 pandemia guerra – si cancelleranno i principi di uguaglianza e di solidarietà, il principio di autonomia sancito dall’art. 5 della Costituzione e nel quale – a nostro avviso – risiede il fondamento di illegittimità costituzionale dell’art. 116 c.3, così come uscito dalla Riforma del Titolo V. Con la riforma del Titolo V del 2001 – un “manifesto di insipienza giuridica e politica”, come ebbe a definirlo il compianto prof. Gianni Ferrara – si sono sfigurati il volto del nostro sistema istituzionale, la partecipazione e la democrazia, contribuendo e legittimando a dismisura il gap già esistente tra Nord e Sud, tra territorio e territorio e le enormi diseguaglianze. Con l’autonomia differenziata, l’unità della Repubblica rimarrà solo un enunciato formale.
Siamo allibiti e preoccupati di fronte al fatto che il Partito Democratico non voglia rendersi conto che l’autonomia differenziata spezzerà l’unità della Repubblica e si sia reso protagonista – prima con Bonaccini e ora con Giani – di uno schiaffo ai diritti delle donne e degli uomini di questo Paese. Siamo ancora speranzosi che ci siano in quel partito persone leali ai principi fondamentali della Costituzione (di cui si auto-dichiarano paladini), anche se i nostri appelli ad alcuni loro esponenti a partecipare a questa piazza sono stati inascoltati.
Alle forze parlamentari che hanno chiesto l’abrogazione dell’art. 143 della legge di bilancio o che si stanno battendo, sia pure con accenti diversi, contro l’autonomia differenziata – come l’M5S, qui presente con l’on. Silvestri, l’on. Zaratti di Europa Verde, il sen. De Cristofaro di Sinistra Italiana, come a tutti e tutte i/le parlamentari che hanno a cuore i valori costituzionali, affidiamo un messaggio chiaro: non ci basta e non ci deve bastare aver convocato questa piazza. Dobbiamo avere la forza di ostacolare questo percorso eversivo, di mettere sabbia negli ingranaggi della macchina messa in moto per frantumare la Repubblica. Noi del comitato Per il ritiro di ogni AD, insieme al Tavolo NOAD, dobbiamo esigere da noi stessi la fatica che la coerenza comporta nel perseguire la cancellazione dell’autonomia differenziata.
A noi – dopo 4 anni ininterrotti di studio, impegno, lotta – non bastano più semplici promesse, rassicurazioni senza seguito o una ben riuscita manifestazione come questa di oggi pomeriggio.
Questa nostra iniziativa è il frutto di una coalizione di forze sindacali, associative, di comitati territoriali, di sindaci e consiglieri comunali, di forze politiche oggi fuori dal Parlamento, come Unione Popolare qui con Luigi De Magistris (e che vede insieme PRC, Manifesta, Potere al Popolo e Dema), di sindacati, dalla Confederazione Cobas alla FlCgil all’USB all’SGB, da Attac alla Rete dei Numeri Pari, ai Giuristi Democratici, ai costituzionalisti che – come il prof. Azzariti che ha parlato poco fa – non hanno dismesso la loro di missione di difendere i valori costituzionali. Con loro e con altre e altri continueremo ad alimentare l’azione di informazione e di mobilitazione per sconfiggere il disegno dell’AD.
Ma oggi siamo al dunque, e le nostre mobilitazioni e pressioni devono trovare uno sbocco nelle aule del Parlamento, innanzitutto perché esso non sia definitivamente defraudato delle sue prerogative; perché ci si opponga alle procedure tecnocratiche e autoritarie con cui si vogliono definire dall’alto i bisogni delle persone e perché si costruisca un’efficace opposizione ai progetti di Calderoli – dalla questione dei LEP fino al disegno di legge quadro.
Chiediamo con intransigenza che le forze politiche parlamentari facciano tutto il possibile, ma davvero tutto il possibile, per interrompere questo scellerato progetto. Noi, con i sindacati, con le associazioni, con i comitati, con il Tavolo continueremo indefessi a difendere l’unità della Repubblica, cioè l’unità dei diritti fondamentali, a prescindere da dove si risiede e da dove si viene. Noi sosterremo tutti e tutte coloro che in Parlamento, nelle istituzioni regionali e locali si batteranno contro l’AD. Noi, sacrificando danaro e tempi di vita, abbiamo lo scopo di rimuovere diseguaglianze e difendere così la Repubblica dei diritti.
Per questo non c’è bisogno solo di essere presenti a qualche iniziativa, cosa lodevole, o di emettere qualche comunicato, spesso in linguaggio cifrato. Chiediamo a tutti/e coloro che sono presenti in questa piazza di proseguire nell’opera di sensibilizzazione all’interno delle proprie organizzazioni per rafforzare una mobilitazione che deve raggiungere il suo scopo: impedire la realizzazione dell’AD.
A tutti/e noi si richiedono azioni, fatti. Noi siamo convinti che per tagliare alla radice il disegno di AD serva un taglio chirurgico come una legge di revisione costituzionale per cancellare il c.3 dell’art. 116. La proponemmo lo scorso anno a parlamentari e senatori uscenti – come quelle/i del gruppo Manifesta e il sen. De Falco – che l’hanno presentata durante la scorsa legislatura. Chiediamo ora ai parlamentari presenti di riproporla, per dare voce e rappresentanza alla nostra lotta.
Ci sono anche altre strade per ostacolare, erigere sbarramenti in modo da impedire a Calderoli di raggiungere il suo obiettivo: noi continueremo a mobilitarci e a seguire passo passo l’evoluzione del progetto, e dovremo per questo stabilire collaborazioni strette, senza ambiguità, in modo che la voce dei/ cittadini/e giunga al Parlamento. Per impedire la sovversione dall’alto dell’ordinamento costituzionale, stringiamo qui tra noi un patto per sconfiggere l’AD, per sconfiggere la ‘secessione dei ricchi’. Questo ci e vi proponiamo.
Marina Boscaino