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Un nuovo percorso di lotte e mobilitazioni generali

di Leopoldo
Tartaglia

Le piazze piene e colorate del 25 aprile, festa della Liberazione dal nazi-fascismo, e del primo maggio sono state un viatico importante per la riuscita delle manifestazioni interregionali promosse dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil per il 6 maggio a Bologna (centro Italia), il 13 a Milano (nord Italia), il 20 a Napoli (sud Italia e isole).
Per quanto si trattasse di scadenze tradizionali per il movimento democratico e sindacale italiano, quest’anno 25 aprile e primo maggio assumevano un valore particolare, svolgendosi a pochi mesi dall’insediamento del governo più a destra della storia repubblicana, guidato dalla (post)fascista Giorgia Meloni. Alla premier e al presidente del Senato, il fascista Ignazio la Russa – che il 25 aprile è andato a Praga a commemorare Jan Palach (?!) – non è proprio riuscito di riconoscersi nella Repubblica democratica e nella sua Costituzione antifascista e fondata sul lavoro!
E allo stesso modo il governo di destra ha cercato di appropriarsi della giornata di festa e di lotta del lavoro del primo maggio, convocando un Consiglio dei ministri per varare quelle che definisce misure a favore del lavoro. Che si riducono, da un lato in una modestissima riduzione del cuneo fiscale per i redditi da lavoro fino a 35mila euro annui, e dall’altro nella definitiva cancellazione del reddito di cittadinanza (pur varato da un governo che aveva nella Lega di Salvini uno dei due partiti contraenti), sostituito da misure punitive nei confronti dei più poveri e vulnerabili e da un’ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro, con l’allargamento dei contratti a termine e della possibilità di utilizzo dei voucher.

Non è mancata la farsa della convocazione la sera prima – domenica 30 aprile – dei sindacati confederali per informarli delle misure già confezionate pronte per la ratifica del Consiglio dei ministri. In piena continuità, per la verità, con il metodo inaugurato dall’allora primo ministro Renzi – teorico e praticante della “disintermediazione” – e proseguito con i governi successivi, Draghi incluso.

La mobilitazione sindacale – in corso, sul piano generale, con una campagna capillare di assemblee nei posti di lavoro e nei territori – ha di fronte a sé un percorso chiaro, certamente per la Cgil, negli obiettivi e nelle modalità di lotta, che, a partire dalle tre manifestazioni interregionali di maggio dovrà portare ad un’intensificazione del conflitto, fino allo sciopero generale, per incidere sulle scelte del governo, su questi provvedimenti annunciati e su quella che sarà la prossima legge di bilancio.
Senza nascondersi le difficoltà del rapporto unitario: già nel 2021 e nel 2022 gli scioperi generali sono stati proclamati dalla Cgil e dalla Uil, mentre la Cisl ha, di volta in volta, “apprezzato le aperture” dei governi, sfilandosi dalla mobilitazione.
E sapendo che non siamo di fronte a “spallate” nei confronti di un governo che – al di là di qualche infortunio parlamentare – ha una solida maggioranza che gli consentirà probabilmente di durare, per la prima volta da tempo, per tutta la legislatura. Senza che, dall’altro lato, si sia ancora manifestata una forte e determinata opposizione parlamentare, in assenza, in Parlamento, di una sinistra radicale e del lavoro.

La prima manifestazione interregionale a Bologna ha visto una larga partecipazione di delegate e delegati sindacali, lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati. Una manifestazione grande e combattiva – oltre le aspettative stesse dei promotori – largamente animata dalla presenza della Cgil. Un popolo che ha chiesto a gran voce lo sciopero generale e ha accolto con freddezza e qualche fischio il timido discorso del segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, pronto a individuare inesistenti “aperture” del governo Meloni e preoccupato solamente di essere chiamato ad un “tavolo di negoziato”, pur sapendo che le scelte del governo vanno, per impostazione ideologica e per necessità di accondiscendenza al padronato, in direzione opposta a quella rivendicata unitariamente, almeno sulla carta, da Cgil, Cisl e Uil.
Dopo le manifestazioni interregionali – che si concluderanno a Napoli il 20 maggio – verranno al pettine i nodi della continuazione della mobilitazione.

L’esempio francese è certamente importante, sia nel merito – ridà respiro ad uno dei punti centrali della piattaforma sindacale italiana, quella “cancellazione della legge Fornero” per una riscrittura della normativa pensionistica, a partire dalla possibilità di andare in pensione dai 62 anni, invocata da tutti gli interventi di delegate e delegati dal palco di Bologna, anche quelli Cisl – che nel metodo di una, per quanto difficile, unità sindacale finora dimostrata nei confronti dell’arroganza di Macron e del governo Borne.
Non ci nascondiamo – per le cose dette – che permangono invece in Italia le preoccupazioni per una tenuta unitaria e che non escludiamo che una prosecuzione e intensificazione della lotta – con gli scioperi necessari – possa vedere nuovamente a fianco Cgil e Uil, senza la presenza della Cisl.

La mobilitazione intende sostenere le richieste unitarie nei confronti del governo e delle imprese per un cambiamento delle politiche industriali, economiche, sociali e occupazionali, e concreti risultati in materia di tutela dei redditi dall’inflazione ed aumento del valore reale delle pensioni e dei salari, rinnovo dei contratti nazionali dei settori pubblici e privati; riforma del fisco; incremento dei finanziamenti al sistema sociosanitario pubblico, per garantire il diritto universale alla salute, e al sistema di istruzione e formazione, maggiore sostegno alla non autosufficienza; un mercato del lavoro inclusivo per superare la precarietà. Occorre ridare valore al lavoro, eliminare i subappalti a cascata e incontrollati, e portare avanti una lotta senza quartiere alle mafie e al caporalato.

Cambiamento significa anche battersi per non tornare ai vincoli europei di bilancio pre-pandemici; contrastare le disuguaglianze con una riforma fiscale fondata sulla progressività, come da Costituzione; puntare sul lavoro stabile e di qualità; rilanciare un nuovo ed esteso Stato Sociale. Cambiamento significa che il governo deve mettere a disposizione le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici e individuare gli strumenti per superare una volta per tutte il precariato, adeguando gli organici delle Pubbliche Amministrazioni.
I provvedimenti del governo non vanno in questa direzione né nel merito né per il metodo.

La festa del 1° maggio 2023 è stata dedicata ai 75 anni della nostra Costituzione nata dalla Resistenza e dalla lotta di Liberazione dal fascismo e dal nazismo, perché vogliamo ottenere riforme capaci di applicare e attuare i valori ed i principi della Carta Costituzionale a partire dalla centralità del lavoro, della giustizia sociale e dell’unità del Paese, contro ogni ipotesi di autonomia differenziata e anzi riportando a parità di diritti e servizi su tutto il territorio un sistema sanitario nazionale oggi diversificato per ogni Regione.

Vogliamo aprire una vertenza generale per l’aumento dei salari, agendo sia sul piano della
riduzione del carico fiscale per i lavoratori, sia rinnovando i contratti nazionali pubblici e privati con aumenti che recuperino il potere d’acquisto in rapporto all’inflazione e puntino ad una crescita del valore reale dei salari. Occorre stabilire nuove regole per la puntualità dei rinnovi contrattuali, anche ricorrendo a penalizzazioni per chi si rende responsabile dei ritardi.
La legge delega di riforma fiscale, recentemente deliberata, è pericolosa per il rischio che gli squilibri finanziari vengano colmati attraverso una riduzione della spesa sociale, e iniqua perché riduce la progressività. Il fisco è la base del patto di cittadinanza e della coesione sociale, per questo non devono essere pregiudicate le risorse necessarie per sostenere il welfare, la sanità, l’istruzione e gli investimenti pubblici. Siamo contrari sia alla flat tax di qualunque genere che alla riduzione del numero delle aliquote: scelte che avvantaggiano soprattutto i redditi alti e altissimi. Chiediamo di ridefinire ed ampliare la base imponibile dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) eliminando i privilegi a favore dei redditi diversi da quelli da lavoro dipendente e da pensioni. Occorre, inoltre, restituire ai lavoratori il drenaggio fiscale (fiscal drag) che penalizza ulteriormente i già insufficienti adeguamenti salariali all’inflazione. Serve una svolta nella lotta all’evasione ed elusione fiscale utilizzando in maniera coordinata tutti gli strumenti disponibili.

La legge Monti-Fornero va cancellata. È necessario riformare il sistema previdenziale per renderlo
socialmente sostenibile, e approfondire la separazione tra previdenza e assistenza affinché si possa giungere ad una corretta rappresentazione della spesa pensionistica italiana della comparazione internazionale. Va estesa la flessibilità in uscita, permettendo alle lavoratrici e ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età anagrafica o con 41 anni di anzianità contributiva a prescindere dall’età. È necessario valorizzare sul piano previdenziale il lavoro delle donne, il lavoro di cura, e le condizioni delle categorie più fragili (disoccupati, invalidi, caregiver). È indispensabile affermare il principio per cui “i lavori non sono tutti uguali”, riconoscendo il lavoro gravoso e allargando la platea dei lavori usuranti. Per i lavoratori giovani e per i percorsi lavorativi poveri e discontinui chiediamo di introdurre la pensione contributiva di garanzia. Occorre garantire la piena tutela del potere di acquisto dei pensionati.

Se questi sono gli obiettivi che il sindacato confederale – e la Cgil in particolare – si propone è chiaro che le manifestazioni interregionali non sono che l’inizio di un nuovo percorso di lotte e mobilitazioni generali, intrecciato a quello delle categorie che hanno già visto, tra gli altri, la mobilitazione degli edili, lo sciopero dei ferrovieri e del trasporto pubblico, delle lavoratrici e dei lavoratori del settore Legno – arredamento, la proclamazione di quello delle telecomunicazioni.

La Cgil è pienamente consapevole di essere ancora una volta – come successo con i governi Berlusconi – la sola forza organizzata investita, dentro e fuori il mondo del lavoro, del ruolo di opposizione politica e sociale al governo più di destra della storia della Repubblica.
Ma, come in passato, è gelosa del suo ruolo e della sua autonomia: non vuole e non può esercitare alcuna supplenza politica.
Mentre intende con coerenza, forza, determinazione e continuità mobilitare – il più possibile in termini unitari – lavoratrici e lavoratori, giovani e precari, pensionate e pensionati sulla piattaforma di rivendicazioni in larga misura condivisa con Cisl e Uil e, soprattutto, posta al vaglio delle assemblee territoriali e di posto di lavoro, in quella che abbiamo definito “una nuova stagione del Lavoro e dei diritti”.

Come prevedibile, la continuità neoliberistica delle politiche del governo di destra di Giorgia Meloni sarà ulteriormente rafforzata – e cercherà degli alibi – nella riproposizione, da parte dell’Unione Europea, delle politiche di austerità. Superato il tornante della pandemia e del Next Generation EU – che peraltro ora si converte in ulteriore spesa militare – Commissione e Paesi “frugali” stanno imponendo un ritorno, solo in parte edulcorato, ai vecchi parametri di Maastricht, ai tagli di bilancio, all’imposizione del rientro dal debito e dei tetti del deficit. Tutte misure che colpiranno con particolare forza l’Italia e che si vorranno scaricare – ancora una volta – su lavoratori, ceti popolari e settori più poveri del Paese, a partire dal Mezzogiorno. Invece di tassare i superprofitti e di spingere le imprese – non con altri bonus e incentivi, certo – ad aumentare consistentemente i salari, falcidiati da un’enorme e crescente inflazione da profitti, Commissione, Bce, Banca d’Italia e governo Meloni cianciano di una inesistente “spirale prezz-salari”.

Tutto questo non fa che aggravare la già pesantissima situazione sociale e richiamare il sindacato alla responsabilità di accentuare il conflitto sociale.

Senza dimenticare neanche per un momento che tutto questo avviene mentre infuria la guerra ai confini dell’Unione Europea e, ad un anno dall’aggressione russa, il governo italiano e quelli dell’Unione, completamente subalterni ai dettami degli Usa e della Nato, invece di spingere per il negoziato e una via diplomatica, continuano nella politica dell’invio di armi e del riarmo interno, con un significativo aumento della spesa militare, a scapito di quella sociale. La Cgil è stata ed è parte importante del movimento italiano per la pace, forse il più attivo a livello europeo.
Così come è incessantemente mobilitata, con un ampio arco di associazioni laiche e religiose, per respingere le illegittime e disumane politiche contro i migranti e i richiedenti asilo, contro la logica della “fortezza Italia” e della “fortezza Europa”, ancora una volta per la difesa e l’applicazione dei principi e dei valori del nostro dettato costituzionale e della Carta universale dei diritti umani.

Leopoldo Tartaglia
Assemblea generale Spi Cgil, dell’aggregazione programmatica di maggioranza “Lavoro Società per una Cgil unita e plurale”

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1 Commento. Nuovo commento

  • Giancarlo Albori
    11/05/2023 12:54

    Ottimo intervento.
    Costruire in tutti i luoghi una mobilitazione in difesa dei diritti alla vita delle persone.
    Costruire nuovi assetti di potere con la piu ampia coalizione sociale.

    Rispondi

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