di Gianluca Marolda – Mario Draghi (e Mattarella rilancia) offre una terapia, ma i pazienti sceglieranno come usarla. Brevi appunti per una riflessione sul futuro dell’Unione Europea.
Tante volte si è detto che l’Europa si trova di fronte ad un bivio. Lo ha fatto così tante volte e in altrettante occasioni non ne è uscita: ora si ritrova “gordianamente” annodata. Credo, fermamente, che questa volta non si possa più annodare e dovrà arrivare ad una soluzione, per cui la svolta è davvero epocale.
Questo per due ragioni di ordine storico e giuridico.
1) Si è riproposto in chiave contemporanea il mortifero corso e ricorso storico che dalla nascita dello Stato moderno ad oggi ha insanguinato l’Europa fino alla nascita della CECA: il blocco “cattolico” e quello “luterano”. Con esso si ripropone la disputa sulla gestione del denaro pubblico: prima si chiamavano questue, ora si chiamano Eurobond, ma la sostanza e le accuse reciproche non cambiano.
2) L’Unione Europea è nata su pilastri di natura economica, sul mercato interno, sul libero scambio in un’ottica di condivisione delle risorse economiche proprio per superare quella dialettica di matrice religiosa che citavo prima. Si sta ulteriormente annodando, però, sulla misura che rappresenterebbe il punto di non ritorno per i pilastri economici dell’UE, più forte della moneta unica, più forte delle 4 libertà fondamentali: come dice la Treccani “trasformare il rischio individuale dei singoli paesi in frazioni di rischio collettivo”. Una misura che completerebbe o quasi quel percorso di sovranità economico-monetaria in capo alle istituzioni dell’Unione.
Ora, l’ex Presidente BCE, Mario Draghi, nel suo pezzo del 25 marzo 2020 sul Financial Times propone ai pazienti Stati membri UE un principio di terapia alla diagnosi “nodo gordiano”. “The key question is not whether but how the state should put its balance sheet to good use“. In altri termini, non “se” ma “come” può lo Stato utilizzare al meglio il suo bilancio? Un economista, un grande esperto di scienze delle finanze e lo stesso Draghi ci indicherebbero parecchie declinazioni di quel “come”, ma quasi tutte passano per una massiccia creazione di debito, che dovrà, sibillinamente in stile Draghi, essere accompagnato dagli Eurobond per proteggersi in seguito dalla speculazione e molti altri nemici. Molto scaltra tra l’altro, ma non per questo meno efficace, la linea adottata dall’ex Governatore di Bankitalia e BCE: sul FT non viene direttamente citato il termine “Eurobond “, lasciando, quindi, da un lato agli attori politici-istituzionali un libro aperto da scrivere, ma, d’altro canto, difficilmente sarebbe concepibile una discussione sulle misure da adottare senza una preventiva e sanguinosa discussione proprio sugli Eurobond (vista la proposta di massiccia creazione di debito pubblico).
Ed è per quest’ultima ragione che il metodo da utilizzare, che interessa a mio parere i giuristi e gli analisti politici, non solo supererebbe il merito della questione, ma ci riporta al nodo gordiano: lo si scioglie o lo si spezza con gli Eurobond? Se l’effetto è scioglierlo, allora si potrà continuare in una logica di solidale cooperazione allo sviluppo dell’UE, mentre se lo si romperà, bisognerà ricostruire un nuovo patto costituente europeo e riformare i Trattati potrebbe non bastare. Draghi ci indica una via, agli Stati membri il compito di decidere come percorrerla.
Postilla. Non chiamiamoli Coronabond, potremmo dare l’idea di una misura contingente, necessaria solo a proteggere qualche Stato da shock speculativi. Se li si chiama Eurobond, li si eleva pilastro giuridico-economico della futura Europa.