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Un fatto di cultura

di Elena
Coniglio

Intervista a Michela Spina, attivista climatica di Fridays for Future Napoli e LEA ClimaX

Il Ministro della Cultura Sangiuliano è stato contestato lunedì 22 maggio da studenti e attivisti dell’Università Federico II di Napoli dove era stato invitato a tenere una lectio magistralis sui temi della cultura di massa e della politica culturale. Un cordone della polizia posto di fronte all’ingresso dell’ateneo ha impedito loro l’accesso. Contestavano la presenza del Ministro criticando politiche culturali incapaci di coniugarsi con l’emergenza della crisi climatica.

È interessante notare come i principali media e alcune note testate, che hanno dato sicuramente spazio alla notizia, l’abbiano mostrata come un semplice gesto di protesta contro la presenza del Ministro e non abbiano fatto emergere la posizione degli attivisti, in realtà ben più complessa..

Sì, è molto più complessa infatti…si mettono in campo diversi argomenti e si parte in questo caso appunto dalla cultura. Perché, come diciamo sempre, la transizione ecologica parte dalla transizione culturale. E quindi va spinta sotto questo aspetto. Il Ministro è responsabile anche di decisioni politiche che vanno ad aumentare la crisi climatica. Mi riferisco per esempio al via libera dato per depositi di gas in aree particolari e protette, per siti delicati da un punto di vista naturalistico e della biodiveristà. Non abbiamo visto delle posizioni nette in merito a tutto questo.

Il Ministro parla di un’identità culturale italiana, di una cultura politica di massa in senso protettivo del patrimonio culturale italiano. L’Italia è chiaramente intrisa di storia da nord a sud, ma noi ci chiediamo: quando la crisi climatica avrà avuto i suoi effetti più devastanti sul territorio, che è un ‘hotspot climatico’ e quindi di conseguenza risente maggiormente delle conseguenze del cambiamento climatico,  come farà il Ministro a proteggere quel patrimonio? Non potrà essere protetto ad esempio da una temperatura troppo alta, dalle alluvioni e dagli straripamenti degli invasi dei fiumi, ai quali assistiamo in questi giorni in Emilia. Si sono già verificati nel 2019 altri fenomeni allarmanti come il record di acqua alta a Venezia.. e in tal senso molte città costiere sono in pericolo in Italia..

 Che cosa ci dicono gli esperti e quali sono i campanelli d’allarme che non possiamo assolutamente ignorare?

 L’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change1, ribadisce che l’innalzamento dei livelli del mare è uno di quei fenomeni a quanto pare irreversibili..e di conseguenza bisogna adottare delle misure di adattamento al cambiamento climatico. E l’Italia è uno dei pochi Paesi occidentali che non dispone di un piano di adattamento per l’emergenza climatica. Il bacino del Mediterraneo, come dicevo prima, è un hotspot climatico e deve avere tutte le attenzioni del caso.

Che cosa si deve intendere per adattamento alla crisi?

L’adattamento non è il MOSE a Venezia. Non è spendere miliardi di euro per opere inutili, quando potremmo avere un’altra serie di adattamenti che passano per esempio attraverso misure di compensazione, come la riforestazione di aree ad oggi cementificate. Sono molte le misure. Come attivisti entriamo nell’ambito tecnico quanto più possibile ma non è questo il nostro compito, perché le soluzioni già esistono. Semplicemente non si ha la voglia di unificarle in un piano di adattamento per l’Italia, né tantomeno si ha la volontà per ragioni di interesse. Perché sappiamo bene quanto sulle azioni di mitigazione, di riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili l’Italia stia andando nella direzione totalmente opposta. Il governo Meloni non nasconde, e anzi fa tutto alla luce del sole, quella che per loro è la transizione, la sicurezza energetica… ovvero il gas.

 Ed ecco la vostra contestazione su questo punto…

Sì, e riguarda il Ministro. Noi ci riferiamo anche all’utilizzo di aree come quella di Napoli Est e San Giovanni2 Queste sono l’esempio lampante dell’abbandono della politica. Si è infatti deciso di sacrificare questo quartiere nel nome di quella che oggi  viene definita sicurezza energetica. Sicurezza che certamente è assente. Ne è la prova il tasso tumorale in questi luoghi. Vi è anche l’incuria da parte dello Stato nel non vedere i livelli di PM2.5 e PM10 nell’aria3. Gli esempi sono innumerevoli. Non vi è alcuna transizione, ma semplicemente un passaggio di forniture. Dal gas russo a quello americano, o di altri Stati. Non si può definire sicurezza energetica.

La vostra attività e la vostra azione partono da un paradigma completamente diverso. Avete infatti contestato l’utilizzo della “massa finaziaria” della quale il Ministro ha parlato e che dovrebbe confluire nel restauro dell’albergo dei poveri e nella creazione di un hub culturale che vedrebbe coinvolta l’Università Federico II.

Il fatto che il Ministro Sangiuliano vada a dare dei fondi per il restauro, per incentivare la cultura su determinati beni che magari sono stati abbandonati non è ciò contro cui lottiamo. Non è ciò che contestiamo. L’albergo dei poveri va sicuramente rivisto e può essere un investimento intelligente. Ma il punto è che non crediamo, vista la direzione che sta prendendo questo governo, che accusa attivisti climatici tramite l’emanazione di decreti legge, che ad esso possa interessare la transizione ecologica.

Avete protestato anche contro le posizioni assunte dal rettore Lorito che la scorsa settimana ha abbandonato la sede del ‘Festival dello sviluppo sostenibile’ durante la vostra contestazione alla presenza del Ministro Lollobrigida, invitato per l’occasione…

Il rettore Matteo Lorito sta mettendo in campo una strategia che è facilmente leggibile sotto il punto di vista politico e non universitario. Perché la Federico II è un’università pubblica ed è un’università che deve necessariamnte condividere il percorso politico universitario che sta intraprendendo con gli studenti e le studentesse. E invece ieri ci è stato negato di esprimere la nostra opinione e il nostro dissenso con una serie di atti antidemocratici e anticostituzionali a detta nostra.. per quanto riguarda la contestazione al Ministro della sovranità alimentare Lollobrigida, essa si collega alla contestazione di ieri ma in termini un po’ diversi perché è diversa la causa. Siamo entrati a contestare il ‘Festival dello sviluppo sostenibile’ poiché ci sono dei progetti  finanziati da Intesa Sanpaolo. All’interno del festival c’erano sponsor come questi, tra cui Unicredit 4. E ho nominato questi due perché sono tra le banche italiane ad investire attivamente nella crisi climatica..investono nell’estrazione di combustibili fossili e idrocarburi.  Da qui l’idea di chiamarlo “Festival del greenwashing” e di una contestazione che mi pare abbastanza ovvia.. senza contare poi la presenza di aziende come la Granarolo, che parlano di sostenibilità mentre noi ci domandiamo come si possa parlare di sostenibilità se non si inizia a parlare delle norme di qualità ambientale, di quello che è l’intero ciclo di vita di un prodotto lattiero-caseario ad esempio, di quale impatto nello specifico abbia un allevamento intensivo. Se non si parla di queste cose, siamo costretti ad intervenire. Molte verità si conoscono dagli anni Settanta e ancora nulla è stato fatto per migliorare la situazione.

 

Quali sono le vostre posizioni sul tema della divulgazione e quali spazi vi sono dedicati in qualità di studenti attivisti per le vostre attività di ricerca?

 

Noi crediamo che il greenwashing vada svelato in ogni sua forma e che per lavorare in questo senso sia necessario riappropriarsi degli spazi che ci sono stati tolti. Perché oltre a rubarci il futuro, giorno per giorno ci stanno togliendo anche gli spazi a disposizione. Per questo noi abbiamo un laboratorio autogestito all’interno dell’università che si chiama LEA ClimaX (Laboratorio Ecologista Autogestito), nel quale cerchiamo di contaminare e di contaminarci a vicenda con i diversi movimenti per il clima presenti a Napoli. Quindi Fridays For Future Napoli, XR, StopBiocidio, Animal Save Italia, Napoli Climate Save..ci sono una serie di movimenti, anche universitari, come può essere Link, che si incontrano nel laboratorio per organizzare workshop teorici e pratici, ma soprattutto anche per fare assemblea e creare momenti di comunità nei quali si ragiona attivamente.

 

Partendo dalle vostre elaborazioni e dalle vostre pratiche, quali vie di dialogo sono auspicabili con il mondo della politica?

 

Il Climate Clock, l’orologio climatico che segna il fatidico punto di non ritorno, segna sei anni, ovvero corrisponde quasi al mandato di questo governo. Noi vorremmo instaurare una comunicazione efficace, ma con questo governo, con persone che hanno una storia ben precisa che parte da movimenti come il Movimento sociale italiano, il Fronte della gioventù, movimenti che hanno un modus operandi ben chiaro, che non è mai cambiato e che punta sempre allo status quo,  liberale e capitalista, noi non possiamo proporci quali promotori di un dialogo..

Come rispondete alla necessità di unità per lottare contro la crisi climatica e per una transizione ecologica?

Per noi l’alternativa si costruisce dal basso e quindi unendosi per la formazione di comunità resistenti alle conseguenze della crisi climatica e all’ingiustizia sociale. Ma se non parte dal basso per noi è impensabile. Anche rispetto ai governi precedenti, che avevano maggiore sensibilità verso la crisi climatica, verso soluzioni rinnovabili, l’economia circolare e le smart grid, c’era una grossa situazione di greenwashing. Ora c’è addirittura negazionismo e la compatibilità è così bassa che noi la stiamo cercando nella popolazione. Stiamo cercando di fare rete per contrasto a posizioni di un governo che anche alla Coop27 ha dichiarato di voler essere un hub del gas europeo… cose queste che per noi sono totalmente superate. Da molti anni..e per questo ci sono delle lotte ambientali. Per poter realizzare questo disegno si dovrebbero realizzare trivellazioni trasversali e la biodiversità ne risentirebbe fortemente. Forse tutte queste cose il Ministro della cultura non le sa… per questo a noi sembra inutile interloquire, quanto piuttosto preferiamo stare di fronte ad un rettore che pensa di potersi fare una possibile passerella elettorale, rispondendo in maniera pratica. Rispetto all’incontro avuto con Lollobrigida noi abbiamo presentato il ‘Plant based treaty’. Un piano per la transizione della nostra mensa universitaria da un punto di vista agroalimentare. Un primo passo. Un modello che può essere portato in tutta Italia. E questo significa non solo far diventare le mense ‘plant based’ per circa il 90% degli alimenti forniti, ma anche iniziare a parlare apertamente dell’industria zootecnica, del settore lattiero-caseario, del settore della carne, e fare intervenire degli esperti in dibattiti aperti. Per noi la risposta è concreta. Una serie di operazioni sono necessarie proprio perché la transizione ecologica è un fatto prima di tutto culturale.

 

a cura di Elena Coniglio

  1. https://www.ipcc.ch[]
  2. https://www.napolitoday.it/cronaca/deposito-gas-napoli-est-proteste.html []
  3. https://2023.festivalsvilupposostenibile.it/i-sostenitori/[]
  4. https://2023.festivalsvilupposostenibile.it/i-sostenitori/[]
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