Trieste nel 1719, fu dichiarata da Carlo VI d’Austria Porto Franco e questa peculiarità ha accompagnato la storia della città adriatica trasformandola da piccolo borgo di salinari, pescatori e contadini in grande emporio marittimo con la formazione della prima flotta commerciale austriaca (1728) e con la patente dei privilegi di Maria Teresa (1749).
La vocazione marittima internazionale di Trieste si è consolidata nel tempo soprattutto in virtù di questo istituto, ed ebbe il suo trionfale decollo quando nel 1857 il genio di Carlo Ghega congiunse Trieste a Vienna con la Ferrovia Meridionale consentendo l’allacciamento della città portuale alle zone industriali dell’entroterra danubiano e la realizzazione del Porto Nuovo con un frangiflutti di due km consentì lo sviluppo dell’ industria navalmeccanica e di quei modernissimi cantieri da cui uscirono piroscafi, navi transoceaniche ed anche le corazzate della Marina Imperiale.
Fu così che un giovane corrispondente tedesco per gli USA, Karl Marx, in quello stesso anno rendeva edotti i lettori del New York Tribune su cosa fosse il “miracolo Trieste” in Europa.
Mentre infatti Venezia languiva, ed implicitamente i suoi vantaggi rispetto agli altri porti venivano scemando, Trieste cresceva e prosperava. Fino al 1914 la città fu il porto più produttivo del Mediterraneo: nel 1880 il suo volume di merci ammontava a 1,2 milioni di tonnellate, nel 1912 erano già 4,5 milioni, il valore dell’ intero volume di traffico merci fu stimato all’ epoca in 2 mld di corone annue, ogni anno approdavano e ripartivano dal porto più settentrionale dell’Adriatico 11mila navi, di cui 9100 bastimenti.
Poi, dopo il 1918, quando Trieste fu annessa all’ Italia, quel ruolo di porto internazionale e di porta d’ accesso all’ entroterra europeo, danubiano e balcanico venne meno, e ancora dopo, dal 1945 al 1991, i cinquant’anni di guerra fredda ridussero al lumicino le capacità attrattive del Porto, nonostante le disposizioni del Trattato di Pace tra Potenze alleate ed Italia del 1947 prevedessero, considerata la delicata posizione geopolitica in cui la città s’era venuta a trovare e per un tempo contesa tra Italia e Jugoslavia, un ampio ventaglio di disposizioni economiche ed amministrative a tutela della sua economia e del suo futuro.
Trieste, che rimase amministrata dagli Alleati dal 12 giugno 1945 al 25 ottobre 1954, era stata costituita in “Territorio Libero” con relativo Statuto, composto da 38 articoli e dieci allegati, di cui uno (VII) stabiliva le norme di amministrazione e governo della città e del suo territorio, ed un altro (VIII) composto di 24 dettagliati articoli, illustrava la nuova situazione del Porto Franco di Trieste, il cui regime internazionale sarebbe stato “costituito e amministrato come un Ente Pubblico” e la cui zona avrebbe compreso“…il territorio e gli impianti delle zone franche di Trieste entro i loro confini del 1939 “specificando altresì che in esso si potranno svolgere non solo“ il deposito, il magazzinaggio, la verifica, la cernita delle merci, l’imballaggio ed il reimballaggio delle merci”, ma anche la loro lavorazione ed inoltre che, su proposta del direttore del Porto Franco, potranno essere istituite nuove imprese industriali entro i suoi confini.
A queste disposizioni, non cadute in desuetudine, ha così fatto riferimento nel 2015 Zeno D’ Agostino quando – dopo anni di abbandono, ristagno e sinecura della gestione portuale – venne ad insediarsi come Presidente dell’ Autorità di Sistema Portuale (AdSP) a Trieste. Ed avvalendosi dell’ efficace sinergia rappresentata dai vantaggi naturali di cui disponeva il porto- la posizione geografica, la rete ferroviaria, gli alti fondali, i punti franchi- fece in breve prender forma ad un progetto di rilancio dello scalo fondato sull’intervento della mano pubblica, sulla regolarizzazione del lavoro,(allora in gran parte precario) e delle mansioni di tutte le figure professionali operanti sui moli, su una visione globale, di sviluppo e rilancio delle sue potenzialità, sulla proiezione e vocazione imprenditoriale della città ed i risultati sono giunti e si toccano con mano.
Il sistema portuale Triestino è oggi costituto da 3 porti commerciali – Trieste, Monfalcone, San Giorgio di Nogaro- a loro volta integrati da un sistema retroportuale costituito da 5 centri intermodali (Trieste-Fernetti; Trieste-Prosecco; Gorizia-S.Andrea; Cervignano; Pordenone-Centro Ingrosso).
Il porto di Trieste, con fondali naturali che pescano fino a 18 metri,si sviluppa in otto moli con 13 km di banchine ed è attrezzato al meglio per servire ogni tipologia di navi – full container, ro/ro e ferry, petroliere, multipurpose, convenzionali, cementiere, rinfuse cereali, passeggeri- e di merci, ed è articolato a Trieste in cinque storici punti franchi: il Punto Franco Vecchio, il Punto Franco Nuovo, il Punto Franco di Scalo Legnami, il Punto Franco Oli Minerali e il Punto Franco Industriale; tutto il sistema infine è connesso alle reti autostradali e ferroviarie internazionali che seguono la direttrice del Corridoio Adriatico-Baltico.
Le persone attualmente impiegate presso il porto di Trieste sono più di 1.500 distribuite fra le tipologie di operazioni e servizi portuali previste dalla legge 84/94 cioé ex art. 16. 17 e18,di cui 1100 operai e più di 400 impiegati, a queste si aggiungono circa 300 lavoratori operanti in Autorità Portuale, nella impresa di servizi, Porto Trieste Servizi (PTS)- società in house providing- e nella impresa ferroviaria ADRIAFER (gestore unico delle Manovre anch’esso operatore unico in house) per un complessivo di 1800 lavoratori ai quali si aggiungono tutti i marittimi dei servizi tecnico-nautici oltre all’indotto della logistica. Nel 2018 lo scalo giuliano aveva così significativamente aumentato il numero di tonnellate spedite via treno, oltre 62 milioni per 10mila treni corrispondenti a 210mila camion tolti dalla strada, e come primo effetto di ricaduta s’era registrato un aumento dei livelli occupazionali spalmati in tutti i settori dello scalo triestino.
Giungiamo così a martedi’ 29 settembre 2020, quando la società tedesca HHLA (Hamburger Hafen- und Lagerhaus-Aktiengesellschaft) ha acquisito dagli imprenditori triestini Francesco Parisi e Vittorio Petrucco il 50,1% della Piattaforma Logistica Trieste (PLT). Questa possente infrastruttura, dotata di accosto attrezzato per navi ro-ro, con larghi piazzali per merci e container ed aree retrostanti per le operazioni portuali, per l’accatastamento e la movimentazione di container, consentirà di praticare efficacemente l’intermodalità completa tra navi, gomma e ferro, ed andrà sia a sostenere l’accresciuto volume di traffico, registrato negli ultimi anni nel Porto, sia ad alleviare l’insufficienza del Molo VII, ormai congestionato dall’ accresciuto volume di traffico. La PLT è un’ opera pubblica strategica che si sviluppa sul territorio della Zona Industriale di Trieste unendo lo Scalo Legnami all’ area della Ferriera di Servola, che dopo 123 anni di attività ha chiuso l’ area a caldo e si avvia a dismissione,ed è destinata diventare parte integrante del costituendo Molo VIII, la cui realizzazione s’è resa indispensabile vista l’esigenza di una maggior ricettività delle merci e della acclarata insufficiente capienza dell’ormai storico molo VII.
E la Cina? si chiedono in molti? La BRI? Che fine ha fatto quel progetto? Procediamo con ordine. Intanto diremo che Amburgo ha corretto il tiro.
Eh sì, perché sino a non molti anni fa, nell’ottobre 2014, Amburgo ed altri sette porti del Northrenge palesavano in sede europea, in un documento congiunto, tutta la loro aperta contrarietà a una politica di investimenti della UE indirizzata verso i porti del Mediterraneo, sostenendo come giustificazione della loro pretesa, di essere loro e loro soltanto di potersene avvalere – Amburgo, Amsterdam, Anversa, Brema, Groniingen, Moerdijk, Rotterdam e Zeebrugge- in quanto reputavano essere i punti di transito più efficienti per il trasporto di container verso gran parte dell’ entroterra dell’Europa Centrale. Poi ci si è messo di mezzo il clima.. Oggi Amburgo “porto fluviale per eccellenza, non appare più in grado, per motivi ambientali a combattere a colpi di dragaggio dei fondali, la battaglia con il gigantismo navale. Infatti, in conseguenza del cambiamento climatico, a causa dei prolungati periodi di siccità, il sistema del trasporto fluviale che aveva fatto la fortuna dei porti del Northernrange si è indebolita“, ebbe ad argomentare Mario Sommariva, segretario generale dell’ AdSP, lo scorso febbraio.
Trieste invece dispone, come s’è detto di quasi tutte le infrastrutture necessarie per poter competere; ed in questo mutato contesto la CEO della società HHLA, Angela Titzrath, ha riconosciuto un dato di fatto. Ma non è stata la prima. Da qualche anno, ad esempio, l’intermodalità del porto triestino è attrattiva anche per l’Ungheria (con 14 coppie di treni registrati alla settimana fra Trieste e Budapest nel 2018) che ha così scelto Trieste e non Capodistria/Koper per far giungere in breve tempo le merci nel suo paese, il 23 giugno 2019 una società pubblica ungherese, col benestare di Orban, ha formalizzato l’acquisto delle ex concessioni Teseco in area Zona Industriale di Trieste, nelle dismesse raffinerie Aquila, per installare un terminal merci. Inoltre il Molo VI, 1500 metri d’attracco, è da tempo occupato dal gruppo logistico della società turca EKOL e da cinque anni è attivo il servizio di trasporto con navi portacontainer tra Trieste e il Far East, tramite la Maersk Line. Al Molo V sono da tempo installati i danesi della DFDS che detengono la maggioranza della concessione unitamente ai triestini della SAMER & Co Shipping.
Quindi non solo Amburgo, ma anche Ungheria, Turchia, Danimarca hanno deciso di investire su Trieste. A questo punto l’ingresso di HHLA nelle vicende triestine può essere letta in più maniere, la prima è quella che preoccupa di più: per “favorire i tedeschi “ -pecunia non olet- si sono interrotti i rapporti con la RPC sul progetto di Trieste come uno dei terminal occidentali della futuribile Via della Seta (BRI) ed anche come approdo della rotta balcanica- adriatica dopo l’avvenuta acquisizione cinese dell’area commerciale del Porto del Pireo, con investimenti cinesi per 700 milioni di euro e dopo che il 23 marzo dello scorso anno erano stati firmati alcuni importanti accordi, a Villa Madama, tra Italia e Cina, che riguardavano alcuni partenariati strategici Ad esempio tra Cassa Depositi e Prestiti e Bank of Cina, con SNAM SpA e Silk Road Fund, tra Intesa San Paolo e Governo Popolare della città di Qingdao, (sul Mar Giallo, tra i primi dieci porti con più traffico su scala globale) e poi collaborazione tecnologica, contratti di fornitura che avrebbero avvicinato il gruppo Ansaldo al Benxi Steel Group ed alla Shangai Elecrtric Gas TurbineCo., ed ancora accordi di cooperazione non solo tra le Autorità di Sistema Portuale di Trieste e Monfalcone, ma anche con Genova e poi contratti con aziende locali come la Danieli di Udine (acciaieria) con la Cina CAMC, etc. Questo un anno fa. Ora, quali strumenti di pressione sono stati esercitati dagli USA per far saltare o comunque bloccare tali progetti? Non bastavano le servitù militari, che il FVG ed il suo territorio conoscono e sono costretti a subire da oltre 60 anni? O, per altro verso, non è forse vero che la Germania non solo è l’unico paese della UE a vantare un avanzo commerciale verso il governo di Pechino di quasi 20 mld di euro ma che è anche il primo partner (socio!) della RPC in Europa con oltre 180 mld di commercio bilaterale registrati nel 2017?
Quale gioco delle parti si sta svolgendo che noi non sappiamo? Ora quindi è saltato tutto? Ci saranno conseguenze sul Piano Trihub per cui era previsto anche un sostegno finanziario da parte di China Communications Construction Company? E il finanziamento per il progetto Trieste RailPort o piu’ in generale tutti i 21 progetti attualmente in essere, sarà sufficiente visto il periodo di crisi e emergenza covid? Utilizzare una quota del Recovery Fund per progetti di ulteriore sviluppo del territorio è possibile ? Domande semplici che chiedono però urgenti risposte.
Purtroppo le dichiarazioni del triestino Patuanelli, ministro dello Sviluppo economico rilasciate all’indomani della stipula dell’accordo tra HHLA e PLT lasciano sconcertati. Ecco cosa il ministro pentastellato ha dichiarato in una intervista al quotidiano locale: ” Gli investimenti fatti dalla Cina potevano portare alcune preoccupazioni e preoccupavano anche i nostri alleati americani, per accordi commerciali, lo abbiamo sempre detto, guardiamo alla Cina non come ad un alleato ma come a un partner. “ Ed ancora rivendica come l’ intesa con HHLA “ è un segnale di vicinanza al Patto Atlantico, all’alleanza strategica con gli Stati Uniti, che il nostro sguardo sia rivolto verso gli Stati Uniti, è questa è la dimostrazione” – gli “ alleati americani “ (!) Sic. Un Ministro a 5… stelle e strisce ! più subalterni di così. Ma ci sono altre voci:
Per Sergio Bologna, dal 2015 presidente dell’Agenzia Imprenditoriale Operatori Marittimi (A.I.O.M.) di Trieste, che ha sottolineato come quello della PLT sia “… un progetto interessante perché è un terminal multipurpose, quindi estremamente flessibile. Quindi i triestini non debbono temere l’ingresso dei tedeschi – non abbiamo parlato dell’intermodale e delle prospettive che si aprono su quel versante – e lascino da parte le loro paturnie e pensino invece come possono trarre il maggiore vantaggio da questa situazione. Anche il primo ministro, Giuseppe Conte, infine, ha commentato positivamente l’impegno tedesco su Trieste. Tutto bene quindi? Proprio no, restano in piedi a Trieste altri problemi, la crisi del comparto industriale, il calo demografico, la crescita delle diseguaglianze, quindi altre domande da formulare, ma nonostante i dubbi e le perplessità che agitano il quadro locale, forse Trieste, con la vicenda del Porto che ha ripreso a macinare investimenti, occupazione con lavoro di qualità, prospettive di sviluppo, ha la possibilità di non essere, stavolta, tanto pessimista, quella città di “scontrosa grazia” come scriveva Saba. Costruire percio’ intorno alla vicenda PLT, – su cui in anni non lontani s’è battuta la CGIL per la sua realizzazione-, partecipazione e mobilitazione cittadina, in grado di ripensare le coordinate e le priorità per una prospettiva di rilancio economico e di ripresa industriale che coinvolga tutta la città, è un obiettivo da praticare adesso prima che le tematiche su cui esso si fonda, di sviluppo ecocompatibile e lavoro per tutti, non diventino oggetto di banale e populistica propaganda nella prossima campagna elettorale. A cominciare dalla Barcolana di domenica 11 ottobre.