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Test Ocse Pisa: la narrazione di uno stereotipo

di Barbara
Piccininni

Recentemente sono stati resi noti i risultati dell’Indagine OCSE Pisa che hanno riguardato tre ambiti: matematica, lettura e scienze e su base volontaria da parte dello Stato italiano l’ambito anche del pensiero critico. Il test ha riguardato 10522 studenti che dovevano rappresentare il campionamento della più grande popolazione riferita ai 500 mila studenti di 15 anni che frequentano i diversi indirizzi della scuola superiore italiana nelle tre macro aree geografiche del paese.

I risultati hanno creato molto scalpore, determinando un allarmismo diffuso che rispecchia e contribuisce ad alimentare una narrazione stereotipata della scuola italiana, del presunto gender gap tra ragazze e ragazzi nello studio della matematica e del dualismo tra pensiero classico e pensiero scientifico.

Ma i dati vanno saputi leggere, correlare tra loro e vanno contestualizzati. Non sono verità, sono coni di luce che in sé per sé non dicono nulla, soprattutto se sono forzati a sostenere una tesi.

L’impressione che ho avuto è proprio questa. Una sorta di auto inveramento, complice il fatto che i dati OCSE Pisa sono generalizzati e non aggregati. Il fatto che si comparino dati divisi per genere ma senza disaggregare per indirizzo scolastico, per area geografica, senza tener conto del livello socio culturale sia del singolo che del territorio origina una lettura falsata.

La scuola italiana non sa insegnare la matematica…..beh sicuramente i titoli sensazionalistici dei giornali tendono ad una riduzione ma la rappresentazione dei dati fatta dall’indagine gliel’ha servita su un piatto d’argento.

Quasi un luogo comune, molto presente nel comune sentire della popolazione e figlio di due fattori: il disegno di impadronirsi della scuola da parte del mercato, l’intreccio sempre più prepotente tra istruzione e produzione, e la demonizzazione della scuola pubblica italiana e del suo corpo docente. Ma i dati PISA, la cui metodologia conosciamo poco, in realtà non hanno la forza né la funzione di dire questo. Non dicono questo, dicono che rispetto ad altri Paesi gli studenti italiani hanno avuto performance nei test inferiori. Ma le modalità di insegnamento, la spesa pubblica rivolta all’istruzione, la conoscenza degli strumenti massimi come i test è diversa da apese a apese. Di questo l’indagine non dice nulla, e soprattutto non opera correlazioni. Quindi è facile cadere nel falso mito di una scuola che non sa, che non è all’altezza, che non prepara per il futuro. Senza responsabilità collettive e politiche se non per la sola classe insegnante.

Il “risultato” però che più di tutti mi ha colpito è il cd gap da ragazze e ragazzi. Anche per questo aspetto sembra valere il discorso dell’inveramento dello stereotipo che distingue sul piano della biologia differenze che non hanno a che fare con la biologia. I dati proposti sono generalizzati e non tengono conto della diversa composizione per genere nei diversi indirizzi della scuola superiore, dei curriculum che questi indirizzi propongono. Se al liceo classico ci sono più ragazze che in un istituto tecnico ( e sarebbe interessante indagare le motivazioni di questo fatto) allora è normale che la percentuale di errore ascrivibile al genere femminile è superiore nel liceo classico . Ma questo cosa ci dice? Non dice quello che leggiamo sui giornali o evinciamo dal risultato PISA che a parità di condizioni le ragazze rendono peggio in matematica. Significa che al liceo classico l’insegnamento della matematica è meno approfondito e se ci sono più studentesse che studenti è normale che la performance negativa delle ragazze risulterà più grande. Stesso ragionamento per il dato lettura. Un altro stereotipo, di cui però nessuno si indigna, che ci dice che le ragazze sono più portate per la lettura che i ragazzi. Una narrazione vecchia e stanca che divide il mondo in modo tranchant senza coglierne la complessità. Ma che nella mancata reazione di indignazione nei commenti tradisce una certa visione del mondo. Leggere non è produttivo quanto essere performanti in matematica, quindi non rappresenta un problema se i maschi sono meno bravi. Nel futuro mondo del lavoro questo non inciderà.

Questo ragionamento è presente in molti approcci al tema del Gender inequalities nel più generale ambito Stem. Spesso la grande rilevanza che viene data a questo gap, che poi in Italia si laureano più ragazze che ragazzi in Matematica e con risultati migliori a dimostrazione che non è possibile generalizzare nemmeno il concetto Stem, ha radici in quel nesso tra produzione ed istruzione di cui sopra, in quel porre il sistema scolastico in posizione funzionale al mercato del lavoro, studiare è in funzione delle esigenze e della offerta del mercato del lavoro. Una sorta di induzione antropologica che a poco a che fare con le disuguaglianze, le pari opportunità e gli stereotipi.  Il concetto stesso di performance che è posto al centro del test OCSE è per molti aspetti foriero di discriminazione e violenza di genere ed è afferente alla competizione presente nel mondo del lavoro.

In ultimo il vero limite di questa indagine non è solo nella lettura della realtà ma nell’assenza di nessi causali che ci dice dove andare a determinare un cambiamento, quali politiche scolastiche attuare, quale sia il ruolo e il posto della Scuola pubblica nel futuro delle generazioni a venire e del mondo.

Barbara Piccininni

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