editoriali

Sull’assemblea di Unione Popolare

di Stefano
Galieni

L’assemblea nazionale di Unione Popolare, che si è tenuta domenica 4 dicembre al “The Hive Hotel” a Roma ha costituito il primo momento in cui militanti e simpatizzanti della coalizione di forze che si è presentata alle ultime elezioni politiche, si sono potute/i ritrovare con la volontà di proseguire il percorso iniziato ufficialmente il 9 luglio, nella stessa sede. Già questo è un risultato di per sé positivo: con senso di responsabilità e sguardo rivolto soprattutto al futuro, le componenti che hanno dato vita all’Unione (DeMa, ManifestA, Potere al Popolo e il Partito della Rifondazione Comunista) hanno proseguito un cammino affatto scontato, insieme alle altre forze che hanno sostenuto UP, al mondo intellettuale, a candidate/i indipendenti, ad attiviste/i anche anonime che in questo spazio, che intende restare aperto a chi ne condivide gli obiettivi. Molto alta e variegata l’affluenza, tanto nella sala stracolma, (200 posti a sedere ma tante/i in piedi), numerosi i collegamenti nelle varie pagine fb che hanno trasmesso la diretta streaming.

Cronaca e valutazioni: l’incontro si è aperto con un’ampia relazione del portavoce Luigi de Magistris che, partendo dall’incontro di luglio ha ripercorso le tappe dei quasi 5 mesi trascorsi. Un progetto che intendeva strutturarsi, il colpo delle elezioni anticipate, la straordinaria generosità attraverso cui, senza risorse, si sono raccolte oltre 60mila firme per presentare le liste, l’endorsement del mondo intellettuale, di leader politici della sinistra internazionale come Melenchon, Corbyn, Iglesias, una simpatia che si avvertiva nelle tante iniziative fatte in campagna elettorale, fino ad un risultato elettorale nei fatti insufficiente. Il portavoce ha evidenziato come la simpatia, la credibilità, il valore del programma presentato, la stessa limpidezza di chi ha accettato l’onere di candidarsi, non si siano poi tradotti in un più ampio consenso. Ha prevalso la logica del voto da non disperdere e il fatto che, per molti, UP era un soggetto nuovo, apparentemente creato solo a fini elettorali, magari destinato a sciogliersi rapidamente. Ma la richiesta di “andare avanti” ha continuato ad avere forti spinte, soprattutto dai territori; il titolo dell’assemblea del 4, “Costruiamo Unione Popolare insieme”, voleva in tal senso dare conto del fatto che il percorso era appena iniziato, che resta aperto e che le premesse di luglio non sarebbero andate tradite. Un percorso e persone “non in vendita” ha riaffermato de Magistris, basato su capisaldi generali non compatibili con chi continua a votare provvedimenti per la guerra e contro la giustizia sociale e ambientale. Tutto questo in un quadro di autoritarismo sempre più opprimente che non nasce con il governo Meloni.

L’assemblea si è poi divisa per alcune ore in 4 tavoli di lavoro. Data l’esiguità dei tempi e il carattere di rilancio di una proposta politica e sociale i tavoli aggregavano temi che a loro volta avrebbero meritato ben più ampie suddivisioni: pace/guerra; lavoro/carovita; ambiente/cambiamenti climatici; democrazia/diritti. I tavoli si sono rivelati un espediente utile a permettere a molte/i di parlare, concentrando la propria attenzione su temi in cui affermare saperi e competenze e, secondo chi vi ha partecipato, si sono rivelati, per quanto frammentari e brevi, estremamente densi di proposte e di sollecitazioni, in un’ottica di propensione all’ascolto reciproco. Il mondo che si è riunito a Roma rivendica il fatto di non avere una totale omogeneità, di partire da valori fondanti che uniscono ma avendo contemporaneamente elaborato negli anni approcci, proprie identità sedimentate, riflessioni, a volte anche divergenti. La vera sfida è quella di trasformare tali divergenze in reale ricchezza e in una proposta ampia capace di includere e non di ergere recinti verso chi vi si approccia, magari non avendo alle proprie spalle un partito, un’organizzazione, una storia pregressa strutturata. L’Unione che si va realizzando, per essere realmente “Popolare”, deve far sì che chiunque ne faccia parte o la sostenga deve saper mettere anche in discussione le proprie certezze, confrontarsi con le/gli altre/i, contribuire a costruire uno spazio sociale e politico di cui si ha un gran bisogno nel Paese.

Se la restituzione dei tavoli di lavoro alla plenaria ha dato il segno della quantità e qualità delle proposte che Unione Popolare è in grado di mettere in campo, aggiornando ad una fase ulteriormente modificata, il proprio programma di lavoro, non sono mancati gli elementi di manifesta divergenza. Da alcuni interventi successivi, soprattutto provenienti da chi non ha una propria connotata appartenenza politica, è provenuta la richiesta, più o meno accentuata, di dare un’accelerazione alla fase organizzativa dell’Unione per traguardarla verso un soggetto unico, in grado di rendere meno rilevante il peso delle forze politiche preesistenti. C’è stato chi in maniera abbastanza esplicita si è augurato che UP porti allo scioglimento delle organizzazioni che l’hanno costituita (siamo tutte/i Unione Popolare abbandonando le proprie identità), chi ha parlato di percorso verso una simile soggettivazione, attraverso la realizzazione di “circoli di Unione Popolare”, tesseramento vero e proprio, finalizzati ad un vero e proprio congresso e chi, forse con maggiore consapevolezza del presente, ha parlato (Acerbo) di un percorso di confluenza simile a quello di tante realtà europee e latinoamericane, in cui lo spazio politico si realizzi senza che le singole storie debbano essere abiurate né tantomeno rinunciare ad avere propria autonomia e sovranità. Forse sfumature per non addetti ai lavori ma, soprattutto per chi ritiene necessario far divenire il nuovo spazio politico creatosi il 9 luglio, in grado di essere duraturo, elemento di peso nel dibattito che va svolto, in maniera orizzontale. Se è vero che le forze politiche non debbono limitare il potenziale espansivo di Unione Popolare, non divenire ovvero elemento respingente per chi vi si avvicina, gli anni hanno insegnato a considerare impraticabili le “fusioni a freddo”. La stessa forma che dovrà prendere UP (federazione? Confederazione? Confluenza?), le modalità di potersi riconoscere in tale percorso in maniera paritaria e poter incrementare la partecipazione, vanno discusse in una fase che si sta aprendo e che porterà inevitabilmente via altro tempo. Si comprende l’urgenza ma se si intende costruire una prospettiva con solide basi e non destinata a sfasciarsi con la prima tornata elettorale, si deve rimanere capaci di rispettare tutte le sensibilità presenti in questa prima fase.

E le scadenze elettorali prossime hanno segnato il secondo punto di discussione interna ad Unione Popolare. Alcuni interventi hanno rimarcato come fondamentale sia presentare il simbolo di UP nelle prossime elezioni regionali in Lombardia e Lazio in maniera totalmente autonoma dalle altre forze politiche in campo. Altri, dando per scontata una totale indisponibilità verso il Partito democratico e ogni altra riedizione del centro sinistra comunque caratterizzato, hanno ipotizzato una volontà di interlocuzione su contenuti programmatici con M5S, magari per giungere a forme di coalizione che salvaguardino l’indipendenza di UP ma che contemporaneamente non ne isolino le prospettive. Un dibattito dai tempi stringenti (nelle 2 regioni si vota il 12 febbraio) ma che non può essere risolto in maniera pregiudiziale ma unicamente con una discussione franca che veda coinvolti tanto i territori interessati quanto le forme provvisorie di rappresentanza nazionale di Unione Popolare. Si torna all’eterno tema che sovente ha spaccato i tentativi delle forze della sinistra di alternativa di affrontare il nodo della rappresentanza politica e della presenza nelle istituzioni. Al di là di come si vada a comporre tale dissenso, prevale la necessità di salvaguardare la prosecuzione del progetto di UP ed una sua strutturazione. Anche in virtù di questo ha riscontrato consenso la proposta, lanciata sin dall’inizio dei lavori, di avviare una campagna referendaria su diversi temi sociali e politici: ad esempio l’abrogazione dell’attuale legge elettorale per tornare ad un sistema proporzionale puro che garantisca reale rappresentanza, a quella dell’abolizione dell’intramoenia nella sanità pubblica e dell’alternanza scuola lavoro. Urgenti sono poi le iniziative di ogni tipo volte a scongiurare ogni ipotesi di realizzazione dell’autonomia regionale differenziata. I tavoli di lavoro dell’assemblea hanno evidenziato la necessità di essere ampliati, sia per valorizzare le competenze presenti e quelle che si vorranno avvicinare, sia, soprattutto, per lanciare una proposta e una sfida politica ancora più complessiva. Su tale ampliamento e su un lavoro che contempli contemporaneamente la capacità di produrre mobilitazioni e conflitto e di fare vera e propria ricerca, si gioca, ad avviso di chi scrive, il ruolo e lo spazio che potrebbe spettare ad Unione Popolare. Quello che permetterebbe, se realizzato, di trasformare la simpatia in consenso, di estendere una partecipazione militante soprattutto da parte di chi si sente oggi esclusa/o da ogni spazio politico o di chi sente quelli in cui vive, insufficienti. Esiste, fuori da UP e forse fuori da ogni contesto politico cristallizzato, un mondo di uomini e donne che opera quotidianamente in associazioni, progetti, tentativi di ricostruire socialità o di difendere diritti. Uomini e donne che, in maniera più o meno consapevole, rifiutano con il proprio comportamento quotidiano il pensiero unico dominante, intriso di autoritarismo, tradizionalismo, patriarcato, xenofobia e individualismo sfrenato. Lo spazio per sostituire il “noi” all’“io”, per considerare il dissesto idrogeologico del pianeta e del Paese, non come una fatalità ma come il frutto di un modello di sviluppo fallito, per ricostruire vincoli sociali che hanno il sentore di legami di classe pur comprendendo come la “classe” del XXI secolo sia mutata e sia in perenne mutazione, rispetto al secolo precedente, c’è e va esplorato con coraggio. Il pensiero dominante – e questa è una caratteristica fondante nella base politica e culturale presente non solo in chi oggi è in Unione Popolare – non è emendabile, non può essere affrontato con misure per ridurre il danno. La piramide va rovesciata, non può esistere pace durante la corsa al riarmo, non può esistere lavoro decente con la precarietà, non può esistere diritto alla salute, all’istruzione, alla cultura, ad una abitazione dignitosa, ai beni principali se questi sono considerati merci validi solo in quanto capaci di produrre profitto per pochi. Questo in Unione Popolare è chiaro ed è chiaro anche a tante e tanti che hanno scelto, alle elezioni, il voto utile, il meno peggio o l’astensione. È chiaro anche a chi ancora oggi, nonostante l’ennesima manovra contro i poveri che il nuovo governo – in continuità con i precedenti – prepara, non trova la forza o le motivazioni per uscire dalla ricerca di una soluzione individuale alle proprie sciagure per tornare a pretendere un radicale cambio di rotta. Simili percorsi si sono costruiti in altri paesi europei, con un lavoro durato anche anni, fatto di sconfitte e di intuizioni, di capacità di ricostruire connessione sentimentale con gli strati sociali più disagiati e di prospettare non una soluzione palliativa ma vere ipotesi di alternativa di società. Unione Popolare farebbe bene a costruire il proprio lavoro, rapidamente, partendo da queste indicazioni che non giungono da chi scrive ma da chi registra semplicemente, ogni giorno, la violenza esercitata dalle diverse forme di potere e di sfruttamento. Una proposta caparbia quanto realista, dipende da chi la pratica se resterà marginale e di purezza testimoniale o se si doterà degli strumenti, anche comunicativi, per divenire virale e, come è stato detto in più di un intervento, fare paura. Da tanti anni chi è oppresso vive nella paura di perdere il poco che ha. Che questo percorso in salita possa diventare quello che invece incuta terrore a chi ha continuato ad arricchirsi e a dominare è l’augurio migliore che si possa fare. Ma nulla è dato.

Stefano Galieni

 

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