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Stati Uniti e Africa: una vera partnership o una nuova versione di imperialismo?

di Alessandro
Scassellati

La scorsa settimana (14-16 dicembre) si è svolto il secondo vertice USA-Africa a Washington1 al quale hanno partecipato i delegati di 49 paesi africani e dell’Unione Africana2. Il segretario di Stato Anthony Blinken e Foreign Policy, presentando il vertice avevano sostenuto che “l’amministrazione Biden vuole corteggiare le nazioni africane senza parlare di Pechino“, sottolineando invece che il vertice era “radicato nel riconoscimento che l’Africa è un attore geopolitico chiave3. Un proposito che è stato comunque infranto il primo giorno allorquando nel corso di una tavola rotonda con diversi leader africani, il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha affermato che la Cina sta espandendo la sua presenza in Africa “su base giornaliera” attraverso la sua crescente influenza economica, che “destabilizzerà” il continente4.
Anche il New York Times ha dovuto ammettere che i paesi africani sono stanchi delle varie osservazioni degli Stati Uniti che mirano a presentarsi come un “fratello maggiore” e a seminare discordia. In effetti, i governanti africani hanno mostrato chiaramente la loro riluttanza e avversione verso le pressioni accumulate su di loro per prendere posizione e chiedere agli Stati Uniti di rispettarli. I governanti africani non vogliono schierarsi a favore o contro una o l’altra delle grandi potenze. Quasi la metà dei paesi africani non ha votato con Stati Uniti e Unione Europea sulla risoluzione con cui l’Assemblea Generale dell’ONU ha condannato l’invasione della Russia in Ucraina, tra questi il Sudafrica, la principale potenza economica del continente. Il presidente del Senegal e dell’Unione Africana, Macky Sall, ha spiegato che i leader africani prima di tutto vogliono essere ascoltati. “Non permetteremo a nessuno di dirci ‘non dovete collaborare con tizio o caio, ma soltanto con noi’. Vogliamo collaborare e fare affari con tutti.
Il vertice era stato pensato come un tentativo per cercare di convincere gli africani che gli Stati Uniti offrono una “opzione migliore” al continente rispetto ad altre grandi potenze, in particolare la Cina. Il giorno prima del vertice, gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire 55 miliardi di dollari all’Africa nel corso dei prossimi tre anni in sostegno economico, sanitario e di sicurezza (ma non è chiaro quanto di queste risorse sia aiuto a fondo perduto, a debito o per finanziamento aziendale), quando l’attuale aiuto è di circa 10 miliardi di dollari l’anno. Poi sono stati annunciati più di 15 miliardi di dollari in “impegni, accordi e partenariati commerciali e di investimenti bidirezionali” con l’Africa, anche su questioni chiave come l’energia sostenibile, le infrastrutture5 e l’economia digitale. Gli Stati Uniti hanno anche firmato un memorandum d’intesa con il Segretariato dell’area di libero scambio continentale africana (AfCFTA), che secondo la Casa Bianca creerà un mercato da 3,4 trilioni di dollari in tutto il continente6. “Il commercio si basa su infrastrutture affidabili per supportare e garantire catene di approvvigionamento resilienti e migliorare le infrastrutture dell’Africa è essenziale per la nostra visione di costruire un’economia globale più forte“, ha affermato Biden durante il suo discorso. Biden ha anche elencato le società che avevano concluso accordi al vertice fino a quel momento, tra cui General Electric e Cisco Systems. Inoltre, gli Stati Uniti hanno annunciato un’espansione della loro cooperazione e capacità nello spazio per includere alcuni paesi africani. Infine, durante il vertice il presidente Joe Biden ha dichiarato il sostegno degli Stati Uniti all’ammissione dell’Unione Africana al G20 e al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nonché una maggiore rappresentanza del continente nelle istituzioni globali come il Fondo monetario internazionale.
Il fatto è che nel corso degli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno fatto tante promesse ai paesi africani e poche sono poi state mantenute. L’iniziativa Power Africa da 33 miliardi di dollari, proposta durante l’amministrazione Obama, ha portato la corrente elettrica in 60 milioni di case africane, ma ha completato solo il 25% circa del totale di quanto promesso. Per molti leader africani l’ultimo presidente degli Stati Uniti che ha fatto qualcosa per il continente è stato George W. Bush, il cui programma Pepfar (2003), costato 100 miliardi di dollari, ha salvato secondo le stime del governo statunitense 25 milioni di vite con la distribuzione di farmaci a prezzi accessibili per curare l’HIV.
I paesi africani sono anche ansiosi di cercare un forte sostegno e assistenza per affrontare la crisi alimentare, la crisi finanziaria e la crisi fiscale nell’era post-pandemia. A questo proposito, ci sono molte cose che gli Stati Uniti possono e potrebbero fare. I leader africani hanno chiesto maggiori investimenti da parte delle società e delle agenzie statunitensi per trasformare le vaste risorse dell’Africa (terre rare e altri minerali strategici, petrolio, gas, etc.), esportare prodotti industriali (componenti e finali) e creare posti di lavoro per una popolazione giovane. “Invece di esportare materie prime, gli Stati Uniti dovrebbero trovare un’opportunità negli investimenti“, ha affermato il presidente keniota William Ruto. “Hanno i macchinari, hanno il know-how, in modo che possano produrre per il continente africano in Africa“. Citando le proiezioni secondo cui il settore agroalimentare africano sarà più che triplicato – arrivando a 1 trilione di dollari – entro il 2030, Ruto ha affermato che il capitale statunitense può aiutare a risolvere il deficit infrastrutturale fisico del continente per sbloccare la crescita. Il Kenya è uno dei paesi dove il settore tecnologico è diventato un importante bacino di innovazione e di talenti a basso costo.
Molti leader africani vogliono ottenere proroghe, cancellazione o una rinegoziazione del debito ingigantito da coronavirus e alti tassi di interessi globali, frenare le spinte alla transizione energetica, ottenere assistenza per le conseguenze dei cambiamenti climatici causati dai paesi ricchi, avere la sospensione dei brevetti sui vaccini e stringere accordi per forniture militari. Ma soprattutto, tutti si sono lamentati per le ricadute sui propri paesi del conflitto in Ucraina, che ha fatto schizzare l’inflazione e ha interrotto l’approvvigionamento alimentare.
In passato, gli Stati Uniti consideravano il continente africano essenzialmente un problema che non gradivano e che doveva essere risolto, ma ora considerano l’Africa come una pedina nella competizione contro le maggiori potenze avversarie. Non hanno mai veramente considerato l’Africa come un partner con cui cooperare alla pari, garantendo un mutuo vantaggio e un rispetto reciproco. Un approccio sbilanciato di cui i paesi africani sono profondamente consapevoli. È ancora fresco il ricordo delle guerre per procura condotte dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica in Africa durante la Guerra Fredda, che li rende profondamente restii a farsi invischiare nella concorrenza tra le grandi potenze. Con il mondo che diventa sempre più multipolare, sono ancora più contrari e resistenti a essere considerati una pedina nella strategia delle grandi potenze.
Nel corso del vertice, Biden ha sottolineato la necessità di dare vita a dei “partenariati equilibrati” con gli Stati africani, con la “costruzione di connessioni” e di un “futuro condiviso“. “Sappiamo da molto tempo che il successo e la prosperità dell’Africa sono essenziali per garantire un futuro migliore a tutti noi” e i partenariati dovranno essere su un piano di parità, “non per creare obblighi politici o favorire la dipendenza, ma per stimolare il successo condiviso. … Quando l’Africa ha successo, gli Stati Uniti hanno successo. Francamente, anche il mondo intero ha successo.” Nel corso della prossima primavera Biden farà un tour nelle principali capitali africane.
Ma i leader africani sanno bene che un tema centrale per Washington è la concorrenza con Pechino, che ha investito in Africa negli ultimi anni a un livello che ha superato di gran lunga gli Stati Uniti. La Strategia degli Stati Uniti verso l’Africa sub-sahariana pubblicata ad agosto ha menzionato la Cina tre volte, sempre descrivendo la Cina in un contesto negativo, suscitando ampia insoddisfazione in Africa, perché è stata interpretata come l’ennesima lezione paternalistica tenuta all’Africa su come gestire i suoi affari7 e come una riformulazione dell’importanza dell’Africa per gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti (l’Africa subsahariana è uno dei maggiori gruppi regionali di voto all’ONU). Gli Stati Uniti hanno fatto della loro strategia per l’Africa un nodo gordiano. Hanno fissato il loro obiettivo nell’impedire lo sviluppo della Cina nel continente africano e a questo obiettivo viene subordinato l’aiuto ai paesi africani a far fronte alle difficoltà di sviluppo. Gli Stati Uniti dovranno dimostrare che l’Africa è più di un campo di battaglia per la competizione con Pechino e Mosca e che possono essere partner migliori della Cina o della Russia.
I paesi africani sperano di costruire buoni rapporti con gli Stati Uniti, ma non vogliono realizzarli a scapito dello sviluppo e della cooperazione Cina-Africa o con altri paesi (Russia, Turchia, paesi del Golfo, India, Unione Europea). La Cina e i paesi africani hanno stretto relazioni più strette dal forum Cina-Africa del 2000 (da allora la Cina ha indetto otto forum “Africa+1, una media di uno ogni tre anni8). La Belt & Road Initiative (BRI) ha consentito di investire grandi risorse sulle diverse esigenze di sviluppo dei paesi africani, fornendo vantaggi sostanziali agli africani. La Cina è il principale partner commerciale dell’Africa, con un volume di scambi che ha raggiunto i 261 miliardi di dollari nel 2021, quattro volte quello del commercio USA-Africa (64 miliardi di dollari, l’1% del commercio globale americano). La Cina è anche uno dei paesi con i maggiori investimenti in Africa, portando milioni di opportunità di lavoro nel continente. Ospedali, autostrade, aeroporti, stadi costruiti con l’aiuto cinese sono in tutta l’Africa.
I cambiamenti geopolitici e geoeconomici globali hanno messo in discussione il dominio degli USA, facendo emergere nuove grandi e medie potenze. Questo aumenta la possibilità di scelta e manovra dei leader africani. Ora possono rivolgersi ad un paese per avere aiuti economici e ad un altro per avere armi. Negli ultimi anni la corsa internazionale per creare legami militari, commerciali e diplomatici in Africa si è allargata a Russia, Turchia, India, Brasile, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Vedono l’Africa come una terra di opportunità. La Russia è diventata il principale venditore di armi nel continente e nel Sahel, Repubblica Centro Africana e in Libia ha acquisito un ruolo un rilevante attraverso i mercenari del gruppo Wagner che puntellano regimi instabili in cambio del controllo di risorse preziose. La Turchia ha aperto ambasciate in decine di paesi e vende droni armati, mentre le aziende turche costruiscono aeroporti, moschee, ospedali e stadi, anche in paesi attraversati da conflitti armati come la Somalia. Gli Emirati hanno costruito porti sul Mar Rosso e fornito droni armati alla fazione di Haftàr in Libia e al governo etiope impegnato nella guerra civile contro il Tigray.

L’Africa, un continente saccheggiato

I problemi che ostacolano lo sviluppo dell’Africa restano irrisolti, a cominciare dalla povertà, dalle disuguaglianze, dai conflitti armati, dalle carestie, dagli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici dal debito, e dalla corruzione. I punti di forza del continente sono essenzialmente due (e, paradossalmente, oggi sono considerati punti di debolezza): la popolazione africana è giovane e dovrebbe raddoppiare entro il 2050, quando il continente ospiterà un quarto della popolazione del pianeta, quindi si tratta di un mercato in crescita e potenzialmente enorme; le grandi riserve di minerali saranno indispensabili per alimentare automobili elettriche, e le grandi foreste assorbono una quota importante della CO2 prodotta nel mondo.
Mentre continua il saccheggio estrattivo delle risorse naturali ed umane dell’Africa, prosegue anche la fuga di capitali che prosciuga le economie dei 55 Stati che fanno parte dell’Unione Africana. Quasi tutti i paesi africani stanno affrontando delle recessioni economiche prolungate insieme a crescenti difficoltà a servire il debito (pagare gli interessi) nel momento in cui le banche centrali euro-americane (FED e BCE) stanno rapidamente alzando i tassi di interesse nella loro guerra contro l’inflazione9.
Con molta meno valuta estera, entrate fiscali e spazio politico per far fronte agli shock esterni, molti governi africani credono di avere poca scelta se non spendere meno o prendere in prestito di più in valute estere. Questo mentre la maggior parte degli Stati africani sta lottando per far fronte a crisi alimentari ed energetiche, inflazione, tassi di interesse più elevati, eventi climatici avversi, minori approvvigionamenti sanitari e sociali. I disordini sociali e politici stanno crescendo a causa del deterioramento delle condizioni economiche nonostante alcuni aumenti dei prezzi delle materie prime.
Dopo “decenni perduti” dalla fine degli anni ’70, l’Africa era apparentemente diventata una delle regioni in più rapida crescita al mondo all’inizio del XXI secolo. L’alleggerimento del debito, il boom delle materie prime e altri fattori sembravano supportare l’ingannevole narrativa dell'”Africa in ascesa“. Ma invece della trasformazione economica attesa da tempo, l’Africa ha visto una crescita senza la creazione di nuovi posti di lavoro, crescenti disuguaglianze economiche e maggiori trasferimenti di risorse all’estero. La fuga di capitali, che coinvolge risorse saccheggiate riciclate tramite banche estere, sta dissanguando il continente.
Secondo l’High Level Panel sui flussi finanziari illeciti dall’Africa, il continente perde oltre 50 miliardi di dollari all’anno. Ciò è dovuto principalmente alla “fatturazione commerciale errata” – esportazioni con fatturazione insufficiente e importazioni con fatturazione eccessiva – e accordi commerciali fraudolenti. Le global corporations e le reti criminali catturano gran parte di questo drenaggio di eccedenze economiche africane. I paesi ricchi di risorse sono più vulnerabili al saccheggio, soprattutto dove i movimenti di capitale sono stati liberalizzati10. Fatturazione errata, altre modalità di appropriazione indebita di risorse pubbliche ed evasione fiscale aumentano la ricchezza privata nascosta nei centri finanziari offshore e nei paradisi fiscali.
I programmi di aggiustamento strutturale imposti dall’esterno, dopo le crisi del debito sovrano dei primi anni ’80, hanno costretto le economie africane ad essere ancora più aperte, a caro prezzo. Questi programmi hanno reso i paesi africani più dipendenti dalle importazioni (alimentari), aumentando al contempo la loro vulnerabilità agli shock dei prezzi delle materie prime e ai flussi di liquidità globali.
Con questo sistema di saccheggio, i paesi africani ricchi di risorse – che avrebbero potuto accelerare lo sviluppo durante il boom delle materie prime – ora affrontano difficoltà debitorie, valute in deprezzamento e inflazione importata, mentre i tassi di interesse vengono spinti verso l’alto.
Il default dello Zambia sui suoi obblighi di debito estero alla fine del 2020 ha fatto notizia. Ma la cattura straniera della maggior parte dei proventi delle esportazioni di rame dello Zambia non viene riconosciuta. Durante il periodo 2000-2020, il reddito totale degli investimenti esteri diretti dallo Zambia è stato il doppio del servizio del debito totale per i prestiti governativi esterni e garantiti dal governo. Nel 2021, il disavanzo nel conto del “reddito primario” (principalmente rendimenti in capitale) della bilancia dei pagamenti dello Zambia era del 12,5% del PIL. Poiché i pagamenti per interessi sul debito estero pubblico ammontavano a “solo” il 3,5% del PIL, la maggior parte di questo disavanzo (9% del PIL) era dovuta alle rimesse di profitti e dividendi, nonché al pagamento degli interessi sul debito estero privato.
Per il FMI, la Banca mondiale e le “nazioni creditrici“, la “ristrutturazione” del debito è subordinata alla continuazione del saccheggio. Il peggioramento dell’indebitamento estero dei paesi africani è in parte dovuto alla mancanza di controllo sui proventi delle esportazioni da parte delle multinazionali, con il sostegno dell’élite africana. Il saccheggio delle risorse, che comporta la fuga di capitali, porta inevitabilmente alla sofferenza del debito estero. Invariabilmente, il FMI richiede l’austerità del governo e l’apertura delle economie africane agli interessi delle multinazionali. Quindi, arriviamo al punto di partenza. In effetti, siamo all’interno di un circolo vizioso.
Il saccheggio della ricchezza dell’Africa risale all’epoca coloniale e dell’imperialismo europeo11, e ancora prima, con il commercio atlantico degli africani ridotti in schiavitù. Ora, questo è reso possibile da interessi transnazionali che elaborano regole internazionali, scappatoie e tutto il resto. Tali abilitatori includono vari banchieri, contabili, avvocati, gestori di investimenti, revisori e altri operatori in grado di “ungere le ruote”. Così, le origini della ricchezza di “persone facoltose“, corporations e politici vengono mascherate e il suo trasferimento all’estero “riciclato“.
La fuga di capitali non è principalmente dovuta alle “normali” scelte di portafoglio degli investitori africani. Pertanto, è improbabile che l’aumento dei rendimenti degli investimenti, ad esempio con tassi di interesse più elevati, possa arginarlo. Peggio ancora, tali misure politiche scoraggiano gli investimenti interni necessari.
Oltre a imporre controlli sui capitali efficienti ed efficaci, sarebbe importante che gli Stati rafforzassero le capacità delle agenzie nazionali specializzate, come le dogane, la supervisione finanziaria e gli organismi anticorruzione. I governi africani hanno bisogno di regole, quadri giuridici e istituzioni più forti per frenare la corruzione e garantire una gestione più efficace delle risorse naturali, ad esempio rivedendo i trattati bilaterali di investimento e i codici di investimento, oltre a rinegoziare i contratti di petrolio, gas, miniere e infrastrutture. I registri di tutti gli investimenti nelle industrie estrattive, i pagamenti delle tasse da parte di tutti i soggetti coinvolti dovrebbero essere trasparenti e responsabili. La punizione dei reati economici dovrebbe essere applicata rigorosamente con pene deterrenti. Imporre vincoli sui flussi di portafoglio volatili, in particolare quelli che contribuiscono al deprezzamento della valuta, è fondamentale per mitigare i rischi associati alla globalizzazione finanziaria. Inoltre, proprio come diversi paesi africani hanno esplicitamente o implicitamente sfidato le sanzioni commerciali alla Russia guidate dagli Stati Uniti, i responsabili politici devono liberarsi dal sistema finanziario internazionale dominato dagli Stati Uniti, in particolare dai mercati degli swap in dollari e dei pronti contro termine.
Dato che la maggior parte dei paesi africani non può permettersi di agire da sola, la cooperazione regionale – a livello dell’Unione Africana e tra i paesi del Sud del mondo – è fondamentale. Il rapporto annuale della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo menziona diverse forme innovative di finanziamento e pagamenti in valuta che i paesi del Sud del mondo potrebbero implementare per contrastare il dominio finanziario delle economie avanzate, tra cui i “sindacati di compensazione Sud-Sud“. Se il commercio tra le economie del Sud del mondo cresce rapidamente, osserva il rapporto, i flussi saranno regolati nelle proprie valute o attraverso meccanismi valutari regionali. Tali meccanismi potrebbero anche aiutare a negoziare accordi di ristrutturazione del debito, fornire assicurazioni finanziarie a livello regionale e persino istituire fondi di stabilizzazione per migliorare le posizioni di attività estere dei paesi.

Alessandro Scassellati

  1. Il primo vertice dei leader USA-Africa si era tenuto nel 2014 durante l’amministrazione Obama. I due vertici sono stati separati non solo da otto anni, ma anche da un presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, che ha insultato i paesi africani come “merde” (shithole countries), un’espressione che è diventata una testimonianza storica della capricciosità e della mancanza di rispetto degli Stati Uniti per l’Africa. Il vertice fa parte dei tentativi di Biden di ricostruire le relazioni degli Stati Uniti all’estero, dopo quattro anni di politica estera “America First“.[]
  2. Non tutti i leader africani sono stati invitati a Washington. Guinea, Sudan, Mali, Zimbabwe, Burkina Faso ed Eritrea sono rimasti fuori dalla lista degli invitati. La partecipazione del leader della Guinea Equatoriale nonché l’autocrate più longevo al mondo, Teodoro Obiang, invece, ha creato più di qualche imbarazzo all’amministrazione americana, ma gli USA sono preoccupati per la possibile creazione di una base navale cinese nel paese che si affaccia sull’Oceano Atlantico.[]
  3. Durante il vertice Blinken ha fatto degli incontri bilaterali con i capi di Stato africani, cercando di dedicare particolare attenzione alla risoluzione di conflitti e tensioni politiche. Ha incontrato il presidente tunisino Kais Saied, impegnato a costruire una “democratura”, e ha sottolineato l’importanza di elezioni “libere ed eque” nel paese nordafricano, “così come riforme inclusive per rafforzare i controlli e gli equilibri democratici e la protezione delle libertà fondamentali“. I membri del Congresso e i gruppi per i diritti umani avevano invitato l’amministrazione Biden a fare pressioni su Saied per fermare quello che descrivevano come il “regresso democratico” del paese nordafricano. Alle ultime elezioni parlamentari tunisine (17 dicembre), l’88% dei cittadini aventi diritto non sono andati a votare. Blinken ha anche incontrato il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, invitandolo ad attenersi all’accordo di cessate il fuoco di novembre raggiunto per la regione settentrionale del Tigray, lacerata da due anni di conflitto militare. “Il Segretario ha sollecitato un’attuazione accelerata dell’accordo e l’accesso alle aree di conflitto da parte di osservatori internazionali sui diritti umani“, ha affermato il Dipartimento di Stato. “Il segretario Blinken e il primo ministro hanno anche discusso dell’urgente necessità che tutte le forze eritree lascino l’Etiopia, cosa che avverrà in concomitanza con il disarmo dei combattenti tigrini.” Attualmente, tensioni interne ed instabilità politiche, guerre civili o interstatuali, e rivolte popolari investono, oltre a Etiopia e Tunisia, una miriade di altri paesi africani, dalla Libia alla Mauritania e a tutta la fascia dei paesi del Sahel, compreso il nord della Nigeria, la Repubblica Centro Africana, Somalia, Congo, Cameroun, Mozambico, solo per citarne i principali.[]
  4. La reazione cinese al vertice, espressa dal portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, ha sottolineato che gli Stati Uniti dovrebbero “rispettare la volontà del popolo africano e intraprendere azioni concrete per aiutare lo sviluppo dell’Africa, invece di diffamare e attaccare incessantemente altri paesi.” Wang ha affermato che è “responsabilità comune della comunità internazionale sostenere lo sviluppo dell’Africa“, aggiungendo che “l’Africa non è un’arena per il confronto tra grandi potenze o un obiettivo per pressioni arbitrarie da parte di determinati paesi o individui.”[]
  5. Nel suo discorso, Biden ha parlato di un investimento di 500 milioni di dollari per ridurre i costi di trasporto in un porto chiave dell’Africa occidentale in Benin.[]
  6. Ma il trattato Africa Growth and Opportunity Agreement – AGOA che fiscalmente favorisce l’accesso di prodotti africani al mercato americano scade nel 2025 e i governanti africani chiedono il suo rinnovo per un altro decennio. Questo richiederà un voto bipartisan del congresso USA[]
  7. Nel corso di una visita in Africa nel 2009, Obama aveva sostenuto che l’impegno degli USA per aiutare il continente doveva essere accompagnato da quello degli Stati africani ad assumersi le responsabilità dei loro problemi.[]
  8. Nell’ultimo forum sino-africano, Xi Jinping ha promesso investimenti per 60 miliardi di dollari. L’Unione Europea ha accordi e forum con i paesi africani da decenni. La Russia ha il suo forum con i leader africani. Anche India, Turchia e Giappone hanno riunito i paesi africani più frequentemente di quanto non abbia fatto Washington, mentre la Francia, l’ex potenza coloniale che ha mantenuto i legami più forti con il continente, convoca riunioni di questo genere da decenni.[]
  9. Lunedì il ministero delle Finanze del Ghana ha annunciato di aver sospeso i pagamenti sulla maggior parte del suo debito estero, compresi gli eurobond, i prestiti commerciali e la maggior parte dei prestiti bilaterali, andando effettivamente in default mentre il paese fatica a colmare il suo enorme deficit della bilancia dei pagamenti. Il governo “è pronto a impegnarsi in discussioni con tutti i suoi creditori esterni per rendere sostenibile il debito del Ghana“, ha affermato il ministero delle Finanze. La sospensione dei pagamenti del debito riflette lo stato pericoloso dell’economia, che aveva portato il governo la scorsa settimana a raggiungere un accordo a livello di personale da 3 miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale. Il Ghana aveva già annunciato un programma di scambio del debito interno e ha affermato che era in corso di negoziazione una ristrutturazione esterna con i creditori. Il FMI ha affermato che una completa ristrutturazione del debito è una condizione per il suo sostegno. Il paese ha lottato per rifinanziare il proprio debito dall’inizio dell’anno dopo il declassamento da parte di diverse agenzie di rating del credito per timore che non sarebbe stato in grado di emettere nuovi Eurobond. Ciò ha spinto ulteriormente il debito del Ghana in territorio critico. Il suo debito pubblico ammontava a 467,4 miliardi di cedi ghanesi (55 miliardi di dollari) a settembre, di cui il 42% interno. Accra ha avuto un disavanzo della bilancia dei pagamenti di oltre 3,4 miliardi di dollari a settembre, in calo rispetto a un surplus di 1,6 miliardi nello stesso periodo dell’anno scorso. Mentre dal 70 al 100% delle entrate del governo attualmente va al servizio del debito, l’inflazione del paese è salita fino al 50% a novembre. Le sue riserve internazionali lorde si attestavano a circa 6,6 miliardi di dollari alla fine di settembre, pari a meno di tre mesi di copertura delle importazioni, in calo rispetto ai circa 9,7 miliardi di dollari alla fine dello scorso anno.[]
  10. Si stima che oltre il 55% della fuga di capitali, definita come beni acquisiti o trasferiti illegalmente, dall’Africa provenga da nazioni ricche di petrolio, con la sola Nigeria che ha perso 467 miliardi di dollari nel periodo 1970-2018. Nello stesso periodo, l’Angola ha perso 103 miliardi di dollari. Il suo tasso di povertà è passato dal 34% al 52% nell’ultimo decennio, poiché i poveri sono più che raddoppiati, passando da 7,5 a 16 milioni. I proventi del petrolio sono stati sottratti dalle multinazionali e dall’élite dell’Angola. Abusando della sua influenza, la figlia dell’ex presidente, Isabel dos Santos, ha acquisito enormi ricchezze. Un rapporto ha trovato oltre 400 aziende nel suo impero commerciale, comprese molte nei paradisi fiscali. Dal 1970 al 2018, la Costa d’Avorio ha perso 55 miliardi di dollari a causa della fuga di capitali. Coltivando il 40% del cacao mondiale, ottiene solo il 5-7% dei profitti globali del cacao, con gli agricoltori che ottengono molto poco. La maggior parte delle entrate del cacao va alle multinazionali, ai politici e ai loro collaboratori. Il gigante minerario Sudafrica ha perso 329 miliardi di dollari a causa della fuga di capitali negli ultimi cinquant’anni. L’austerità fiscale ha rallentato la crescita dell’occupazione e la riduzione della povertà nel “paese più disuguale del mondo“. In Sudafrica il 10% più ricco possiede oltre la metà della ricchezza della nazione, mentre il 10% più povero possiede meno dell’1%.[]
  11. Con la Conferenza di Berlino del 1884-1885 si aprì “la corsa all’Africa”. Il continente venne spartito, assegnando i territori alle potenze imperiali europee dell’epoca – Impero Britannico, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Olanda, Belgio e Italia.[]
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