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Sta arrivando la bufera?

di Nicoletta
Pirotta

Sta arrivando la bufera?

Riflessioni di una femminista preoccupata e perplessa.

“Perché non essere contente del fatto che una donna , per la prima volta in Italia, potrebbe occupare la poltrona di primo ministro? “

E’ questa la domanda insidiosa che viene posta in particolare al mondo femminista.

In fondo la possibilità di avere una donna a capo del governo si apre anche grazie all’onda lunga dei movimenti femminili e femministi che hanno contestato la divisione patriarcale secondo la quale le donne sarebbero destinate alla sfera del privato mentre gli uomini a quella pubblica,

Oggi in molti contesti ed in molte professioni le donne occupano posti di comando grazie alle lotte e all’impegno dei movimenti delle donne che hanno continuato a lottare in diverse epoche storiche e con connotazioni differenti (per esempio sarebbe bene non dimenticare, come alcune amiche e compagne mi hanno fatto notare, le esperienze emancipazioniste, del dopoguerra e oltre, guardate spesso con sufficienza da una parte del femminismo contemporaneo).

Eppure nonostante ciò io contenta non sono.

Prima di tutto perché, citando Simone de Beauvoir “Essere donna non è un dato naturale, ma il risultato di una storia. Non c’è un destino biologico e psicologico che definisce la donna in quanto tale. Tale destino è la conseguenza della storia della civiltà, e per ogni donna la storia della sua vita.”

E poi perché Il femminismo nel quale mi riconosco, per dirlo con Angela Davis, è quello, che porta alla consapevolezza di quel che il capitalismo è e quindi alla necessità di confliggere con esso.

A partire da ciò permettetemi un inciso. Contesto alla radice l’idea che il femminismo non sia né di destra né di sinistra, e ancora di più l’affermazione che vi sia stata  rottura fra femminismo e  sinistra ( cosa diversa è parlare di qualità delle relazioni e gestione del potere nei partiti della sinistra, a questi livelli sì rottura vi è stata).

La storia dei femminismi fin dagli albori  nasce all’interno dei movimenti che vogliono cambiare società e contestare i sistemi di potere che agiscono in essa. Una storia che ha prodotto una miniera d’oro di specifiche elaborazioni che hanno consentito di arricchire gli orizzonti di senso e le pratiche dei movimenti stessi. Penso a due aspetti: alla consapevolezza che accanto alla contraddizione di classe vadano considerate quelle di genere e di provenienza (o di razza come sarebbe meglio dire, anche se disturba…) assumendo come bussola la complessità del reale ed alla considerazione che  il personale non possa che essere politico, volendo affermare con ciò’ che non può esistere nessuna rivoluzione reale se non si cambia il proprio modo di essere e di stare al mondo.

Purtroppo, come spesso accade anche all’interno della storia dei femminismi, vi sono state tendenze involutive che hanno allontanato dalla lotta  (arrivando a teorizzare, pur di sottrarsi al conflitto, “il diritto di non avere dei diritti”!) e portato  acqua al mulino dei dominanti.

Nel suo famoso  “Come il femminismo divenne ancella del capitalismo” Nancy Fraser scrive:

“Quasi fosse un crudele scherzo del destino, il movimento per la liberazione delle donne sembra essersi avviluppato in una relazione pericolosa con gli sforzi neoliberisti nel costruire la società del libero mercato. Questo potrebbe spiegare perché una serie di idee femministe, che un tempo facevano parte di una visione del mondo radicale, oggi vengono utilizzate a fini individualistici. In passato, le femministe criticavano una società dove si promuoveva il carrierismo, adesso viene consigliato alle donne di “affidarsi”, di “farsi avanti”,  una volta si aveva come priorità la solidarietà sociale, oggi si festeggiano le imprenditrici. La prospettiva di allora valorizzava la “cura” e l’interdipendenza umana, ora incoraggia il progresso individuale e la meritocrazia.(…) L’ondata del femminismo di prima maniera emersa come critica al capitalismo, è diventata ancella del capitalismo”

In questi anni anche grazie alla durezza della condizione materiale delle donne in ogni parte del mondo, abbiamo visto l’insorgere di una nuova, giovane e radicale ondata di lotte che ha riportato il conflitto al centro dell’agire femminista. Ma alcune scorie ancora esistono….

Chiuso l’inciso, per tornare alla possibile ascesa  di una donna di destra a capo del governo provo a spiegare  gli interrogativi di fondo che mi destano preoccupazione.

Mi interrogo in particolare sui perché, mentre il sistema dominante mostra la sua incapacità di risolvere i problemi in quanto artefice dei guasti che tali problemi hanno determinato, politicamente non prende voti chi questi guasti ha da tempo denunciato ma, non solo in Italia, la destra più radicale.

Dentro la crisi economica ed ambientale, durante la pandemia, negli attuali scenari di guerra il sistema capitalista ha mostrato e mostra tutte le sue storture, la sua incapacità a rispondere ai bisogni delle persone (specie di quelle marginalizzate) così come la sua ferocia e la sua violenza nel continuare a considerare la guerra uno strumento per ridisegnare poteri e fare affari.

Eppure nonostante tutto non si assiste all’avanzata di coloro che  avevano indicato con lucida ragione i guasti del sistema e proposto soluzioni per un’umanità nuova, ma altresì quella  di una desta populista che si nutre di razzismo, misoginia, omofobia e che proprio su questi aspetti costruisce consenso e adesione (anche riscrivendo a proprio piacimento la storia).

Una destra di cui Giorgia Meloni è figlia (o sorella).

Di questo dovremmo essere preoccupate e sentire la necessità di discutere, anche come femministe, perché avere ragione non basta.

Voglio aggiungere un’altra considerazione, anch’essa motivo di perplessità.

Noto come l’ argomento più in voga contro la Meloni, anche in alcuni contesti femministi, sia quello del ritorno del fascismo. Per questo ci si chiede perentoriamente di scegliere: o con i buoni o con i cattivi. Come se fosse così semplice fare una simile distinzione.

Come ho detto poco sopra considero  la Meloni espressione di un capitalismo vorace e bellicoso.

Non molto diverso però, se non di facciata, da quello che sin qui ha governato. Abbiamo visto ministri  piangere lacrime di coccodrillo  mentre spiegavano una riforma pensionistica che andava a  peggiorare, e di molto, la vita di lavoratrici e lavoratori. Ne ho avuto paura tanto quanta me ne fa ora la destra che avanza.

Gridare al lupo dopo che lo si è alimentato con anni di politiche liberiste che hanno impoverito, disorientato, impaurito i ceti popolari, mi pare operazione menzognera.

Larga parte di quel che un tempo fu la sinistra ha via via finito per accettare, sul piano politico istituzionale, le compatibilità del sistema capitalista finendo per diventare un apprendista stregone con i fiocchi. Le riforme costituzionali del titolo V, le legislazione in materia di lavoro, servizi sanitari, sociali e immigrazione che hanno aperto la strada a vere e proprie  controriforme ed hanno modificato in radice la natura e la funzione del lavoro e dei sistemi pubblici di welfare sono nate nel campo democratico. Preoccuparsi oggi dei rischi che corre la democrazia è certamente cosa buona e giusta ma sicuramente tardiva.

Faccio fatica a capire perchè un parte del femminismo, che non mi pare abbia cadaveri nell’armadio, si affianchi a quest’onda dandole l’importanza che non si merita.

Auspico che dopo le elezioni, indipendentemente da chi governerà il Paese, il movimento femminista o più in generale delle donne, ritrovi parole e pratiche convergenti capaci  di aprire conflitto per provare a sovvertire l’ordine delle cose esistenti.

Perché in fondo, parafrasando Focault,  il potere della dominazione è, nello stesso tempo, legato al  potere di contestare la dominazione stessa.

Nicoletta Pirotta

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