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Srebrenica, il tempo del ritorno

di Tommaso
Chiti

[…] il lutto reale non aveva avuto inizio in un momento esatto e nessuno di noi osava piangere chi, magari, per qualche strano e fortunato disegno del destino, sarebbe potuto ricomparire.
Eppure, da qualche parte dentro di noi, viveva un lutto lungo vent’anni, una sofferenza insidiosa che serpeggiava, si nascondeva, riappariva e non c’era verso di prenderla di petto e sconfiggerla
.”
(Dieci prugne ai fascisti, Elvira Mujčić)

A venticinque anni dagli atroci crimini di pulizia etnica, perpetrati dalle milizie serbo-bosniache della Repubblica di SPRSKA, guidati dal generale Ratko Mladić, contro la popolazione bosniaca di fede islamica, rifugiatasi nella “zona sicura” delle Nazioni Unite e poi di fatto consegnata dai caschi blu al massacro; il gruppo Sentieri Partigiani di Anpi Prato, in collaborazione con PopolEuropa _ comunità e conflitti ai margini dell’Unione, hanno organizzato un’iniziativa di riflessione ed approfondimento (https://www.facebook.com/104249587903714/videos/769508543818506/).

Grazie al coordinamento di Valentina dell’assemblea #SullaStessaBarca e agli interventi di Simone Malavolti, storico ed attivista di ‘Passaggi di Storia’; e di Luca Bravi, ricercatore dell’Università di Firenze, è stata possibile una panoramica del contesto in cui si è verificata la pulizia etnica nel luglio del 1995, oltre ad una riflessione sulle ricadute ancora evidenti di quel crimine contro l’umanità. Spesso si sente parlare della pacificazione portata dall’UE nel continente europeo, risultato quanto meno discutibile a fronte del genocidio di Srebrenica, in seguito alla dissoluzione della Yugoslavia e alla guerra di matrice nazionalista ed inter-etnica, per la conquista di nuove zone di influenza. Significativo a proposito fu l’incontro nel ’91 fra il leader croato Tuđman e quello serbo Milosevic, per concordare il piano di spartizione della Bosnia con l’intento di omogenizzare la popolazione all’interno di territori conquistati. A giocare un ruolo dirimente in questo conflitto è poi la comunità internazionale, intesa come quelle entità di potere assimilabili alla NATO, all’ONU, quindi gli stati membri dell’allora Comunità Europea e non ultimi gli USA del neo-eletto Bill Clinton, che nel 1994 ingaggia un intervento a sostegno di bosniaci e croati, così da stabilizzare una suddivisione percentuale del territorio in chiave etnica.

Il ribaltamento delle forze sul campo a scapito dei serbi anche bosniaci, inasprisce le rappresaglie sulla popolazione, che si concentra nelle ‘zone securizzate’, come Srebrenica, dove in pochi giorni si riversano circa 20 mila profughi, di cui soltanto poche migliaia trovano rifugio nella base ONU, a fronte di un numero di vittime spropositato, che si aggira sulle 8 mila persone. Dirimente la mancata copertura aerea delle forze internazionali a difesa delle zone sicure, quasi un segnale di via libera per le milizie serbe, che attaccano, deportano e massacrano la popolazione inerme.

Altrettanto dirimente è la questione della Memoria di quei fatti, ricercata in un viaggio in auto verso Srebrenica di Luca Bravi, con la ridiscussione della narrazione storica e la ricostruzione dei tasselli in maniera precisa, onde evitare la sua strumentalizzazione politica, a partire dalle motivazioni che hanno portato a quei fatti, come appunto l’odio etnico alla base dei processi di sterminio. L’abbandono della propria terra, la persecuzione e la convivenza con l’assenza dei proprio cari portano a quella conflittualità non risolta, che ancora rivive nei racconti dei superstiti. In questo senso la Memoria deve assumere quel ruolo di ponti di pace sulle fondamenta storiche e sulla piena consapevolezza delle responsabilità.

Ad arricchire l’iniziativa è stato l’intervento di Irvin Mujčić, giovane superstite del massacro che è costato la vita anche al padre ed allo zio; ed unico della sua famiglia a tornare nella sua città natale. Qui in Bosnia-Erzegovina Irvin ha sentito la necessità di ribaltare il concetto “mai più Srebrenica” con un approccio di “lezione imparata”, costruendo una “City of Hope”, un’organizzazione che promuove la valorizzazione della comunità e dell’ambiente naturale, che riesca a trasmettere il suo sentimento per un “tempo del ritorno”.

Iniziativa consultabile qui: https://www.facebook.com/104249587903714/videos/769508543818506/

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