L’impegnativo articolo del cancelliere tedesco Olaf Scholz pubblicato dalla principale rivista di politica internazionale degli Stati Uniti, Foreign Affairs, ha sollevato commenti favorevoli dal versante cinese. Ne sono testimonianza i giudizi di esperti riportati dal Global Times, come le stesse dichiarazioni del portavoce del Ministero degli Esteri cinese Mao Ning.
Abbiamo già accennato nell’articolo della scorsa settimana ad alcune implicazioni dell’intervento di Scholz che, ricordiamo, ha da poco visitato Pechino e incontrato Xi Jinping. Una visita breve, nella quale è stato accompagnato da alcuni rappresentanti del mondo imprenditoriale tedesco, ma che ha rappresentato un segnale importante per delineare la possibile strategia globale della Germania nella nuova fase caratterizzata dalla crisi della globalizzazione.
L’articolo di Scholz tiene insieme due elementi principali. Innanzitutto la rivendicazione della svolta militarista della Germania, riflesso di una generale “Zeitenwende” (un mutamento epocale), che mette fine al “pacifismo” tedesco, per decenni ritenuto necessario alla luce delle responsabilità derivanti dallo scatenamento della seconda guerra mondiale. Per altro, la lettura ideologica ufficiale sulle cause del conflitto mondiale che sconvolse l’Europa erano già state revisionate dalla maggioranza del Parlamento europeo. Individuando il punto di avvio della guerra nel patto Molotov-Ribbentrop e nella sua motivazione di fondo il reciproco desiderio di spartizione dell’Europa tra Hitler e Stalin, messi sullo stesso piano, già si era provveduto a dimezzare la responsabilità tedesca.
Ora la rimilitarizzazione della Germania viene presentata da Scholz come un passaggio necessario per far fronte al nuovo stato delle relazioni internazionali e come conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina. Questo cambiamento prevede nuove ingenti spese militari sia con un intervento straordinario di 100 miliardi, sia con l’incremento permanente degli investimenti nelle forze armate portati al 2 per cento del PIL. Il che significa portare ad una spesa militare annua di 70-80 miliardi e conseguentemente l’esercito più forte (o almeno il più ricco) del mondo dopo gli inarrivabili Stati Uniti e la Cina. La sola Germania avrà un bilancio militare che sovrasterà nettamente quello russo di 15-20 miliardi annui.
Qual è la contropartita tedesca per questo nuovo protagonismo militare? Dall’articolo di Scholz sembra di capire che da Berlino si esprima il desiderio di pesare di più nella definizione delle politiche globali, per tenere conto del modello di accumulazione sul quale è vissuta la Germania. Questo modello mantiene una forte presenza industriale (a differenza degli Stati Uniti) e un deciso orientamento verso le esportazioni di prodotti di gamma tecnologica medio-alta. Per mantenere questo meccanismo, considerato che gli Stati Uniti restano per molti aspetti un’economia chiusa, l’unico o almeno il principale mercato di sbocco è quello cinese. Una Cina che disporrà, salvo l’emergere di gravi contraddizioni interne, del più grande ceto medio emergente del mondo.
Il principale obiettivo che Scholz si pone è quindi di evitare la cosiddetta “nuova guerra fredda” che renda più difficile proseguire nella cooperazione economica con Pechino. Dal punto di vista cinese questo atteggiamento viene esplicitamente apprezzato perché considerato come “realistico” e “pragmatico”. Della posizione tedesca i commentatori cinesi sottolineano la convinzione che isolare Pechino e ridurre la cooperazione non sia una buona idea. Come ha scritto il “Global Times”, quotidiano di Pechino, per gli analisti cinesi è importante evidenziare come le opinioni di Scholz possano “guidare l’Europa ed anche il mondo intero a non valutare erroneamente le opportunità create dalla crescita cinese”.
Per la Cina è impensabile tornare ad economie nazionali chiuse, ai “piccoli giardini con alti steccati”. Sempre secondo i commentatori cinesi, dalle parole di Scholtz emerge una Germania che si propone come potenza regionale. Il suo governo vuole proteggere gli interessi della sua popolazione e delle sue imprese, “piuttosto che seguire ciecamente la politica degli Stati Uniti sulla Cina”. Da Pechino si respinge una visione considerata ideologica delle relazioni internazionali. Differenze di valori e di sistemi sociali interni non dovrebbero ostacolare la cooperazione economica e commerciale.
Sul tema del conflitto ideologico, Scholz ha richiamato un passaggio della strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per cercare di ridimensionare le spinte ad una contrapposizione globale tra campi avversi. Esistono i paesi democratici (e siamo noi) e i paesi autoritari (quelli che noi riteniamo tali), ma – è la tesi – questi ultimi non sono tutti uguali. Ci sono quelli che mettono in discussione l’assetto internazionale, e questi vanno combattuti, ma ci sono quelli che se pur conculcano i diritti dei propri cittadini, non mettono in discussione il predominio occidentale nella dimensione globale. Con questi si può trovare un modus vivendi accettabile e anche chiudere un occhio sulle pratiche autoritarie. Atteggiamento che, per altro, non innova sul passato, come attestano le ottime relazioni intrattenute dall’occidente con tanti regimi di tipo fascistoide in Europa e altrove nei decenni di guerra fredda e anche oltre.
La strada tedesca per tenere aperta una dimensione di collaborazione economica con la Cina si scontra soprattutto con la nuova strategia degli Stati Uniti di Biden che si propone attivamente di bloccare l’accesso cinese ad alcune delle nuove tecnologie di punta che risultano indispensabili alla nuova fase di sviluppo capitalistico. L’Inflation Reduction Act statunitense punta a rilanciare gli investimenti industriali a casa propria anche aprendo una decisa contrapposizione con gli interessi europei. Questa pressione sarà particolarmente forte in settori indispensabili alle nuove generazioni di prodotti collegati ai mutamenti imposti dal cambiamento climatico e dallo sviluppo tecnologico, come i superconduttori e le batterie per auto.
Ma gli Stati Uniti possono condizionare pesantemente le industrie europee anche impedendo di vendere alla Cina prodotti che contengano tecnologie prodotte a casa loro. La quota americana degli investimenti mondiali è salita dal 20 al 30% tra il 2019 e il 2022. Mentre la quota europea è rimasta ferma al 13%. L’Asia resta l’area di investimenti più forte con il 50%, dato che in questi paesi si sono concentrate molte attività industriali con lo sviluppo dei processi di globalizzazione.
In questo contesto la Germania cerca di aumentare il proprio peso politico a livello globale, utilizzando a tal fine la propria svolta militare. Con quale idea di Europa, al di là della difesa più o meno intelligente dei propri interessi nazionali, non è ancora molto chiaro, almeno a chi scrive.
Franco Ferrari
Sull’articolo di Scholz potete leggere anche Il global Zeitenwende tra ambizione e militarismo pubblicato anch’esso oggi nel sito.
1 Commento. Nuovo commento
Gli scopi della Germania al di là dei propri interessi nazionali – se esistono- non sono mai del tutto chiari …Olaf Scholz non fa eccezione. L‘unico cancelliere a mio avviso a fare la differenza: la meteora Willy Brandt, più che meritato premio Nobel per la pace, del resto non a caso osteggiato nel suo percorso sia umano che politico, alla stregua di un intruso.