di Franco Ferrari –
Alla fine di questa settimana (13-15 dicembre 2019) si terrà a Malaga, in Spagna, il 6° Congresso del Partito della Sinistra Europea. Sarà un’occasione importante per fare il punto sullo stato dei partiti della “sinistra radicale” in Europa alla luce delle elezioni europee del maggio scorso e del nuovo assetto che si è data l’Unione Europea con l’elezione della Commissione guidata da Ursula von der Leyen.
Il Partito della Sinistra Europea
Il Partito della Sinistra Europea è stato fondato a Roma nel maggio del 2004, dopo un processo piuttosto laborioso, dato che la prima proposta formale in tal senso era stata avanzata a Berlino da Lothar Bisky, allora leader del Partito del Socialismo Democratico (PDS), nel 1998.
Il contesto nel quale la Sinistra Europea venne costituita era certamente diverso da quello attuale. Importante fu la spinta data dal movimento alterglobalista, sorto dalla contestazione del WTO (World Trade Organization) a Seattle, poi radicatosi in Europa con le proteste di Genova in occasione del G8, seguite dalla formazione del Forum Sociale Europeo e dalla grande manifestazione pacifista di Firenze. Si era quindi in presenza di un forte movimento di contestazione dei caposaldi della globalizzazione capitalista che esprimeva un netto carattere internazionalista.
Intanto l’Unione Europea procedeva a darsi nuovi assetti tra espansione all’est, introduzione della moneta unica e ipotesi di un nuovo trattato costituzionale. La formazione di uno strumento unitario transnazionale, qual era il Partito della Sinistra Europea trovava pertanto giustificazione nell’interazione con la spinta dal basso, determinata dal “movimento dei movimenti”, e nella necessità di rafforzare la presenza sul terreno istituzionale a livello europeo. Il Partito si caratterizzava per una prevalente impostazione di sinistra europeista ma anche fortemente critica delle caratteristiche liberiste e atlantiste del progetto europeo così come era stato costituito dall’alleanza tra socialdemocratici e conservatori attiva a livello europeo.
A distanza di quindici anni, se non è venuta meno l’esigenza di uno strumento transnazionale delle forze di sinistra anticapitalista e antiliberista, più complicato è il quadro politico e sociale nel quale esso si trova ad operare. Gli effetti della crisi economica e finanziaria avviatasi nel 2008 hanno indebolito il progetto di un’Unione Europea che ha reagito alla crisi imponendo politiche recessive di austerità. Al punto che le forze dominanti, ancora organizzate attorno al polo franco-tedeso, sembrano oggi molto incerte sulla direzione da assumere. Ma questa incertezza non fa venir meno la loro determinazione ad imporre un mix di privatizzazioni, libero mercato condizionato dalle imprese multinazionali, austerità e vanificazione degli spazi di confronto e di decisione democratica a favore di strutture tecnocratiche, tutt’altro che neutrali, come il MES.
Non mancano certo conflitti sociali anche molto acuti, come sta avvenendo in Francia con lo sciopero generale di questi giorni, ma restano per lo più difensivi e soprattutto isolati all’interno delle singole realtà nazionali. Sul piano elettorale è soprattutto la destra nazionalista e populista a intercettare parte del disagio diffuso nei ceti popolari, anche in Paesi che ne erano sembrati immuni fino a poco tempo fa come la Spagna.
Le elezioni europee del maggio 2019
Le elezioni europee del maggio scorso hanno sicuramente rappresentato una sconfitta per le forze di sinistra. Con poche eccezioni (come il Belgio, dove il Partito del Lavoro, PTB, è riuscito per la prima volta a conquistare un seggio all’Europarlamento) non ci sono stati risultati positivi da parte di forze della sinistra antiliberista. Si è pertanto ridotta la presenza al Parlamento europeo del GUE-NGL (Sinistra Unitaria Europea – Sinistra Verde Nordica) che è sceso da 51 a 41 seggi. Non sono più rappresentati partiti che hanno avuto un ruolo significativo nella storia del gruppo, come il Partito Comunista Francese o il Partito Socialista olandese, mentre è nuovamente svanita la rappresentanza italiana, che si era faticosamente riaffacciata cinque anni prima con il successo della lista “L’Altra Europa con Tsipras”.
Complessivamente le liste che si collocano alla sinistra della Socialdemocrazia e dei Verdi hanno ottenuto 15 milioni di voti, pari a circa 7 punti e mezzo in percentuale sul totale dei votanti. Una sola forza politica, il Partito Comunista Greco (KKE), che ha confermato i suoi due europarlamentari, non aderisce al GUE-NGL, da cui era già fuoriuscito nel 2014 per finire tra i non iscritti. Il KKE ha poi dato ad una propria “Iniziativa europea dei Partiti Comunisti ed Operai”, che al di fuori della Grecia raccoglie solo piccoli gruppi con un orientamento ideologico neo-stalinista.
Se nel 2014 la sinistra in Europa era riuscita a caratterizzarsi per una certa unità attorno alla candidatura del greco Alexis Tsipras alla carica di presidente della Commissione europea (secondo il nuovo meccanismo degli Spitzenkandidaten), cinque anni dopo il quadro era molto più frastagliato.
Opinioni contrastanti sulla direzione presa da Syriza
A metà del decennio si erano condensate molte aspettative sul possibile successo di Syriza nelle elezioni nazionali greche e nella possibilità di accesso di un partito della sinistra antiliberista alla guida di un Paese dell’Unione (anche se non era il primo perché già era accaduto a Cipro con la vittoria del comunista Dimitris Christofias, AKEL, a Presidente della Repubblica che nell’isola è depositario del potere esecutivo).
Il successo si concretizzava nel gennaio 2015, ma lo scontro molto duro con la trojka ed in particolare con l’Eurogruppo dominato dal tedesco Schauble, nella ricerca di una via d’uscita dalle disastrose politiche di austerità, terminava con una sconfitta per il governo di Syriza. Tsipras era costretto a firmare un nuovo memorandum di fronte alla minaccia dell’esclusione della Grecia dall’area euro. La sconfitta è stata pesante anche se il governo greco ha cercato di tenersi aperti degli spiragli per politiche di attenuazione dell’impatto socialmente negativo delle politiche imposte dall’Unione Europea e dalla trojka.
Il governo di sinistra greco si era trovato del tutto isolato tra i 18 paesi dell’Eurogruppo e senza un efficace movimento di solidarietà a livello europeo che premesse dal basso sui governi. La sua decisione di accettare un compromesso dal contenuto oggettivamente molto negativo ha provocato una divaricazione all’interno della sinistra radicale europea. Alcuni partiti ritenevano che Syriza non potesse fare altro che prendere atto dei rapporti di forza esistenti e andasse sostenuto nel tentativo di utilizzare tutti gli spiragli di resistenza che aveva ancora a disposizione. Altri erano critici nei confronti della decisione di Tsipras ma evitavano di esporsi in una polemica pubblica dai toni troppo accesi. Infine alcuni partiti e una parte dello stesso gruppo parlamentare di Syriza accusavano apertamente il governo greco di “capitolazione”. Nel caso della Kostantopoulou, ex presidente del Parlamento greco, si arrivava a sostenere una tesi complottista che vedeva nell’esito dello scontro di luglio, il risultato di accordi sottobanco realizzati mesi prima tra Atene e Bruxelles. Da queste diverse valutazione della vicenda greca sono sorti tre diversi progetti transnazionali.
Il Partito della Sinistra Europea, presieduto a partire dal Congresso di Berlino da una figura di primo piano della Linke tedesca, Gregor Gysi, ha mantenuto un atteggiamento solidale con la sinistra greca ma, date le differenze di valutazione esistenti anche al suo interno, non è riuscito ad essere una sede adeguata di confronto e di analisi della esperienza di governo di Syriza. Da parte del network di fondazioni e centri di ricerca collegati nella rete di Transform Europa, riconoscendo l’esistenza di opinione diversificate, si invitava a mantenere un atteggiamento fraterno e ad evitare giudizi liquidatori.
Tre progetti di sinistra a livello europeo
In vista delle elezioni europee, la Sinistra Europea ha elaborato un proprio sintetico programma elettorale ed ha presentato per il ruolo di presidente della Commissione della UE una doppia candidatura, come avevano già fatto i Verdi nel 2014. I prescelti erano la slovena del partito Levica, Violeta Tomic e il sindacalista combattivo belga Nico Cue, quest’ultimo però non collegato al PTB. La scelta di presentare due candidati, al di la del valore delle due personalità individuate, non ha avuto lo stesso impatto della presenza di Tsipras nel 2014.
In reazione alla sconfitta subita dalla sinistra greca nella trattativa del 2015, alcune forze della sinistra radicale davano vita ad una serie di incontri e iniziative finalizzate alla definizione di un Piano B. Attorno a questa parola d’ordine si muovevano in realtà due iniziative diverse. La prima guidata dal francese Melenchon era soprattutto finalizzata a elaborare una proposta che consentisse ad un futuro governo di sinistra di non essere costretto a rinunciare al proprio programma sociale ed economico di fronte alla pressione dell’Unione Europea. La seconda, che prendeva le mosse da alcuni leader di orientamento trotskista (Besancenot, Urban, Ntavanellos) aveva un profilo più movimentista e portava alla realizzazione di una assemblea larga e partecipata a Madrid. Dall’iniziativa per il Piano B, nasceva poi il movimento “Adesso il popolo”, sulla base della Dichiarazione di Lisbona, sottoscritta con una certo eco mediatica dai leader di France Insoumise, Podemos, Bloco de Esquerda, ai quali si associavano poi tre partiti scandinavi: l’Alleanza di Sinistra finlandese, il Partito di Sinistra svedese, l’Alleanza Rosso-Verde danese.
L’iniziativa si presentava inizialmente con un profilo più “euroscettico” di quanto esprimesse la linea, mediata, del Partito della Sinistra Europea. Inoltre risentiva, nell’impostazione dell’appello di Lisbona, dell’adesione di francesi e spagnoli alle tesi del “populismo di sinistra” teorizzato dallo scomparso Ernesto Laclau e dalla sua compagna Chantal Mouffe. Il movimento “Adesso il popolo” restava un’iniziativa centralizzata attorno alle figure dei leader. Nel corso della campagna elettorale ha prodotto alcune iniziative comuni, ma nel suo sviluppo ha attenuato gli elementi di ostilità all’integrazione europea (senza ridurre il dissenso verso la costruzione liberista e post-democratica dell’UE), non differenziandosi molto dalle posizioni della Sinistra Europea. Per altro, alcuni dei partiti aderenti all’appello di Lisbona sono contemporaneamente membri del partito europeo.
Un terzo progetto politico veniva messo in piedi dall’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis, che inizialmente era uno dei promotori dell’ incontro per il Piano B tenuto a Parigi con Melenchon e Lafontaine. Benché la sua presenza fosse stata annunciata, la sua mancata partecipazione avviava un percorso di distacco dal movimento per il Piano B e l’avvio di un nuovo progetto europeo. Varoufakis si è distanziato dalle posizioni euroscettiche e in particolare da quelle sostenitrici della cosiddetta “lexit” ovvero l’uscita da sinistra dall’Unione Europea. Contemporaneamente contestava anche le idee euroriformiste per il “più Europa”, ritenendo che senza un processo radicale di democratizzazione, un aumento dei poteri a livello europeo sarebbe servito solo a consolidare il potere dell’attuale establishment. Ritenendo che senza una maggiore democrazia, il progetto europeo sarebbe inevitabilmente franato, favorendo la destra nazionalista, Varoufakis ha costituito innanzitutto DIEM25, Movimento per la Democrazia in Europa 2025, con una decisa impronta sovranazionale, per poi dare vita, in vista delle elezioni europee, alla formazione transnazionale “Primavera Europea”.
All’inizio il progetto di Varoufakis aveva trovato attenzione anche in settori della Sinistra Europea che lo vedevano come un arricchimento e non una contrapposizione delle forze esistenti. Con l’avvicinarsi delle elezioni europee Varoufakis ha, però, accentuato la polemica con i partiti della sinistra radicale e si è anche impegnato in alcuni Paesi ha creare delle strutture elettorali alternative, come in Germania.
Complessivamente le forze collegate a “Primavera Europea” hanno raccolto circa 1 milione e 400 mila voti, senza ottenere alcun seggio. Gran parte di quei voti però andavano a partiti sorti per ragioni nazionali più che per una consapevole scelta degli elettori di sostenere il progetto europeo dell’ex ministro greco.
Nessuna opzione si impone alle elezioni del maggio 2019
L’esclusione dal Parlamento europeo, delle forze sostenute da Varoufakis e il risultato del tutto inferiore alle aspettative di France Insoumise hanno indebolito le spinte centrifughe. Mentre all’interno del partito di Melenchon si era affacciate l’intenzione di costituire un nuovo gruppo parlamentare europeo alternativo allo stesso GUE-NGL La realtà ha dimostrato che questa ipotesi mancava della condizione fondamentale, un numero sufficiente di eletti rappresentativi di almeno sette Stati.
Si è quindi confermato il vecchio gruppo parlamentare della sinistra, sorto nel 1994 dalla ricomposizione delle due anime nelle quali si era separato il precedente gruppo comunista. Non più ricandidata dalla Linke, l’ex presidente Gabi Zimmer era nettamente schierata per il rilancio della visione di una Europa socialista che si richiamasse al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e per la ricerca di una prospettiva unitaria con socialdemocratici e verdi attraverso il Progressive Caucus, formato da europarlamentari dei tre gruppi.
Il nuovo assetto del GUE-NGL vede una copresidenza nella quale sono rispecchiate le sue due anime principali con l’elezione di Martin Schirdewan, della Linke e anch’esso attivo nel Progressive Caucus, e di Manon Aubry, esponente di France Insoumise. Nei primi passaggi istituzionali e politici del nuovo Parlamento, il gruppo che unisce la sinistra sembra essere riuscito a mantenere una buona convergenza di posizioni.
Nel frattempo si è tenuto a novembre a Bruxelles il terzo forum delle forze progressiste europee. L’iniziativa del Forum è partita dal Partito della Sinistra Europea che ha lanciato al suo Congresso di Berlino l’idea di costituire una strutture permanente, anche se agile, di confronto tra tutte le forze progressiste, ben al di là dei confini degli aderenti alla Sinistra Europea. Il modello al quale rifarsi è il Forum di San Paolo, punto di raccordo della sinistra latinoamericana, promosso per iniziativa congiunta del brasiliano Lula e di Fidel Castro.
Il primo incontro del Forum si è tenuto a Marsiglia ma aveva trovato l’aperta ostilità di Melenchon che lo vedeva, con un orizzonte molto franco-francese, come un’iniziativa ostile nei suoi confronti messa in campo dal PCF, con il quale i rapporti si erano fortemente degradati dopo la fine del Front de Gauche e l’avvio di France Insoumise. Anche questo elemento di conflitto è stato superato con la partecipazione dello stesso Melenchon al terzo Forum di Bruxelles. Per la Francia era presente anche il partito Generations, sorto da una scissione dei socialisti guidata da Benoit Hamon. Alle elezioni europee, France Insoumise, PCF e Generations si sono presentati separatamente e solo il primo è riuscito ad eleggere un gruppo di europarlamentari.
Integrazione europea e rapporti con la socialdemocrazia: questioni controverse
Nella sinistra europea restano prospettive diverse su questioni importanti, come la possibilità di alleanze con la socialdemocrazia e i verdi o la praticabilità di un rinnovamento radicale o rifondazione del progetto di integrazione europea contro i vincoli posti dai Trattati di Maastricht e di Lisbona. L’esito negativo piuttosto generalizzato delle elezioni europee del maggio 2019 unitamente al passaggio di Syriza all’opposizione in Grecia, e la collaborazione, seppure in modi diversi, di alcuni partiti della sinistra antiliberista a coalizioni di governo con la socialdemocrazia e i verdi, creano una situazione nella quale le possibili linee di conflitto si possono attenuare e e i confini tra le diverse posizioni sono meno netti.
Il Congresso di Malaga del Partito della Sinistra Europea dovrà cercare di volgere in positivo questa situazione, che è anche frutto di un arretramento complessivo delle forze della sinistra radicale, in una proposta che sia insieme di consolidamento unitario e di rafforzamento della capacità di iniziativa politica a livello europeo.