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Siamo nella fase storica dell’iper-imperialismo dei suprematisti bianchi occidentali?

di Alessandro
Scassellati

Molti politici e analisti dichiarano che l’Occidente o Nord globale è in pericolo e due libri dell’Istituto di Ricerca Sociale Tricontinental usciti di recente sostengono che è in pericolo (ma solo in un relativo declino economico) a causa della sua incapacità di venire a patti con la lenta agonia politica, sociale e morale come blocco dominante nel mondo.

La valutazione marxista dell’imperialismo nel secolo scorso è stata plasmata dai contributi teorici e pratici di Vladimir Lenin, radicati nell’esperienza della rivoluzione russa, e di Rosa Luxemburg. Nell’opera classica L‘imperialismo: fase suprema del capitalismo (1916), Lenin sosteneva che, attraverso la sua fase più competitiva, il capitalismo era avanzato fino a produrre oligopoli in settori importanti – come la finanza – e che questi oligopoli si sono scontrati tra loro, spingendo gli Stati a competere aggressivamente per il controllo dei mercati nelle colonie e ad entrare in guerra diretta tra loro1.

Rosa Luxemburg, nel suo libro L’accumulazione del capitale (1913), si è concentrata sulle limitazioni dei mercati domestici europei e ha identificato la causa reale della crisi capitalista non nella tendenza alla caduta del tasso di profitto né nell’accumulazione di capitale senza opportunità di investimento, ma nella tendenza del sistema di produrre più merci di quante il potere d’acquisto fosse in grado di assorbire (un problema di sovrapproduzione e sottoconsumo). Ha cercato di dimostrare che da solo il capitalismo non è in grado di generare una domanda sufficiente per una parte del suo prodotto, in particolare per la porzione di surplus destinata ad essere capitalizzata. Pertanto riteneva che il capitalismo europeo potesse espandersi solo attraverso «un allargamento della domanda solvibile di merci», estendendo i suoi mercati, esportando la sua popolazione in eccesso nelle colonie, distruggendo le produzioni tradizionali locali su piccola scala e vendendo merci «a strati sociali o società che non producono capitalisticamente» (ad esempio, ai contadini e alle popolazioni indigene dei possedimenti coloniali) che, al tempo stesso, erano destinate anche a fornire una parte della manodopera necessaria e i mezzi di produzione per l’accumulazione di capitale. Per Luxemburg, l’espansione del capitale può continuare solo se esiste un luogo, ai margini o al di fuori della dinamica del capitalismo, del quale l’accumulazione può nutrirsi attraverso le pratiche di appropriazione ed espropriazione violente di tipo coloniale e imperialista. Quando questi margini, queste periferie sarebbero state totalmente assorbite e non fosse rimasto altro posto in cui andare a cercare nuove opportunità di espansione, questo avrebbe segnato la fine del capitalismo.

L’ondata di decolonizzazione formale iniziata dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945 creò nuove condizioni per l’imperialismo. La ritirata territoriale delle potenze imperialiste non è stata in alcun modo accompagnata dalla perdita del loro controllo sull’economia mondiale, avendo dato vita a quello che Kwame Nkrumah chiamava neocolonialismo (indipendenza politica nominale e subordinazione economica quasi totale). Per quasi due decenni, negli anni Sessanta e Settanta, gli Stati africani hanno creduto che ci fosse un modello di sviluppo percorribile, che i trasferimenti di tecnologia, i finanziamenti e una buona cooperazione con i Paesi sviluppati avrebbero permesso loro di vedere la fine del tunnel. Che scuola e lavoro avrebbero permesso alle donne di occupare un posto nello sviluppo del loro Paese, se tale era il loro desiderio. Gli anni Ottanta sono stati un duro colpo. Con i programmi di adeguamento strutturale sono cominciati ad apparire i primi laureati senza lavoro e le prime partenze di migranti clandestini in fuga dalla precarietà e dalla miseria sociale che vivevano a casa. Nei decenni successivi, colpi di Stato, interventi militari degli Stati Uniti e delle potenze ex-coloniali per puntellare regimi impopolari, malgoverno, oppressione e corruzione politica, brutale sfruttamento di risorse e persone hanno continuato ad umiliare e impoverire l’intero Sud del mondo. Gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali hanno continuato a perseguire una politica estera interventista, militaristica e antidemocratica che ha ignorato ampiamente gli interessi dei popoli e dei governi del Sud del mondo2.

Ora, sono passati poco più di 30 anni dalla proclamazione della “fine della storia” da parte dell’ideologo conservatore Francis Fukuyama3 e dal tentativo degli Stati Uniti di creare un mondo unipolare. Molta acqua è passata sotto i ponti e il mondo è un poco cambiato. Negli ultimi anni, abbiamo assistito al lento logoramento del controllo dell’Occidente sull’economia mondiale e alla graduale delegittimazione dell’intera struttura neocoloniale.

Per cercare di capire come stanno oggi effettivamente le cose, nelle scorse settimane l’Institute for Social Research Tricontinental, diretto da Vijay Prashad, e il Global South InSights (GSI) hanno pubblicato due importanti libri – Hyper-Imperialism: A Dangerous, Decadent New Stage (“Iper-imperialismo: una nuova pericolosa, decadente fase”) e The Churning of the World Order (“La zangolatura dell’ordine mondiale” che è il dossier di sintesi del primo) – che analizzano lo scontro in atto tra l’Occidente o Nord Globale (49 Paesi all’ONU) e il Sud Globale (l’ex Terzo Mondo; 145 Paesi all’ONU). Molti politici e analisti dichiarano che l’Occidente è in pericolo e questi libri sostengono che è in pericolo (ma solo in un relativo declino economico misurato da un tasso di crescita del PIL in decelerazione, dal calo degli investimenti netti in percentuale del PIL, da livelli più elevati di capacità produttiva inutilizzata e da disoccupazione/sottoccupazione) a causa della sua incapacità di venire a patti con la lenta agonia politica, sociale e morale come blocco dominante nel mondo. Prashad ritiene che il volume sull’iper-imperialismo contenga l’affermazione teorica più significativa che l’Istituto ha fatto nei suoi otto anni di storia.

Di seguito cerchiamo di capire quali sono le principali risultanze delle analisi, focalizzando l’attenzione su quattro punti principali che contribuiscono ad illustrare le caratteristiche di questa fase di iper-imperialismo, ossia di “un imperialismo condotto in modo esagerato e cinetico, ma anche soggetto ai vincoli che l’impero in declino si è imposto”.

1.  Attraverso un’analisi approfondita dei concetti di Nord e Sud del mondo, si sostiene che il primo agisce come un blocco militare, economico e politico integrato, mentre il secondo è (per ora) semplicemente un raggruppamento piuttosto vago.

Il Nord del mondo è guidato dagli Stati Uniti, che hanno creato diversi strumenti per estendere la propria autorità sugli altri Paesi del blocco occidentale (molti dei quali sono potenze ex-coloniali storiche ed ex-società coloniali di insediamento con radici nelle forme di supremazia bianca). Queste piattaforme includono l’alleanza di intelligence Five Eyes (inizialmente istituita nel 1941 tra Stati Uniti e Regno Unito, per poi includere altri tre Paesi dell’anglosfera Australia, Canada e Nuova Zelanda, e infine altri nove Paesi4, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico – NATO (istituita nel 19495) e il Gruppo dei Sette – G7 (istituito nel 19746). La NATO e il G7 agiscono insieme per guidare un’agenda in gran parte definita dagli Stati Uniti, con Giappone (che ha ormai acquisito quello che i sudafricani dell’apartheid avevano coniato come lo status di “bianco onorario”) ed Europa come potenze secondarie nell’alleanza7. Attraverso queste e altre formazioni (come Bilderberg e Trilateral Commission), gli Stati Uniti e i loro alleati politici nel Nord del mondo sono in grado di esercitare autorità sui propri Paesi e sui Paesi del Sud del mondo8.

Oltre alla subordinazione del Nord del mondo agli Stati Uniti, altri tre fattori sono fondamentali per comprendere il concetto di Nord del mondo:

  • una storia condivisa di brutalità: la maggior parte di questi Paesi hanno plasmato il mondo moderno attraverso una storia condivisa di brutale violenza iniziata con la conquista, il mercantilismo, la tratta degli schiavi africani nell’Atlantico (oltre 12 milioni di persone), i genocidi delle centinaia di milioni di persone delle popolazioni indigene colorate, il brutale furto e saccheggio di terre e risorse con il colonialismo di insediamento, l’imperialismo moderno capitalista, e continuata con l’uso di bombe nucleari contro i civili di Hiroshima e Nagasaki, il neocolonialismo neoliberista (dalla fine degli anni ‘70 ad oggi) e il genocidio in corso dei Palestinesi. Su questo tema si veda il mio libro: Suprematismo bianco. Alle radici di economia, cultura e ideologia della società occidentale, DeriveApprodi, Roma 2023;
  • l’estrazione della ricchezza dal Sud a vantaggio del Nord. Nonostante costituiscano solo il 14,2% della popolazione mondiale, i 49 Paesi del Nord del mondo rappresentano il 40,6% del PIL mondiale basato sulla parità di potere d’acquisto. Controllando il capitale e la produzione di materie prime, proprietà intellettuale, scienza e tecnologia – tutti parte dell’eredità del colonialismo – gli Stati del Nord del mondo continuano ad assicurarsi di accumulare una quota maggiore della ricchezza del pianeta9. Un recente studio mostra che, sulla base di uno scambio ineguale, tra il 1960 e il 2017 sono stati saccheggiati 152 trilioni di dollari dal Sud del mondo. Gli autori sottolineano che, solo nel 2017, il Nord del mondo si è appropriato di beni per un valore di 2,2 trilioni di dollari nel Sud del mondo – “abbastanza per porre fine alla povertà estrema 15 volte10;
  • una condizione comune di militarizzazione, intelligence (spionaggio di vecchio tipo, sorveglianza e guerra digitale) e sanzioni unilaterali (non approvate dall’ONU) legali, politiche ed economiche. Le tattiche dell’iper-imperialismo sono modellate in parte dalla modernizzazione della guerra ibrida, che comprende leggi, iper-sanzioni unilaterali, sequestro di riserve e beni nazionali e altri modi di guerra, oltre che militare, anche non militare11.

Al contrario, i 145 Paesi del Sud del mondo (inclusa la Palestina come osservatore dell’ONU) che insieme rappresentano l’85,8% della popolazione mondiale e il 59,4% del PIL mondiale (a parità di potere d’acquisto)12, sono stati storicamente molto più disorganizzati, privi di coesione, di un’identità collettiva condivisa e di un’organizzazione e azione unificate, con alleanze e collegamenti deboli attorno alle affiliazioni regionali e politiche13. Il Sud del mondo non ha né un centro politico né un progetto ideologicamente guidato. Non è un blocco (e certamente non è un blocco militare), ma un progetto emergente formato da diversi raggruppamenti, ognuno dei quali ha la propria logica. Ogni Paese ha realtà economiche (ci sono Paesi emergenti e Paesi poveri), capacità militari, sistemi politici e governi diversi ed eterogenei, spesso con tradizioni politiche contrastanti. Sebbene molti di questi Paesi condividano determinate caratteristiche e interessi, il concetto di Sud del mondo non è definito dai loro punti in comune, ma da una serie di fattori storici comuni: essere le ex colonie o semi-colonie del Nord del mondo, che hanno sofferto secoli di oppressione e umiliazione sotto il colonialismo, l’imperialismo moderno e il neocolonialismo14.

Gli “anelli” del Nord Globale e i “raggruppamenti” del Sud Globale

Gli “anelli” del Nord Globale e i “raggruppamenti” del Sud Globale

Gli autori distinguono i 145 Paesi in 6 principali “raggruppamenti15: quello dei Paesi socialisti indipendenti (Cina, Vietnam, Laos, Corea del Nord, Cuba e Venezuela); quello dei Paesi progressisti (come Brasile, Colombia e altri 9) che insieme al gruppo socialista sono i principali obiettivi di azioni per il cambiamento di regime sostenute dalle potenze imperialiste; quello dei Paesi che cercano fortemente la sovranità (come Russia, Iran e altri 9); quello dei nuovi non allineati (India, Indonesia, Turchia, Messico e Arabia Saudita); quello dei Paesi fortemente militarizzati dagli USA (come Corea del Sud e Filippine16); e quello (il più numeroso: 111) dei Paesi del Sud Globale diverso (come l’Egitto e il Pakistan).

Il “Resto del Mondo” l 145 Paesi e territori diversi l 6 raggruppamenti

I “raggruppamenti” del Sud Globale

Per la prima volta in oltre 500 anni, gli autori ritengono che esiste ora un’alternativa economica e politica non bianca credibile al dominio degli affari mondiali da parte degli europei e dei loro discendenti Stati coloniali di coloni bianchi. Il primo è il gruppo socialista guidato dalla Cina. In secondo luogo, ci sono le crescenti aspirazioni alla sovranità nazionale, alla modernizzazione economica e al multilateralismo, che emergono dal Sud del mondo.

L’analisi nei testi è approfondita, avvalendosi di banche dati pubbliche e banche dati costruite dal GSI, e la conclusione che viene tratta è che esiste un sistema mondiale gestito pericolosamente da un blocco militare imperialista guidato dagli Stati Uniti, un’alleanza militare de facto e de jure con un comando centralizzato. Non esistono imperialismi multipli (ad esempio, cinese e russo), né conflitti inter-imperialisti (con la completa sottomissione del Giappone e degli Stati dell’Unione Europea agli Stati Uniti).

2. Le piattaforme del Nord del mondo esercitano il potere sul sistema mondiale attraverso una serie di vettori (militari, finanziari, economici, sociali, culturali) e attraverso una serie di strumenti (NATO, Fondo Monetario Internazionale, sistemi di informazione). Ma, con il graduale declino del controllo del Nord del mondo sul sistema finanziario internazionale, sulle materie prime, sulle tecnologie e sulla scienza a seguito dell’emergere delle principali economie del Sud del mondo (Cina, India, Indonesia, Brasile, Turchia e Messico), delle fallimentari guerre statunitensi (Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, etc.) e della Grande Recessione (2007-0817), secondo gli autori dei testi, questo blocco esercita il suo potere principalmente attraverso la forza militare e attraverso la gestione delle informazioni. Gli autori non affrontano la questione dell’informazione (la Tricontinental ne ha scritto qui18) e centrano il focus della loro analisi in gran parte sulla spesa militare, dove mostrano che il blocco del Nord del mondo guidato dagli Stati Uniti (che hanno centinaia di basi militari che circondano l’Eurasia, alle quali si possono sommare le 145 basi militari britanniche conosciute19) rappresenta il 74,3% della spesa militare mondiale e che gli Stati Uniti spendono 12,6 volte di più della media mondiale su base pro capite (Israele, secondo dopo gli Stati Uniti, spende 7,2 volte al di sopra della media mondiale pro capite). Per mettere questo in prospettiva, la Cina rappresenta il 10% della spesa militare mondiale e la sua spesa militare pro capite è 22 volte inferiore a quella degli Stati Uniti.

Il campo imperialista guidato dagli USA l 49 Paesi l 4 anelli

Gli “anelli” del Nord globale

Una spesa così enorme per le forze armate comporta delle conseguenze. Non solo avviene a costo della spesa sociale20, ma il potere militare del Nord del mondo viene utilizzato per minacciare e intimidire i Paesi e, se disobbedienti, per punirli con il fuoco dell’inferno e lo zolfo. Solo nel 2022, questi Paesi imperialisti hanno effettuato 317 dispiegamenti delle loro forze militari nei Paesi del Sud del mondo. Il maggior numero di questi dispiegamenti (31) è stato effettuato in Mali, una nazione fortemente in cerca di sovranità, e che è stato il primo degli Stati del Sahel a organizzare colpi di Stato sostenuti dal popolo (2020 e 2021) e ad espellere l’esercito francese dal suo territorio (2022).

Le 902 basi militari estere degli Stati Uniti

Le 145 basi militari estere del Regno Unito

Non c’è alcun dubbio su quale Paese sia la reale potenza imperialistica globale. Tra il 1776 e il 2019, gli Stati Uniti hanno effettuato almeno 392 interventi in 101 Paesi, metà dei quali tra il 1950 e il 2019. Ciò include la terribile guerra illegale contro l’Iraq nel 2003 (nelle ultime settimane, il primo ministro iracheno Mohammed Shia’ al- Sudani ha chiesto che le truppe del Nord Globale lascino l’Iraq, mentre l’asse della resistenza prende di mira le basi militari statunitensi in Iraq, Siria e Giordania21).

Questa vasta spesa militare da parte del Nord del mondo, guidato dagli Stati Uniti, riflette la militarizzazione della sua politica estera. Uno degli aspetti poco sottolineati di questa militarizzazione è lo sviluppo, sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, di una teoria della “diplomazia di difesa” (come affermato nella National Defense Strategy del Dipartimento della Difesa statunitense del 2022 e nella Strategic Defense Review del Ministero della Difesa britannico del 1998). Negli Stati Uniti, i pensatori strategici usano l’acronimo DIME (diplomazia, informazione, militare ed economia) per riflettere sulle fonti del potere nazionale22.

Nel 2023, l’Unione Europea e la NATO – le istituzioni che costituiscono il cuore del Nord del mondo – si sono impegnate congiuntamente a “mobilitare l’insieme combinato di strumenti a nostra disposizione, siano essi politici, economici o militari, per perseguire i nostri obiettivi comuni a vantaggio del nostro miliardo di cittadini”. Un’affermazione che chiarisce che quel potere – soprattutto potere militare e diplomazia militare – non serve l’intera umanità, ma serve solo il loromiliardo di cittadini”. Non certo, quindi, per costruire un mondo in cui Nord e Sud possano lavorare insieme per rafforzarsi e rafforzare democrazia, Stato di diritto e promozione/protezione dei diritti umani.

3. La Parte IV dello studio sull’iper-imperialismo si intitola “L’Occidente in declino” ed esamina le prove di questa tendenza da una prospettiva che rifiuta l’allarmismo di coloro che sostengono che “l’Occidente è in pericolo”. I fatti presentati dimostrano che dall’inizio di quella che gli autori definiscono come Terza Grande Depressione (dal 2008 al presente), l’evidente fallimento del neoliberismo, il Nord del mondo ha lottato per mantenere il controllo sull’economia mondiale, ma i suoi strumenti – i monopoli sulla tecnologia e sulle materie prime, nonché il dominio sugli investimenti diretti esteri – si sono fondamentalmente erosi23.

Quando nel 2004 la Cina socialista superò la quota degli Stati Uniti nella produzione industriale globale, gli Stati Uniti persero l’egemonia nella produzione (nel 2022, la Cina deteneva una quota del 25,7% contro il 9,7% detenuta dagli USA). Dato che gli Stati Uniti dipendono ora dalle importazioni nette di capitale su larga scala, che hanno raggiunto i mille miliardi di dollari nel 2022, hanno poca capacità interna di fornire vantaggi economici ai loro alleati del Nord o del Sud del mondo. In effetti, per gli USA è necessario continuare a tentare di drenare ancora di più il loro surplus.

I proprietari di capitale negli Stati Uniti hanno dirottato i loro profitti dall’erario del Paese (molte delle global corporations e dei super-ricchi statunitensi non pagano o eludono le tasse) creando le condizioni economiche per la carneficina sociale che affligge il Paese.

Le vecchie coalizioni politiche radicate attorno ai due partiti negli Stati Uniti (Democratici e Repubblicani) sono in continuo mutamento, senza che vi sia uno spazio all’interno del sistema politico per sviluppare un progetto sociale e politico per affrontare i dilemmi dell’umanità su scala globale e quindi per continuare ad esercitare l’egemonia sull’economia mondiale attraverso la legittimità e il consenso e non solo attraverso violenza e sopraffazione.

Questo è il motivo per cui il Nord del mondo guidato dagli Stati Uniti ricorre alla forza e all’intimidazione. Gli USA costruiscono il loro massiccio apparato militare aumentando il proprio debito pubblico (gli interessi sul debito militare statunitense rappresentano circa il 70% dei pagamenti netti di interessi del governo federale statunitense). Poiché c’è poco consenso interno per utilizzare quell’indebitamento per (ri)costruire le infrastrutture, il sistema dei servizi pubblici e la base produttiva del Paese, fanno affidamento sulla combinazione dell’aggressione esterna con un’agenda interna sempre più repressiva (con un nuovo McCarthyismo, il trumpismo del partito Repubblicano e un rinnovato razzismo spinto dallo sdoganamento del suprematismo bianco da parte dei politici conservatori).

Gli Stati Uniti hanno strutturato l’economia mondiale a proprio vantaggio, per cui le sue global corporations ottengono quantità gigantesche di plusvalore attraverso l’arbitraggio globale nel Sud del mondo e l’intero sistema imperiale impone dollari statunitensi a Paesi stranieri – non solo attraverso processi economici ma anche basi militari e altri mezzi. L’obiettivo è creare un sistema in cui i Paesi non abbiano altra scelta se non quella di investire i loro dollari in titoli statunitensi, finanziando il deficit americano e gli investimenti interni statunitensi. Ecco come funziona il capitale finanziario monopolistico globale, che è una forma avanzata di imperialismo finanziario sostenuto dal potere militare e politico.

Ciò che sconvolge questo sistema è che il capitale monopolistico è relativamente stagnante in termini di produzione (l’economia reale), il che ha consentito alla Cina e ad altri Paesi del Sud del mondo di fare un balzo in avanti nella produzione.

La radice della Nuova Guerra Fredda imposta dagli Stati Uniti alla Cina è che la Cina socialista ha superato gli Stati Uniti nella formazione netta di capitale fisso, mentre gli Stati Uniti hanno registrato un graduale declino. Ogni anno dal 1992, la Cina è stata un esportatore netto di capitali e questo surplus di creazione di capitale ha permesso di finanziare grandi progetti internazionali come la ormai più che decennale Belt and Road Initiative – BRI (2013). Ora, quasi l’80% degli Stati membri dell’ONU partecipano alla BRI, rappresentando circa il 64% della popolazione mondiale, con le loro economie combinate che rappresentano il 52% del PIL mondiale (a parità di potere d’acquisto) nel 2022.

Ciò diventa un fattore critico per comprendere che si stanno sviluppando due nuclei di processi internazionali:

  • gli Stati Uniti sono diventati sempre più un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive a livello nazionale e globale;
  • nonostante i tentativi degli Stati Uniti di strangolare la crescita dell’economia cinese (con le tariffe sull’import, la chiusura del mercato statunitense alle imprese tecnologiche cinesi, i blocchi dell’export di tecnologie, come i semiconduttori, e le campagne sul mancato rispetto dei diritti umani nel Xinjiang, sui palloni metereologici spia e sul traffico dell’oppioide fentanyl), la Cina ha continuato a crescere intorno al 5% all’anno ed è ora concentrata sullo sviluppo delle sue forze produttive nazionali e sulla collaborazione con i Paesi in via di sviluppo nel loro insieme. Ciò presenta un nuovo percorso verso la modernizzazione attraverso lo sviluppo delle forze produttive mondiali nel loro insieme (attraverso la BRI, la Global Development Initiative e vari progetti di infrastrutturazione e industrializzazione su scala continentale).

4. I testi analizzano l’emergere di nuove organizzazioni radicate nel Sud del mondo, come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai -SCO (200124), i BRICS10 (200925), la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi – CELAC (2011), l’OPEC+ (2016) e il Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni Unite (202126).

Queste piattaforme interregionali sono ancora in una fase embrionale, ma forniscono la prova della crescita di un nuovo regionalismo e multilateralismo. Sebbene queste formazioni non cerchino di operare come un blocco per contrastare il blocco del Nord del mondo, riflettono un “nuovo stato d’animo” nel Sud del mondo27. Il “nuovo stato d’animo” del Sud Globale non è né antimperialista né anticapitalista, ma è modellato da quattro vettori principali:

  • il multilateralismo e il regionalismo si sono incentrati sulla creazione di piattaforme di cooperazione ancorate al Sud del mondo;
  • la nuova modernizzazione si è concentrata sulla costruzione di economie regionali e continentali che utilizzano le valute locali al posto del dollaro per il commercio e le riserve;
  • la sovranità (alimentare, digitale, etc.), che creerebbe barriere all’intervento occidentale che include coinvolgimenti militari e colonialismo digitale, fattori che facilitano entrambi gli interventi dell’intelligence statunitense e dei suoi alleati;
  • i risarcimenti, che implicherebbero la contrattazione collettiva per compensare le “trappole del debito” secolari orchestrate dall’Occidente28 e il suo abuso del budget di carbonio in eccesso, nonché la sua eredità di colonialismo/schiavismo/genocidio delle popolazioni indigene colorate di portata storica molto più lunga.

Nel mondo stanno avvenendo cambiamenti tettonici, accelerati dalle guerre in Ucraina e dal rapido aumento del genocidio in Palestina. Questi cambiamenti sono modellati, da un lato, dalla perdita di potere economico del Nord del mondo insieme all’aumento della militarizzazione e, dall’altro, dal nuovo atteggiamento del Sud del mondo riguardo alla sovranità e allo sviluppo economico. L’analisi contenuta in questi testi dell’Istituto Tricontinental va in profondità, fornendo una valutazione storico-materialistica delle crisi attuali. I documenti prodotti dalle istituzioni del Nord del mondo, come il rapporto Global Risks del World Economic Forum di Davos per il 2024, forniscono un elenco dei pericoli che dobbiamo affrontare – catastrofe climatica, polarizzazione sociale, recessione economica -, ma non sono in grado di spiegarli. L’Istituto Tricontinental, invece, ritiene che il suo approccio fornisca una teoria per comprendere questi pericoli come il risultato del sistema mondiale gestito dal blocco iper-imperialista.

Alessandro Scassellati

  1. Lenin notò cinque caratteristiche di questa nuova fase: l’ascesa del capitale finanziario e dell’oligarchia finanziaria; la concentrazione della produzione e i monopoli; l’esportazione di capitali; l’ascesa dei cartelli monopolistici, che “condividevano” tra loro il mondo; e il completamento della divisione territoriale del mondo intero tra le maggiori potenze capitaliste, insieme al crescente conflitto tra gli Stati imperialisti. Questi sviluppi significarono che era iniziata quella che lui considerava una nuova suprema e ultima fase del capitalismo, cioè la fase dell’imperialismo moderno. Lenin si era concentrato sul bisogno dell’esportazione di capitale e riprese il lavoro dell’economista liberale inglese John Hobson (Imperialism: a study, 1902) che aveva cercato di spiegare lo sviluppo dell’imperialismo e del capitalismo finanziario sostenendo che mentre il capitale tendeva ad accumularsi nelle mani dei capitalisti, non vi era un mercato domestico sufficiente per le merci prodotte, e pertanto il capitale ha cercato opportunità di nuovo investimento all’estero. Dietro la competizione politica e militare degli Stati-nazione c’era, secondo Hobson, la competizione economica dei capitalisti alla ricerca di opportunità di esportare e investire capitale. Ma, mentre il libro di Hobson era stato scritto per sostenere la necessità di aumentare il potere d’acquisto e di creare mercati in patria alimentati da questo potere d’acquisto, Lenin estese l’analisi di Hobson (insieme a quella del più importante teorico economico del Partito socialdemocratico tedesco, il marxista austriaco Rudolf Hilferding, sul capitale finanziario del 1910), per sostenere che l’imperialismo non era una variante reversibile del capitalismo, ma una ulteriore fase necessaria dello sviluppo del capitalismo, quella del capitalismo monopolistico. La tesi di Lenin, quindi, connette in una catena di causazione cumulativa il capitalismo monopolistico (certamente sovrastimato da Lenin); la fusione del capitale bancario con quello industriale, e la creazione, sulla base di questo «capitale finanziario», di un’oligarchia finanziaria; il bisogno di esportare capitale; l’acquisizione politica di colonie e la divisione territoriale del mondo intero tra le maggiori potenze capitaliste; e lo scoppio della guerra fra potenze capitaliste in competizione.[]
  2. Le decisioni occidentali sono state storicamente guidate dal desiderio di far arretrare il comunismo e garantire il dominio del capitalismo liberale. Nel perseguire questo duplice obiettivo, gli Stati Uniti hanno offerto ai leader del Sud del mondo una scelta a somma zero: unirsi ad alleanze di difesa regionale guidate dall’Occidente e aprire la propria economia al capitale globale, oppure essere considerati un nemico. In nome del mantenimento della stabilità e della garanzia di un flusso ininterrotto di materie prime a buon mercato, le potenze occidentali hanno stretto patti del diavolo con gli autocrati e hanno contribuito attivamente al rovesciamento di governi non considerati amici e alla fine dei movimenti democratici.[]
  3. Nel bestseller mondiale La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992, Francis Fukuyama argomentava che la democrazia rappresentativa e il capitalismo globale avrebbero dovuto lavorare di pari passo per portare i popoli del Sud del mondo in un futuro di prosperità e stabilità. Ma i componenti di questo binomio si sono rivelati profondamente antagonisti tra loro anche in India (con l’ascesa del nazionalismo hindu e la segregazione del 15% della popolazione musulmana), che i democratici liberali occidentali avevano a lungo considerato come il loro più diligente apprendista in Oriente. Altrove, il panorama politico, dalla Russia di Putin alla Cina di Xi Jinping, dalla Bolivia di Evo Morales al Venezuela di Chavez e ora di Maduro, dallo Stato Islamico in Siria e Iraq al dispotismo militare sostenuto dalla monarchia thailandese, presenta una varietà di forme politiche, movimenti sociali e mobilitazioni politiche, e guarda più lontano che mai dal liberalismo occidentale. Senza dimenticare gli attuali sfidanti alla liberal-democrazia rappresentativa in Occidente, come la destra repubblicana razzista in America e i movimenti quasi e neo-fascisti in tutta l’Europa occidentale. Cfr. P. Mishra, Bland fanatics. Liberalism and colonialism, «London Review of Books», 3 December 2015, Vol. 37 (23), Nella stessa ottica di Fukuyama, Michael Hardt e Antonio Negri (Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2003) hanno sostenuto che la fine della Guerra Fredda aveva aperto una nuova era, quella dell’Impero. Le potenze imperialiste non si sarebbero più fatte la guerra a vicenda, ma si sarebbero impegnate in una forma di impero globale in cui avrebbero collaborato, motivate reciprocamente dalla ricerca della pace. Un quadro clamorosamente smentito dalla guerra tra Russia e Ucraina-NATO.[]
  4. I Paesi dell’alleanza Five Eyes sono: Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, che secondo gli autori dei testi sono, insieme ad Israele (di fatto una sorta di “sesto occhio”), anche il core del blocco occidentale che è strutturato in 4 anelli concentrici. Questi cinque Paesi fanno parte della Fourteen Eyes (dal 2001) che comprende anche: Danimarca, Olanda, Francia, Norvegia, Germania, Belgio, Spagna, Svezia e Italia. Oltre a questi membri ci sono altri Paesi che sono considerati partner o affiliati dell’alleanza dei “quattordici occhi”: Israele, Giappone, Corea del Sud, Singapore e i Territori britannici d’oltremare (ad esempio, le Isole Vergini britanniche). Tutti questi Paesi condividono le proprie informazioni di intelligence tra loro. Ciò include cose come le comunicazioni telefoniche e la cronologia di navigazione Internet di qualsiasi utente che sia di interesse per uno dei Paesi membri. Condividono anche sostanziali legami militari, tecnologici e culturali. Sono alleanze di intelligence che sono state originariamente create durante la Guerra Fredda come mezzo per lavorare insieme per sconfiggere un nemico comune (l’Unione Sovietica), ma esistono ancora oggi. L’accordo di condivisione dell’intelligence Five Eyes ha operato in una tale segretezza che i primi ministri australiani sono rimasti all’oscuro della sua esistenza fino al 1971 ed è stato rivelato pubblicamente solo nel 1999.[]
  5. Costituita nel 1949, la NATO aveva inizialmente tre obiettivi: primo, fermare la diffusione dello spettro comunista nell’Europa occidentale; secondo, garantire la subordinazione militare di tutti gli Stati europei occidentali agli Stati Uniti; e terzo creare un blocco militare per contenere e infine rovesciare i Paesi del blocco socialista. Attualmente, i Paesi della NATO sono: Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del nord, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Turchia e Ungheria. La Svezia dovrebbe entrare a breve. L’attuale progetto delle élite occidentali è di utilizzare una NATO globale come piattaforma per far avanzare l’aggressione militare occidentale, dal Mar Cinese Meridionale ai Caraibi (si veda il nuovo Concetto Strategico della NATO concordato a Madrid nel 2022).[]
  6. Del G7 fanno parte: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Agli incontri partecipa anche l’Unione Europea. I sette Paesi rappresentano solo il 10% della popolazione mondiale e la loro quota del PIL globale è del 30,4% (a parità di potere d’acquisto).[]
  7. Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una drastica torsione verso la piena subordinazione da parte degli Stati dell’Europa occidentale nei confronti degli Stati Uniti. I Paesi dell’Unione Europea hanno abbandonato ogni fondamentale, e in molti casi anche la pretesa, indipendenza. Questo aspetto è diventato evidente nel 2018 con la genuflessione dei principali Stati dell’Europa occidentale – Germania, Francia e Regno Unito – al ritiro di Donald Trump dall’accordo sul nucleare iraniano del 2015, un duro colpo per i loro interessi economici. Con l’amministrazione Biden, poi, l’UE si è di fatto arresa al crescente protezionismo statunitense (tariffe, sussidi, incentivi fiscali e “buy American”). Germania, Giappone, Francia e tutte le altre potenze del blocco occidentale devono subordinare i loro interessi a breve e medio termine agli interessi fondamentali degli Stati Uniti. Il loro lavoro è coordinato nella NATO. Nonostante il costo per sé, la Germania ha sostenuto le sanzioni unilaterali contro la Russia e gli aiuti militari all’Ucraina. “Questo è un momento decisivo e di prova per l’Europa. Dobbiamo essere pronti ad agire per difendere e sostenere l’Ucraina qualunque cosa serva e qualunque cosa l’America decida“, ha detto Macron durante un discorso all’Accademia militare svedese Karlberg. L’ostilità verso la Russia ha agito come motore della subordinazione dell’Unione Europea agli Stati Uniti e come una perdita di ogni possibilità di sviluppo indipendente (comprese la deindustrializzazione e la stagnazione). I documenti politici ufficiali affermano che la loro strategia nei confronti della Cina è quella di ridurre i rischi (de-risking). Eppure, i funzionari del governo tedesco, ad esempio, stanno guidando le richieste per l’isolamento della Cina, anche se ciò comporta una notevole perdita di mercati per i produttori “tedeschi”.[]
  8. Ogni tanto emergono differenze secondarie all’interno delle posizioni e delle capacità militari, economiche e politiche di questi Paesi (si pensi al disaccordo tra Stati Uniti, Regno Unito e Francia su chi esporterà sottomarini nucleari in Australia nel 2021), ma il Nord del mondo può essere visto come un blocco che è disposto a unirsi attorno a questioni fondamentali. Samir Amin scrisse, nel 1980, del “graduale consolidamento della zona centrale del sistema capitalistico mondiale (Europa, Nord America, Australia)”. Poco dopo, Amin cominciò a usare il termine Triade per riferirsi a questa “zona centrale” di potenze imperialiste emersa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le classi dominanti in Europa e in Giappone, sosteneva, avevano subordinato il proprio interesse nazionale a quello che il governo degli Stati Uniti aveva cominciato a chiamare il loro “interesse comune”.[]
  9. Poche centinaia di global corporations, e da sole tre società di Wall Street – BlackRock, Vanguard e State Street Global Advisors – che controllano asset per oltre 20 trilioni di dollari e sono i principali azionisti del 96% delle società S&P 500, sono i veri players che costituiscono il motore del processo di globalizzazione economica, la nuova forma di imperialismo, esercitando il monopolio della proprietà intellettuale (la brevettazione di innovazioni tecnologiche, genoma degli esseri viventi, farmaci, software, marchi e procedure aziendali), della produzione e della circolazione.[]
  10. Jason Hickel, Dylan Sullivan, and Huzaifa Zoomkawala, ‘Plunder in the Post-Colonial Era: Quantifying Drain from the Global South Through Unequal Exchange, 1960–2018’, New Political Economy 26, no. 6 (2021).[]
  11. Nell’ottobre 2023, su 193 membri delle Nazioni Unite, solo gli Stati Uniti e Israele hanno votato contro la fine dell’embargo illegale e del blocco contro Cuba.[]
  12. Alla fine della Guerra Fredda nel 1993, il Nord del mondo rappresentava il 57,2% del PIL globale, mentre il Sud del mondo rappresentava solo il 42,8%. Trent’anni dopo, queste proporzioni si sono invertite: la quota del Sud del mondo ha raggiunto il 59,4%, mentre quella del Nord del mondo si attesta al 40,6%.[]
  13. Tra alcuni di essi esistono varie controversie, che vanno dalle controversie territoriali (come nel caso dell’Eritrea e dell’Etiopia) alle lotte di potere politico intraregionale (come nel caso storico dell’Arabia Saudita e dell’Iran).[]
  14. Sono ex colonie e semi-colonie che hanno subito circa 600 anni di umiliazioni; alcuni perseguono progetti socialisti per i quali sono stati puniti dal blocco del Nord del mondo (Cuba, Venezuela, Corea del Nord); sono le vittime dell’espansione imperialista che utilizza l’intervento militare diretto ed indiretto, e forze extra-economiche, come colpi di Stato e sanzioni unilaterali; spesso si sono riuniti attorno a vari interessi comuni, come cercare la riduzione del debito, affermare il loro diritto a costruire una democrazia economica e accedere a misure sanitarie globali, compresi i vaccini durante la pandemia di CoVid-19. Le sanzioni unilaterali sono gli strumenti utilizzati per disciplinare chiunque oltrepassa i limiti tracciati dagli Stati Uniti e dai loro alleati, escludendo i Paesi dal sistema finanziario internazionale e privando così intere popolazioni dell’accesso a medicine, cibo e altri beni di base. Le sanzioni unilaterali sono aumentate del 933% negli ultimi vent’anni e sono diventate la forma preferita di intervento guidato dagli Stati Uniti. Inoltre, di recente il Fondo Monetario Internazionale è tornato ad imporre un rinnovato programma di austerità, che è stato implementato anche durante la pandemia, costringendo decine di Paesi poveri a pagare di più ai ricchi detentori di obbligazioni rispetto ai propri sistemi sanitari e educativi. Da notare che il 59,1% delle azioni con diritto di voto del FMI è ancora detenuto da Paesi del Nord Globale che rappresentano il 13,7% della popolazione mondiale, mentre la quota di voto di India e Cina insieme è arrivata solo a circa il 9%.[]
  15. I sei “raggruppamenti” sono determinati in base al grado relativo in cui un Paese è bersaglio di un cambio di regime e dal ruolo che il suo governo svolge nel promuovere pubblicamente posizioni internazionaliste e antimperialiste.[]
  16. Da quando Ferdinand Marcos Jr. è diventato presidente nel giugno 2022, le Filippine hanno aperto numerose basi militari agli Stati Uniti, rafforzato i legami di sicurezza con Australia e Giappone e scatenato controversie con la Cina su questioni di sovranità nel Mar Cinese Meridionale.[]
  17. È stato in questo contesto che il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco del 2007 che il mondo non ha bisogno di un “unico padrone”, ammonendo che “l’uso eccessivo e quasi incontrollato della forza – la forza militare – nelle relazioni internazionali, una forza che sta gettando il mondo in un abisso di conflitti permanenti”.[]
  18. I nuovi strumenti tecnologici di sorveglianza e comunicazione mirata che caratterizzano l’era digitale vengono utilizzati per esercitare il controllo imperialista sulla battaglia delle idee. Ciò ha comportato l’implementazione di metodi più perversi e segreti contro la verità, come dimostrato dalla caccia a Edward Snowden e dall’incarcerazione politica dell’editore di WikiLeaks Julian Assange, che per la prima volta hanno offerto al mondo una visione pubblica del mondo segreto dei rapporti di intelligence tra le forze imperialiste e denunciato numerosi crimini contro il Sud del mondo. Gli Stati Uniti hanno potenziato la loro già vasta infrastruttura di “soft power” basata sull’ascesa di una nuova generazione di social media avanzati e di streaming video, sotto il pieno controllo dei monopoli statunitensi (GAFAM), tutti esplicitamente integrati nel complesso digitale-industriale-militare degli Stati Uniti.[]
  19. L’unica area al mondo libera dall’apparato militare statunitense sono ampie zone dell’Eurasia: Cina, India, Iran e Russia. Dal 1992 gli Stati Uniti sognano di conquistare questa regione, anche attraverso l’uso della forza militare. Nel 1997, Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano Jimmy Carter, avvertì che “potenzialmente, lo scenario più pericoloso sarebbe quello di una grande coalizione tra Cina, Russia e forse Iran, una coalizione ‘antiegemonica’ unita non dall’ideologia ma da lamentele complementari”. “Per l’America“, ha scritto Brzezinski, “il principale premio geopolitico è l’Eurasia“, che, ha detto, “è quindi la scacchiera su cui continua a giocarsi la lotta per il primato globale“. Per evitare questo scenario, Brzezinski e altri hanno avvertito che gli Stati Uniti dovrebbero cercare di conquistare la Cina o la Russia per isolare l’altra e dominare così lo “scacchiere” eurasiatico. Tuttavia, negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno fatto esattamente il contrario, scegliendo invece di fare pressione sia sulla Cina che sulla Russia attraverso la loro Nuova Guerra Fredda, che, come previsto da Brzezinski, ha unito questi due Paesi in un’alleanza strategica bilaterale e multilaterale.[]
  20. Gli Stati Uniti spendono solo 252 miliardi di dollari per l’istruzione, ad esempio, secondo il Center on Budget and Policies Priorities, ma 1,537 trilioni di dollari per le forze armate, parte dei quali vanno a pagare le sue circa 902 basi militari in tutto il mondo.[]
  21. La guerra lanciata dall’“asse della resistenza” contro Israele e gli Stati Uniti vede la presenza di una coalizione di attori non statali ideologicamente allineati, militarmente interdipendenti, impegnati nella mutua difesa, che è venuta collettivamente in difesa di un altro attore non statale, vale a dire Hamas. Guidato dall’Iran, l’asse comprende le milizie siriane, i gruppi palestinesi Hamas e Jihad islamica, gli Hezbollah libanesi, le Unità di mobilitazione popolare irachene (PMU) come le milizie Kataib Hezbollah e Harakat al-Nujaba, e gli Houthi dello Yemen. Tutti questi attori hanno una loro autonomia operativa secondo logiche e dinamiche “fortemente imperniate sulle rispettive agende nazionali”, però sottoscrivono un’agenda antimperialista e antisionista, con la causa palestinese come punto focale. Condividono due obiettivi comuni: costringere Israele a un cessate il fuoco incondizionato a Gaza ed espellere le truppe statunitensi dall’Iraq e dalla Siria. Così gli Houthi affermano che stanno prendendo di mira Israele e i suoi alleati occidentali a sostegno dei palestinesi di Gaza nel prendere di mira le navi che fanno rotta nel Mar Rosso. E non c’è stato alcun segno che i loro attacchi alle navi siano rallentati dopo gli attacchi missilistici anglo-americani.[]
  22. Nel 2015 e nel 2019, rispettivamente, la flotta navale degli Stati Uniti e dei suoi alleati ha avviato aggressive esercitazioni di “libertà di navigazione” contro l’integrità territoriale sia della Cina (nel Mar Cinese Meridionale) che della Russia (principalmente nell’Artico). Queste manovre, così come l’intervento politico degli Stati Uniti in Ucraina nel 2014 e il massiccio accordo sugli armamenti degli Stati Uniti con Taiwan nel 2015, hanno ulteriormente minacciato la sovranità della Russia e della Cina. Poi, nel 2018, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF) e dal Trattato sui cieli aperti nel 2020 (dopo il ritiro dal Trattato sui missili antibalistici del 2002), sconvolgendo la situazione del controllo degli armamenti nucleari. Questo ritiro, insieme agli obiettivi dichiarati dagli Stati Uniti nella Strategia di difesa nazionale del 2018, ha dimostrato che gli Stati Uniti stavano contemplando l’uso di “armi nucleari tattiche” sia contro la Russia che contro la Cina.[]
  23. In particolare, il magnetismo economico di Cina e Russia – nel contesto di una crisi economica a lungo termine nel Nord del mondo – ha portato i Paesi dell’Unione Europea a cercare di integrarsi maggiormente con l’Eurasia. Ciò è avvenuto su due livelli: i Paesi europei hanno iniziato a fare sempre più affidamento sull’energia russa (un terzo del fabbisogno energetico della Germania è stato soddisfatto dalla Russia, ad esempio) e sugli investimenti e sulla tecnologia provenienti dalla Cina (18 Paesi dell’Unione Europea hanno aderito alla Belt and Road Initiative, tra cui Italia, Polonia, Portogallo e Repubblica Ceca). L’integrazione dell’Europa con l’Asia è stata storicamente logica e necessaria e, insieme all’ascesa della Cina, ha minacciato la struttura unipolare generale del Nord del mondo nonché la struttura neocoloniale dell’economia mondiale. Incapaci di frenare questa integrazione e l’ascesa della Cina socialista, gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati nel Nord del mondo, hanno accelerato una guerra ibrida contro Cina e Russia con l’obiettivo di smembrare entrambi i Paesi, di dividerli in diversi piccoli Stati e garantire che non possano mai più sfidare l’egemonia militare o economica degli Stati Uniti. Inizialmente il fronte di questa guerra era economico (attraverso una guerra commerciale/tariffaria, ad esempio), ma presto ha cominciato a concentrarsi su due aree: Ucraina e Taiwan. La guerra in Ucraina ha avuto due importanti conseguenze sull’ordine mondiale: in primo luogo, ha aumentato il costo del cibo e del carburante in tutto il mondo, e in secondo luogo, è stata accolta con il rifiuto da parte di molti Paesi in via di sviluppo di inchinarsi all’Occidente e al suo atteggiamento nei confronti della guerra. Insieme, queste conseguenze hanno generato un “nuovo stato d’animo” nel mondo in via di sviluppo e l’emergere di un nuovo non-allineamento.[]
  24. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai si è formata in gran parte attorno a questioni di sicurezza in Asia centrale, ma ha fatto passi avanti nel dibattito sullo sviluppo e sul commercio.[]
  25. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno accolto nel 2024 cinque nuovi membri: Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. I dieci Paesi BRICS comprendono ora il 45,5% della popolazione mondiale, con un PIL globale combinato del 35,6% (a parità di potere d’acquisto). Sono responsabili del 44% della produzione industriale globale, mentre i Paesi del G7 rappresentano solo il 21,6%. Almeno tre questioni chiave sono al centro della crescita dei BRICS: il controllo sulle forniture e sui percorsi energetici, il controllo sui sistemi finanziari e di sviluppo globali (come alternativa/integrazione a FMI, Banca Mondiale, Wall Street e dollaro) e il controllo sulle istituzioni per la pace e la sicurezza (riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU).[]
  26. Il Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni Unite è principalmente una piattaforma politica e riunisce venti Stati membri dell’ONU che si trovano ad affrontare il peso delle sanzioni unilaterali illegali statunitensi, dall’Algeria allo Zimbabwe. Molti di questi Stati hanno partecipato come invitati al recente vertice BRICS di Johannesburg e sono ansiosi di unirsi ai BRICS10 come membri a pieno titolo.[]
  27. Quando i Paesi del Nord del mondo, guidati dagli Stati Uniti, hanno chiesto ai Paesi del Sud del mondo di adottare la posizione della NATO sulla guerra in Ucraina (vale a dire isolare la Russia), questi ultimi hanno rifiutato, accusando l’Occidente di “doppi standard”. Molti osservatori ritengono che siamo ad “un punto di svolta della storia” che è esemplificato dal fatto che pochi Stati del Sud del mondo sono stati disposti a partecipare all’isolamento della Russia, rifiutandosi, ad esempio, di sostenere le risoluzioni occidentali nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Non tutti gli Stati che hanno rifiutato di unirsi all’Occidente nella sua crociata contro la Russia sono “antioccidentali” in senso politico; piuttosto, molti di essi sono guidati da considerazioni pratiche, come i prezzi scontati dell’energia in Russia. Sia che siano stufi di essere spinti dall’Occidente o che vedano opportunità economiche nelle loro relazioni con la Russia, sempre più Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America si sono rifiutati di capitolare alle pressioni provenienti da Washington per rompere i legami con la Russia. È proprio questo rifiuto che ha spinto il presidente francese Emmanuel Macron ad ammettere di essere “molto colpito da quanto stiamo perdendo la fiducia del Sud del mondo”. E ha spinto anche Giorgia Meloni a parlare ai leader di molti Stati africani, presentando in pompa magna il progetto governativo “Piano Mattei”, di “un nuovo modello di cooperazione nel quale dobbiamo tutti credere, perché può funzionare solamente se ci crediamo tutti quanti insieme, che è fondato sulla responsabilità, che è fondato sulla fiducia, che è fondato sul rispetto”. Meloni ha dovuto incassare la dura critica del presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki, per la “mancata consultazione” al momento di elaborare il piano. Una serie di rapporti pubblicati dalle principali società finanziarie occidentali ribadiscono le preoccupazioni per il declino della credibilità dell’Occidente nel Sud del mondo. BlackRock osserva che stiamo entrando in “un mondo frammentato con blocchi concorrenti“, mentre Credit Suisse sottolinea le “fratture profonde e persistenti” che si sono aperte nell’ordine mondiale. La valutazione del Credit Suisse di queste “fratture” le descrive accuratamente: “L’Occidente globale (Paesi sviluppati occidentali e alleati) si è allontanato dall’Est globale (Cina, Russia e alleati) in termini di interessi strategici fondamentali, mentre il Sud globale (Brasile, Russia, India, Cina e la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo) si sta riorganizzando per perseguire i propri interessi”.[]
  28. Il 2024 si è aperto con il default dell’Etiopia, il cui governo ha dichiarato, poco prima di Natale, di non poter pagare la rata di 33 milioni di dollari ai fondi pensione e altri creditori del settore privato che detenevano il relativo bond. Il fallimento dell’Etiopia è il terzo registrato nel continente dopo la pandemia, dopo quello dello Zambia nel novembre 2020 e del Ghana nel dicembre 2022. Secondo i dati della Banca Mondiale, la percentuale di Paesi africani ad alto rischio o già in situazione debitoria è passata dal 27% nel 2015 al 55% nel giugno 2023, mentre il peso del debito dei Paesi dell’Africa subsahariana, ovvero le somme destinate al pagamento degli interessi, è passato dai 59 miliardi del 2012 ai 109 miliardi attuali. A questo quadro, va aggiunto il cambiamento nella composizione del debito, che ha visto una netta diminuzione della quota dei prestiti cosiddetti “agevolati” previsti dagli “aiuti pubblici allo sviluppo” e un aumento esponenziale dei prestiti bilaterali contratti da creditori privati. Rendendo il quadro ancor più vulnerabile: sempre seguendo i dati della Banca Mondiale, il costo degli interessi sul debito dell’intera regione ha raggiunto nel 2022 il 31% delle entrate ed è già prevedibile un ulteriore balzo in avanti nel prossimo biennio.[]
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