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Senza Sumar non c’è alternativa alla destra spagnola

di Franco
Ferrari

Sumar, la coalizione elettorale guidata dalla Ministra del lavoro uscente, Yolanda Diaz, ha ottenuto 3.014.006 voti, pari al 12,31% e corrispondenti a 31 seggi. Il risultato politico raggiunto è importante perché questi voti hanno contribuito a fermare l’arrivo al potere di una alleanza di destra formata dal Partito Popolare e dall’estrema destra di Vox. Si sono inoltre create le condizioni per proseguire il governo di coalizione con il PSOE, rispetto al quale le forze che partecipano a Sumar danno un giudizio nel complesso positivo, pur consapevoli anche dei limiti che si sono riscontrati nei quattro anni passati.

La possibilità di riconfermare un governo delle sinistre passerà attraverso le trattative con il partito indipendentista catalano di Carles Puigdemont, Junts, che sul piano socio-economico ha posizioni certamente più moderate di quelle per le quali si batte Sumar, se non apertamente neoliberiste. Non sarà un percorso facile e non si può escludere, come segnalano i commentatori spagnoli, che si arrivi nel giro di alcuni mesi a nuove elezioni. Junts ha già sollevato il tema dell’amnistia, sul quale forse un margine di trattativa esiste, e della tenuta di un referendum sull’autodeterminazione che invece sembra del tutto inaccettabile per i socialisti. Sumar ha responsabilizzato Jaume Asens, che ha buoni rapporti con il mondo indipendentista catalano, per cercare di facilitare un’intesa.

In ogni caso, in un contesto europeo che vede le destre e soprattutto le componenti più oltranziste e razziste all’offensiva, aver fermato Vox, che ha subìto un significativo arretramento, è un successo politico, alla quale la stessa Yolanda Diaz ha personalmente contribuito con la sua partecipazione al dibattito televisivo a tre assieme a Pedro Sanchez (PSOE) e Santiago Abascal (Vox).

La campagna elettorale di Sumar e il suo risultato rende più difficile l’iniziativa di quelle componenti del PSOE (soprattutto alcuni vecchi dinosauri come Gonzales e Guerra ma anche “baroni” locali) che vedono come il fumo degli occhi l’alleanza a sinistra e che avrebbero certamente preferito il pieno ritorno ad un bipartitismo consensuale PSOE-PP. Mentre si è utilmente impegnato nella campagna elettorale l’ex primo ministro José Luis Zapatero, che pure, gestendo le politiche di austerità aveva fortemente contribuito alla crisi del suo partito.

Sumar resta una componente essenziale per qualsiasi ipotesi di coalizione che impedisca l’arrivo al governo dell’estrema destra e della destra ultrareazionaria che non è rappresentata solo da Vox ma è abbondantemente presente anche dentro il Partito Popolare.

Non vanno però taciuti anche i limiti che emergono dal risultato elettorale. Sumar non riesce a recuperare tutti i voti che nel 2019 erano andati a Unidas Podemos e a Mas Pais (il partito fondato da Errejon dopo la sua rottura con Iglesias). Vengono persi 7 seggi e quasi 700.000 voti. Sarà l’analisi dettagliata a consentire di capire meglio in che direzione sono stati persi questi voti. Sicuramente una gran parte sono andati al PSOE che, se non ha potuto impostare una campagna sul voto utile perché colpendo Sumar avrebbe reso impossibile la ricostituzione della vecchia maggioranza, ha potuto avvantaggiarsi del sistema proporzionale che non prevede la ripartizione dei resti a livello nazionale. Nelle circoscrizioni più piccole che attribuiscono pochi seggi l’elettore simpatizzante di Sumar può essere stato spinto a votare per il PSOE per consentire l’elezione di un deputato. Va dato atto a Pedro Sanchez di aver puntato innanzitutto a difendere la coalizione, piuttosto che ad eliminare la concorrenza a sinistra e tornare ad una logica bipartitica scontando un periodo di governo delle destre (come fecero a suo tempo Veltroni e il PD).

In qualche caso, come Euzkadi, dove Sumar ha perso due seggi, ha pesato la crescita di Bildu, la formazione di sinistra nazionalista che oggi si muove con l’aspirazione a diventare il primo partito basco. In altri casi si è visto che non è sempre stato possibile far confluire interamente in Sumar i voti che nel 2019 erano andati a forze politiche di sinistra che si erano contrapposte al voto (Madrid, Valencia ad esempio). Se si confrontano i risultati ottenuti dalle forze confluite in Sumar rispetto alle ultime elezioni “autonomiche” (corrispondenti alle nostre regionali), in cui l’orientamento dell’elettorato è molto più simile al voto politico, come ha fatto il sito di sinistra Publico.es si vede c’è stata una significativa ripresa di voti per la sinistra. Unica eccezione la comunità madrilena, nella quale c’è stato un calo del voto del 6,53%. Evidente un forte spostamento di voti, attratti nel voto del 28 maggio da Mas Madrid, la versione locale di Mas Pais di Errejon dotata però di una sostanziale indipendenza, verso i socialisti. L’altra realtà nella quale Sumar arretra rispetto a maggio è il Paese valenziano, dove perde il 2,3%. In questo caso non ha del tutto funzionato l’accordo con la formazione locale Compromìs, che non faceva parte di Unidas Podemos.

Segnali positivi sono venuti invece da quartieri operai di Madrid dove la sinistra complessivamente ha prevalso. Si va dal 51% di Carabanchel al 54% di Villa de Vallecas fino al 57% di Villaverde e Usera e al 64% di Puente de Vallecas. In un barrio operaio di Barcellona, Nou Barris, è soprattutto il PSOE a beneficiare di uno spostamento del voto che gli consente di raggiungere il 43,5%.

Una parte importante del recupero socialista viene proprio del voto catalano. Mentre un settore del fronte indipendentista ha, irresponsabilmente, invitato al boicottaggio del voto. Dopo aver contribuito non poco allo spostamento a destra di tutto l’assetto politico spagnolo e all’ascesa di Vox, ora si è disinteressato delle possibili conseguenze di un ingresso dei neo-fascisti al governo. Forse ipotizzando che una nuova fase di scontro con Madrid, avrebbe rilanciato quel “procés” di separazione della Catalogna dalla Spagna che oggi è in forte crisi. Ben diverso il comportamento del nazionalismo basco che ha chiaramente rivendicato il proprio schieramento antifascista.

Sumar ha dovuto presentarsi al voto con il peso del pessimo risultato delle amministrative di maggio. In quell’occasione la sinistra si era pericolosamente frammentata. Le trattative in extremis fra le varie componenti per le liste hanno dato l’idea di una costruzione legata più a ragioni di sopravvivenza che da un vero progetto comune. Il contrario di quello che Yolanda Diaz aveva cercato di comunicare nei mesi precedenti. Sono servite quindi diverse settimane affinché l’identità della coalizione prevalesse sulle dispute interne.

Non sarà facile il rapporto con Podemos, il cui peso nella coalizione è stato decisamente ridimensionato, e nella quale non sono mancate polemiche per l’esclusione dalle liste dell’ex ministra Irene Montero. Alcuni commentatori hanno segnalato che il partito fondato da Pablo Iglesias ha mantenuto un basso profilo in tutta la campagna elettorale. Dopo il voto la segretaria Ione Belarra ha però accusato la leadership della coalizione (quindi implicitamente Iolanda Diaz) di avere “invisibilizzato” l’apporto di Podemos. Belarra ha dato un giudizio molto critico sull’esito del voto, in contrasto con quasi tutte le altre formazioni che ne fanno parte, in quanto peggiore di quello ottenuto da Unidas Podemos nelle precedenti consultazioni. Inoltre ha accusato Sumar di aver abbandonato le battaglie femministe, una critica legata all’esclusione di Irene Montero, ma che appare del tutto eccessiva.

Gli eletti della coalizione di sinistra sono divisi tra i candidati espressi direttamente da Sumar (10), quelli di Izquierda Unida (5), Podemos (5), Catalunya en Comù (5) e altri gruppi minori. Mentre il PCE ha potuto rivendicare la presenza di 7 propri eletti (tra cui la stessa Diaz) e di essere quindi il più forte partito della “sinistra trasformatrice” tra quelli presenti in Parlamento. Yolanda Diaz è riuscita a raggruppare non meno di 18 formazioni politiche e già questo, in presenza di una tendenza ad una crescente frammentazione, è stato un risultato non da poco ma che richiederà un lavoro complesso di costruzione di un soggetto politico plurale. Il portavoce di Sumar, Ernesto Urtasun, ha annunciato che con questo obbiettivo si terrà una prima vera assemblea nazionale alla fine dell’estate.

Sono rimasti fuori dalla coalizione gli indipendentisti radicali catalani della CUP e i trotskisti di Anticapitalistas (che contano sull’europarlamentare Miguel Urban). La CUP è crollata da 246.971 a 98.794 voti e ha perso i due seggi di cui disponeva in un contesto di declino di tutte le forze indipendentiste. La CUP ha seguito una politica settaria ed ora è entrata in crisi profonda e si propone di attuare una vera e propria rifondazione che dovrebbe emergere da un ampio dibattito interno.

In Andalusia i trotskisti di Teresa Rodrigues hanno messo in piedi insieme ad altri, dopo la rottura con Podemos decisa nel maggio del 2020, una formazione localista, Adelante Andalucia, che si proponeva di difendere “gli interessi andalusi in Parlamento”. Si è presentata solo a Cadice, dove poteva contare sulla candidatura dell’ex sindaco José Maria Gonzales “Kichi” (militante di Anticapitalista nonché compagno della stessa Rodrigues), ma ha raccolto solo 9.064 voti pari all’1,4% dei voti locali. Lontanissima dalla possibilità di conquistare il seggio a cui aspiravano. Difendere gli interessi locali, seppure da sinistra, era l’unica ambizione sottoposta agli elettori, senza successo. Facendosi portavoce del settarismo degli Anticapitalistas (che avevano già ottenuto risultati elettorali catastrofici dopo la precedente scissione da Izquierda Unida), la Rodrigues ha disperso in poco tempo il patrimonio di popolarità che aveva conquistato in Podemos.

Molti e tutt’altro che semplici gli obbiettivi che si deve dare Sumar. Dovrà innanzitutto contribuire alla ricostruzione di un governo progressista, un percorso non privo di scogli e il cui esito è tutt’altro che scontato. Se si andrà, come auspicabile, ad una riedizione del governo progressista dovrà affermare il proprio ruolo di forza di trasformazione sociale in un rapporto sempre complicato con gli alleati socialisti. Infine dovrà tentare di conquistare un consenso e un radicamento in settori popolari che ancora resta del tutto insufficiente.

 

Franco Ferrari

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