editoriali

Se non torno a casa distruggi tutto

di Roberto
Morea

La manifestazione del 25 novembre ha avuto una partecipazione straordinaria che sicuramente è andata ben oltre le aspettative delle promotrici di non una di meno e di chi si aspettava una tranquilla “marcia contro i femminicidi”.

L’irrompere sulla scena dell’ennesimo assassinio di una ragazza, la reazione opposta dalla famiglia alla posizione del ministro Salvini, hanno caricato l’appuntamento di una valenza che ha travalicato i confini di una semplice indignazione che anche se giusta non produce nessun risultato, trasformandosi in un’altra cosa.

La carica di rivolta e di presa di posizione potente contro il patriarcato e i politici che lo difendono che le parole di Elena, sorella dell’ennesima vittima Giulia Cecchettin, hanno avuto sulla opinione pubblica italiana con un effetto dirompente e disvelatrice di una realtà spesso oscurata. I racconti mediatici, che descrivono con morbosa dovizia di particolari questi omicidi, si affannano a raccontare fatti senza cercarne i perché, mostri nascosti che emergono dalle tenebre, evitando con cura di cercare di far capire non solo i come ma anche le ragioni di un massacro incessante. Non si tratta di singoli episodi, di cui non si vede la fine e che hanno singoli colpevoli. I colpevoli ci sono senz’altro, e sono quegli uomini che di volta in volta commettono gli omicidi, ma hanno un mandante silenzioso che opera quotidianamente e condiziona le vite di tutti e tutte.

Il “se non torno a casa distruggi tutto” ha soppiantato il silenzioso dolore intimo familiare, aprendo la porta alla protesta, alla politica e per quella porta sono entrati, i diritti sul lavoro, la difesa delle conquiste sulla sanità e il diritto all’aborto e giustamente la guerra, apice di quella cultura maschilista che vede solo nel confronto armato la soluzione delle controversie e la base delle relazioni umane e la richiesta, come scritto nella piattaforma della convocazione della manifestazione, di una conseguente posizione dello Stato Italiano contro il genocidio di Gaza.

Questa presa di coscienza delle donne e di tutte e tutti quelli che si sono schierati contro questo modello culturale e sociale ha provocato delle reazioni scomposte da parte di alcuni esponenti politici, imputando alle organizzatrici di schierarsi su cose che non competono al ruolo del movimento femminista.

Credo, al contrario, che questa capacità di “mettere in relazione” le cose, di capirne il senso ed il legame, l’attraversamento delle questioni, insomma, per usare una parola sola, l’intersezionalità, che questo movimento è stato capace di esprimere, sia stato il motivo della grande partecipazione e la ricchezza da cui poter attingere.

Una ricchezza “politica” nel senso più alto del termine, di espressione piena di cittadinanza e di conflitto, che spero continui e trovi sempre più spazio e radicamento in un paese, il nostro, sin troppo e per troppo tempo passivizzato e piegato.

Articolo precedente
Cessate il Fuoco!
Articolo successivo
Clima, la COP orwelliana

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.