“La stabilità strangolatrice”
L’insediamento del governo Draghi – il 13 febbraio 2021 – era stato salutato dai mercati finanziari con uno spread BTP-Bund che oscillava tra i 90 e i 91 punti base (bps). Sostanzialmente, fino al 29 settembre 2021 – in cui era stata presentata la nota di aggiornamento del documento di economia e finanze (NADEF) con obiettivi di finanza pubblica rivisti in miglioramento – lo spread aveva oscillato nell’intorno dei 100 bps. Da allora lo spread ha iniziato una graduale ascesa, fino a circa 240 bps e oltre – nel mese di luglio 2022 – man mano che lo shock e le speculazioni sui prezzi del petrolio, del gas, l’interruzione delle catene logistiche e l’apprezzamento del dollaro, faceva rialzare la testa a un’inflazione di origine esogena che, con la guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia, aumentava i rischi di recessione e la turbolenza dei mercati finanziari.
A Mario Draghi – che doveva essere il garante del più espansivo piano di spesa pubblica del secondo dopo guerra, il PNRR – questo ribaltamento del contesto macroeconomico deve avere fatto l’effetto di un contrappasso dantesco, facendogli riaffiorare alla memoria la durezza dei travagliati passaggi della crisi del debito sovrano. Allora, a inizio gennaio del 2011 il differenziale Btp-Bund si collocava a 173 punti; era poi stato altalenante fino al 30 giugno 2011 (tra i 122 e i 214 punti), per poi iniziare una ripida salita. Aveva toccato quota 389 punti il giorno prima della famosa missiva del 5 agosto 2011 – a firma Mario Draghi e Jean-Claude Trichet1 – in cui al premier Berlusconi veniva intimato di “ristabilire la fiducia degli investitori”, con draconiane misure come tagli lineari, liberalizzazioni dei servizi pubblici, riduzioni salariali e flessibilità del mercato del lavoro, riduzione dei costi del pubblico impiego e vari altri interventi penitenziali.
L’attacco nei confronti del debito sovrano italiano non si arrestò e arrivò il governo Monti che approvò le dolorose riforme strutturali richieste dall’Europa ma, nonostante il governo tecnico, lo spread chiuse l’anno 2011 ben oltre i 500 punti.
Mario Draghi ha consolidato la sua autorevolezza a livello internazionale come il Presidente della Banca Centrale Europea che, nel 2012, ha salvato la moneta unica dalla crisi del debito sovrano, grazie al quantitative easing e alle operazioni definitive monetarie (outright monetary transactions). Ma è lo stesso banchiere che, nel giugno del 2015, quando l’Eurogruppo aveva negato la proroga degli aiuti al governo di Alexis Tsipras, in piena crisi finanziaria, aveva chiuso i rubinetti della liquidità d’emergenza in BCE alle quattro principali banche greche, obbligando il Paese ad imporre il blocco per sei giorni dei bancomat, degli sportelli bancari e della Borsa di Atene. È stata quella la decisione che ha alimentato il panico e la sensazione di “waterbording finanziario”,2 secondo l’efficace definizione dell’allora Ministro Yanis Varoufakis. Quello “strangolamento” aveva piegato un Governo democraticamente eletto, che, sulla base di un mandato popolare, aveva creduto di poter scardinare l’indirizzo austeritario delle politiche fiscali europee, per impostare una manovra di rientro dalla situazione di sovraindebitamento, egualitaria e gradualistica, senza i piani lacrime e sangue cui dovette poi soggiacere, dopo la firma del terzo Memorandum of Understanding della terza tranche del prestito del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
Va detto per inciso che, la fallacia di quelle politiche punitive è dimostrata dal fatto che la Grecia presenta oggi uno spread inferiore rispetto a quello italiano, ma un livello di indebitamento consolidato del settore pubblico rispetto al PIL pari al 189,3%, nonostante la macelleria sociale, contro il 152,6% dell’Italia (secondo dati Eurostat, aggiornati al primo trimestre 2022).
Quindi, nonostante i più recenti discorsi di Mario Draghi sul “debito buono” e “debito cattivo” – una variante rispetto a posizioni genuinamente “antikeynesiane” – la sua storia di banchiere conferma la sua fiducia nel credo neoliberista del potere taumaturgico dei mercati finanziari e nell’istituzionalizzazione delle “politiche d’emergenza” che usano il vincolo esterno europeo come strumento per dirimere i conflitti sociali interni.
Tornando al presente, alla luce di questo background, deve aver provocato un certo sollievo all’ex Premier l’idea di non essere più nella scomoda posizione di vertice del Paese più divergente dell’area Euro e con il livello più elevato di spread, nell’interlocuzione con la Commissione Europea e con l’Eurogruppo – in posizione di esaminato, non di commissario esaminatore – in occasione della prossima presentazione del Documento programmatico di bilancio per il 2023 sui saldi di finanza pubblica e sulle proiezioni delle entrate e delle spese, il 15 ottobre, in base alla disciplina prevista dal Regolamento UE n.473/2013.
Avrebbe infatti rischiato di trovarsi schiacciato tra pressioni contrapposte: i rischi di recessione e inflazione da un lato, le manovre pre-elettorali dei partiti di governo dall’altro, la politica monetaria restrittiva e il possibile venir meno della sospensione del rigore di bilancio; in effetti non è ancora certa l’estensione dell’applicazione anche al 2023 della cosiddetta general escape clause (GEC) – approvata il 27 marzo del 2020, in piena prima ondata Covid-19. Essa ha consentito agli Stati membri di deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio, senza sospendere formalmente l’applicazione del Patto di Stabilità e Crescita, né le procedure del semestre europeo in materia di sorveglianza fiscale.
Il cosiddetto “scudo anti-spread”
In questo clima, in cui le spinte inflazionistiche nell’eurozona sembrano avere risvegliato “l’acritico conformismo liberista che ha sempre contraddistinto l’atteggiamento del nostro Paese nei confronti dei partners comunitari”,3 il 21 luglio 2022, in concomitanza con la mancata fiducia al governo Draghi, la BCE ha approvato un rialzo di 50 punti base dei tre tassi guida (portando il corridoio dei tassi ufficiali tra lo 0% del tasso sui depositi in BCE e lo 0,75% del tasso sui prestiti marginali). Si è trattato di una variazione doppia rispetto alle aspettative del mercato, cui si è aggiunto uno strumento di protezione della trasmissione della politica monetaria (Transmission Protection Instrument, TPI) che per come è concepito aumenta il grado di restrizione, sebbene sia stato presentato come uno strumento per contrastare la frammentazione dei tassi nell’area euro.
Lungi dall’essere credito di ultima istanza, è un “ombrello” molto selettivo: “perché possa essere aperto bisogna comportarsi in modo tale che non sia necessario farlo”.4
Fuor di metafora, il TPI è stato introdotto per influenzare le aspettative del mercato, in una delicata fase di uscita da un lungo periodo di tassi negativi. Dovrebbe servire ad assicurare la trasmissione della politica monetaria in tutti i Paesi dell’area euro, contrastando dinamiche di mercato “ingiustificate e disordinate”5 di divaricazione degli spread tra titoli sovrani della stessa area valutaria. Attraverso il TPI sarà possibile effettuare acquisti variabili di titoli da parte della BCE, non predeterminati ex ante, per flessibilizzare il reinvestimento dei titoli in scadenza tra quelli acquistati durante la lunga fase di accomodamento monetario.
Con il quantitative easing prima (ovvero l’Asset purchase programme, App), con le operazioni di rifinanziamento mirate a più lungo termine (TLTRO) e con il programma per l’emergenza pandemica poi (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP), la BCE ha acquistato più di 1.180 mld di titoli italiani, tra marzo 2015 e giugno del 2022; un ammontare che, per quanto cospicuo, è comunque inferiore a quello degli acquisti di titoli tedeschi e francesi. Ciò per rispetto della regola della “chiave capitale”.6 Va da sé che quando la BCE acquista titoli immette liquidità nel sistema, mentre se li vende o non li rinnova alla scadenza drena liquidità dal sistema, amplificando il grado di restrizione della politica monetaria. Per questo la BCE deve dosare le misure a favore della stabilità dei prezzi, con i rischi incombenti di rallentamento dell’economia, amplificati dalla prosecuzione della guerra in Ucraina, garantendo condizioni di liquidità “appropriate” fino al 2024.
Tornando al TPI, esso consente di acquistare sul mercato secondario titoli di debito pubblico (ma non solo), di durata residua tra 1 e 10 anni, anche da Paesi che potranno sperimentare un temporaneo deterioramento finanziario. Nondimeno le condizioni di eleggibilità per essere “meritevoli” di tale facilitazione creditizia, è subordinata a svariate condizionalità:
- Il perseguimento di politiche macroeconomiche “solide e sostenibili”;
- Il rispetto del framework fiscale UE, ovvero il non essere assoggettati a procedure di deficit eccessivo o il non aver fallito nell’adozione di raccomandazioni specifiche del Consiglio UE ex art. 126 del TFUE;
- L’assenza di squilibri severi a livello macro o il non essere sottoposti a procedure di deficit eccessivo (EIP);
- Avere ottemperato all’impegno di assumere azioni correttive ex art. 121 del TFUE;
- Rispetto degli impegni assunti con i Piani nazionali di ripresa e resilienza e con le raccomandazioni fiscali formulate nel semestre;
- Sostenibilità fiscale del debito pubblico, sulla base di una valutazione del Consiglio Europeo, del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), dell’FMI e degli uffici interni della BCE.
Quest’ultima condizionalità sembra riproporre quel potere solo apparentemente tecnico della Troika, in grado di decidere se e quali politiche economiche un governo democraticamente eletto possa perseguire. E sebbene dalle dichiarazioni raccolte all’indomani delle decisioni della BCE, risulti che l’Italia superi l’esame delle condizionalità previste dal TPI, non è detto che tale situazione permanga a fronte di possibili shock, ascrivibili a turbolenze nei movimenti di capitale, alla situazione geopolitica o alla recessione.
Anche il TPI – come il MES del resto – tutela più il creditore (ovvero la BCE), che le controparti sovrane. E non è un caso se nel periodo più drammatico della pandemia, nessun Paese abbia voluto fare ricorso al MES. Insomma …con il TPI è stato concepito un altro ombrello per quando non piove. Nella sua formulazione ci riporta alla retorica delle politiche di austerità che con la pandemia, con la mutualizzazione del debito e con il piano Next Generation avevamo temporaneamente rimosso.
Serve da monito per la politica che ha avuto l’ardire di non confermare la fiducia nel “governo dei migliori”. Qualunque forza politica vincerà le prossime elezioni avrà le “mani legate”. È stato introdotto un nuovo vincolo esterno, in cui un meccanismo monetario che anticipa l’instabilità, induce misure restrittive di politica economica, sovvertendo il naturale nesso per cui la moneta dovrebbe essere proiezione dei fenomeni dell’economia reale e non viceversa.
Antonella Trocino
- “IlSole24ore”, 29 settembre 2011.[↩]
- “Il Fatto Quotidiano”, 16 luglio 2015[↩]
- F. Caffè in Contro gli incappucciati della finanza, 1975, citato in T. Fazi, Una civiltà possibile, Meltemi, Milano 2022, p.154[↩]
- G. Barba Navaretti, Restare sotto l’ombrello della BCE, in “la Repubblica”, 25 luglio 2022[↩]
- ECB “Press Conference”, 21 luglio 2022.[↩]
- Tale regola – sospesa per un certo periodo con il PEPP – prevede che la ripartizione degli acquisti di titoli delle App rifletta il peso percentuale dei Paesi membri dell’area euro proporzionalmente all’incidenza del PIL, della popolazione e quindi della quota nel capitale della BCE delle rispettive banche centrali nazionali. Si tratta quindi di un meccanismo non cooperativo ma patrimoniale.[↩]