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Se i Berretti Verdi si schierano in prima linea a Taiwan, la guerra USA-Cina è più vicina?

di Alessandro
Scassellati

Le relazioni tra Cina e Taiwan attraverso lo Stretto sono diventate una caratteristica significativa della sicurezza e della stabilità regionale nell’Indo-Pacifico e sono un altrettanto importante motivo di contesa nelle relazioni USA-Cina. Ora le forze speciali statunitensi sono assegnate permanentemente all’addestramento delle truppe taiwanesi su isole a soli 10 chilometri dalla Cina continentale. La costante vendita di armi e il sostegno alla formazione delle forze militari forniti a Taiwan sono sostenuti dagli impegni degli Stati Uniti per la difesa dell’isola ai sensi del Taiwan Relations Act del 1979, così come dalla consapevolezza all’interno di alcune sezioni del governo che gli interventi degli Stati Uniti durante uno scenario di conflitto attraverso lo Stretto potrebbero non essere sufficienti. Le simulazioni di uno scontro militare concludono che anche con la vittoria finale di una coalizione guidata dagli Stati Uniti in uno scenario di conflitto, il conflitto stesso sarà piuttosto prolungato e dozzine di navi americane, centinaia di aerei e decine di migliaia di militari andranno perdute. A questo proposito, il comitato ristretto della Camera dei Rappresentanti è giunto alla conclusione che c’è un urgente bisogno di “armare Taiwan fino ai denti” e di liquidare i 19 miliardi di dollari di vendite di armi promesse all’isola.

Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno avviato una significativa collaborazione militare con Taiwan che prevede il dispiegamento di forze speciali dell’esercito americano per operazioni di addestramento in corso sull’isola (come era avvenuto nel Vietnam del Sud ai tempi dell’amministrazione Kennedy). La rivista online Asia Times riferisce che Forze per Operazioni Speciali (SOF) statunitensi sono state assegnate permanentemente alle isole in prima linea di Taiwan, con l’obiettivo di addestrare unità d’élite taiwanesi per possibili operazioni di difesa dell’isola e di guerriglia contro un’invasione cinese.

Questo mese, SOFREP ha riferito che le SOF dell’esercito americano sono state schierate a Taiwan per l’addestramento continuo ai sensi del National Defense Authorization Act (NDAA) del 20231. Le truppe americane nell’isola di Kinmen (Quemoy) sono situate a soli dieci chilometri dalla Cina continentale. Altre forze sono dispiegate nelle isole di Penghu (Pescadores) a circa 70 miglia dalla costa della Cina. La loro missione prevede regolari esercitazioni di addestramento insieme alle forze d’élite di Taiwan. In particolare, un aspetto di questa cooperazione è l’assistenza delle forze speciali dell’esercito americano nell’addestramento delle loro controparti taiwanesi all’uso del Black Hornet Nano, un micro drone aereo senza pilota (UAV) militare compatto. Il Comando dell’Aviazione e delle Forze Speciali di Taiwan ha proposto di acquistare questo drone direttamente dagli Stati Uniti.

SOFREP afferma che il Ministero della Difesa Nazionale taiwanese ha sottolineato che l’obiettivo di questi scambi è “rafforzare la formazione, la prontezza e le capacità istituzionali di Taiwan”, che, a suo avviso, sono in linea con i piani annuali per garantire la sicurezza nazionale e regionale.

Le isole di Kinmen e Penghu in prima linea di Taiwan sono fondamentali per la sua difesa, con le SOF che svolgono un ruolo vitale in una strategia di difesa dell’isola di lunga durata. In un articolo dell’Asia Society del febbraio 2023, si osserva che Kinmen e le isole circostanti sono eccezionalmente ben fortificate, con una geografia sporgente e una geologia rocciosa che consentono il profondo radicamento delle posizioni taiwanesi consolidate2. Si afferma che qualsiasi tentativo di sloggiare le forze taiwanesi comporterebbe probabilmente aspri combattimenti e che il destino in battaglia dei 60mila civili di Kinmen potrebbe rappresentare un forte motivo di mobilitazione per il resto di Taiwan nel caso in cui la Cina invadesse. Anche se attualmente, Kinmen dipende per circa il 100% dalla Cina e la popolazione è in rapporti amichevoli con la Cina.

Come nel caso di Kinmen, Penghu è un obiettivo critico per le operazioni di presa di controllo delle isole da parte di Pechino. La resistenza taiwanese su Penghu, guidata dal Comando di Difesa di Penghu armato di carri armati, radar a lungo raggio, missili antinave e antiaerei, sarebbe il preludio a qualsiasi invasione completa di Taiwan. Molteplici analisti statunitensi della strategia dell’Esercito popolare di liberazione (PLA) per Taiwan concordano generalmente sul fatto che l’occupazione o la neutralizzazione di Penghu sarebbe fondamentale per qualsiasi assalto attraverso lo stretto. Tuttavia, osservano che la presa di Penghu e delle isole circostanti rappresenterebbe una difficile sfida per il PLA a causa della significativa popolazione civile e delle forze taiwanesi trincerate3. Un’occupazione cinese di successo delle isole Penghu indurrebbe contromisure taiwanesi, ma la portata del sostegno degli Stati Uniti a Taiwan in quella situazione non è chiara.

Per quanto riguarda il ruolo delle forze speciali taiwanesi nella difesa di Kinmen e Penghu, un articolo di Business Insider del gennaio 2023 sostiene che il 101° battaglione di ricognizione anfibio di Taiwan, analogo ai Navy SEAL statunitensi, guiderebbe la difesa di Kinmen e Penghu, combattendo un’azione ritardante per guadagnare tempo per l’intervento degli Stati Uniti e degli altri alleati (Giappone, Corea del Sud, Singapore, Australia, Filippine e NATO). I SEAL taiwanesi potrebbero non essere in grado di fare molto a parte imporre costi elevati a una forza di invasione del PLA di gran lunga superiore, ma i loro piccoli numeri, le loro ampie competenze, la flessibilità intrinseca e la mentalità non convenzionale li renderebbero dei guerriglieri perfetti, scomparendo nel nulla nelle campagne dopo le prime ore dell’invasione cinese per intraprendere una guerriglia.

Un articolo del Modern War Institute del dicembre 2022 nota che le SOF taiwanesi su Kinmen e Penghu, dato un sufficiente supporto da parte degli Stati Uniti e degli alleati, potrebbero fornire informazioni critiche e obiettivi per le piattaforme d’attacco americane. Se la Cina alla fine dovesse occupare Taiwan, le SOF di quest’ultima potrebbero riorganizzarsi in forze stay-behind nascoste dietro le linee nemiche, imponendo costi, causando ritardi e seminando confusione. In un articolo di War on the Rocks del novembre 2023, si afferma che Taiwan, incapace di permettersi la parità militare con la Cina e affrontando una probabile occupazione se quest’ultima invade, ha considerato o ha già un concetto di forza stay-behind. Si afferma che le forze stay-behind possono operare in scenari di decapitazione, pacificazione, sottomissione e liberazione.

In uno scenario di decapitazione che prevede attacchi preventivi che eliminano rapidamente la leadership nazionale, si ritiene che le forze stay-behind possono mantenere la coesione della resistenza rimanendo fuori dalla lista degli obiettivi dell’occupante. In uno scenario di pacificazione in cui l’occupante mira a placare o pacificare la popolazione, le forze stay-behind possono monitorare il comportamento del primo per ideare un’efficace strategia di resistenza. In uno scenario di sottomissione in cui l’occupante usa il terrore, la violenza e la repressione per schiacciare la resistenza, la migliore linea d’azione per le forze stay-behind è quella di fuggire verso ambienti più permissivi. In uno scenario di liberazione, le forze stay-behind possono fornire informazioni ed eseguire azioni ritardanti per supportare l’arrivo di una forza di liberazione.

In questi scenari, le SOF di Taiwan possono anche costituire il nucleo di una possibile strategia di deterrenza taiwanese attraverso la resistenza popolare, aumentando la prospettiva che la Cina dovrà affrontare una popolazione ostile se invade e occupa l’isola. Ciò aumenterebbe i costi di un’invasione e della successiva occupazione, costringendo la Cina a ripensare o ridimensionare i suoi obiettivi militari contro Taiwan. Tuttavia, in un articolo del Modern War Institute del settembre 2023 si osserva che il movimento di resistenza di Taiwan non dovrebbe fare affidamento esclusivamente sulla forza militare ma avrebbe bisogno anche del sostegno civile. Da questo punto di vista, la strategia di resistenza popolare di Taiwan ha quattro obiettivi generali: sostenere o consentire la sconfitta delle forze di occupazione cinesi, mantenere il morale della popolazione, ispirare altri paesi a sostenere Taiwan e contrastare e interrompere le operazioni del PLA e del Partito Comunista Cinese (PCC). Tuttavia, si aggiunge che gli obiettivi specifici della resistenza di Taiwan dipenderanno dalle mutevoli circostanze di una possibile occupazione cinese. Se le forze di occupazione sono mal organizzate, la resistenza potrebbe concentrarsi sulla sconfitta totale delle forze cinesi. Se i tempi dell’occupazione venissero prolungati, la resistenza potrebbe doversi concentrare sulle azioni di guerriglia e boicottaggio e sui disordini, mantenendo al contempo il morale della popolazione.

Secondo gli analisti statunitensi la vittoria di un movimento di resistenza taiwanese dipende da vari fattori come la durata dell’occupazione, la forza e le dimensioni della forza occupante, il livello di sostegno da parte della popolazione locale e la risposta della comunità internazionale in termini di diplomazia, informazioni, assistenza militare ed economica.

 

Il contesto geopolitico delle relazioni tra Cina e Taiwan

Secondo gli analisti, le relazioni tra Cina e Taiwan attraverso lo Stretto sono influenzate non solo da eventi scatenanti imprevedibili, ma da quattro fattori persistenti e fondamentali: i cambiamenti politici portati dal governo taiwanese del Partito Democratico Progressista (DPP) dal 20164, un rafforzamento del senso di identità sociale nella popolazione taiwanese5, l’aumento della vicinanza tra Taiwan e gli Stati Uniti6 e il rafforzamento del potere e dell’assertività cinese sotto Xi Jinping che, nei confronti di Taiwan, è impegnato a frenare ogni possibilità di indipendenza di Taiwan o di maggiore legittimità internazionale per la causa dell’isola7.

La Cina è ormai diventato il principale partner commerciale di molti Paesi e negli ultimi dieci anni la Belt and Road Initiative (BRI), con investimenti per mille miliardi di dollari rivolti a 150 Paesi, i blocchi formati dai BRICS (si vedano i nostri articoli qui e qui), dalla Shangai Cooperation Organization (SCO) e dalla Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), e nuove istituzioni bancarie (come la New Development Bank e la Asian Infrastructure Investment Bank) hanno fatto breccia geopolitica nel Sud del mondo dove l’Occidente fa fatica a tenere le sue tradizionali posizioni di dominio8. Secondo la Strategia per la Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Biden, la Cina in ascesa, insieme alla Russia, rappresenta la principale minaccia strategica. Il rapporto Cina-Russia è animato da un comune antagonismo nei confronti degli Stati Uniti. Non c’è praticamente alcuna possibilità che gli Stati Uniti creino un cuneo tra Cina e Russia, come è successo durante la Guerra Fredda. “Daremo la priorità al mantenimento di un vantaggio competitivo duraturo sulla [Cina]“, promette il documento statunitense, affermando chiaramente che l’obiettivo primario è di bloccare il tentativo della Cina di “diventare la potenza principale del mondo9.

Nel 2022, la risposta bellicosa della Cina alla visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taipei (si vedano i nostri articoli qui e qui) hanno alimentato un’ondata di analisi e commenti su potenziali blocchi o invasioni cinesi di Taiwan. Nell’ultimo anno le tensioni tra USA e Cina sono cresciute, alimentate da posizioni divergenti su sanzioni e embarghi economici e tecnologici americani10 e Taiwan, con Biden che ha ripetutamente promesso di rispondere militarmente se la Cina tenta di prendere Taiwan con la forza. La questione di Taiwan è al centro degli interessi fondamentali della Cina, la prima linea rossa che non deve essere oltrepassata nelle relazioni Cina-USA. In varie occasioni, Biden e molti altri alti funzionari della sua amministrazione si sono impegnati pubblicamente a rimanere fedeli alla politica della Cina unica e a non sostenere “l’indipendenza di Taiwan“. Seguendo una strategia basata sull'”ambiguità strategica“, Washington tende comunque a fomentare le tensioni attraverso lo Stretto di Taiwan, inviando navi da guerra e aerei da combattimento nell’area, aumentando le vendite di armi all’isola cinese e sostenendo che la Cina è pronta a prendere l’isola con le armi nel 2027.

Tuttavia esiste un ampio consenso sul fatto che un attacco della RPC a Taiwan si troverebbe ad affrontare gravi sfide – a cominciare dalla logistica di organizzare un’invasione attraverso lo Stretto di Taiwan di 80 miglia, la significativa probabilità di un intervento militare diretto degli Stati Uniti e la prospettiva di massicce sanzioni economiche. Sebbene sia importante considerare gli scenari peggiori, i dati emersi dal Congresso del PCC del 2022 fanno presagire che non si verificherà un’invasione o un blocco totale nel breve termine. Nel frattempo, una serie di circostanze più probabili ha ricevuto relativamente poca attenzione: la presa del controllo da parte della RPC di una o più isole attualmente controllate dalla Repubblica Cinese. Oltre a Kinmen, Matsu e le minuscole isole Wuchiu al largo della costa del Fujian, la Repubblica Cinese occupa le isole Pratas (Dongsha) e l’isola Itu Aba (Taiping) nel Mar Cinese Meridionale e le isole Penghu nello stretto di Taiwan. Ogni scenario offre alla RPC una serie distinta di costi e benefici tattici, strategici e politici, ma nessuno si avvicina ai rischi di un’invasione o di un blocco totale.

Mentre il mondo guarda allo Stretto di Taiwan e alle politiche e tattiche in continua evoluzione delle parti interessate coinvolte, emerge un consenso sul fatto che qualsiasi conflitto nella regione avrà drastiche implicazioni economiche e umanitarie globali. Un conflitto attraverso lo Stretto di Taiwan potrebbe interrompere gli estesi collegamenti commerciali dell’Asia orientale, interrompere catene di produzione globali, generare gravi shock per le economie regionali, sconvolgere l’architettura di sicurezza dell’Asia e, potenzialmente, degenerare in una catastrofica guerra nucleare tra superpotenze. Molti stati regionali, inclusi gli alleati degli Stati Uniti – stanno iniziando a considerare seriamente come rispondere a un potenziale uso della forza da parte della Repubblica popolare cinese. Finora l’attenzione analitica si è concentrata prevalentemente sullo scenario peggiore di un’invasione della RPC, ignorando in gran parte le contingenze più probabili calcolate per rimanere al di sotto della soglia della forza letale. Secondo gli osservatori occidentali, è in questa “zona grigia” che negli ultimi anni la RPC ha compiuto progressi strategici nel Mar Cinese Orientale e Meridionale.

Rispetto a un’invasione o un blocco dell’isola principale di Taiwan, un’operazione per catturare una o più isole al largo attualmente controllate dalla Repubblica di Cina (ROC o Taiwan) offrirebbe a Pechino notevoli vantaggi. In un senso tattico immediato, offrirebbe a Pechino maggiore flessibilità e controllo dell’escalation, un minor rischio di vittime civili e una minore probabilità di innescare una forte risposta taiwanese o americana. Dal punto di vista strategico, un’operazione del genere potrebbe aprire una serie di opzioni per ulteriori indagini, fatti compiuti, raccolta di informazioni e pressioni coercitive sulle forze della ROC e, nel caso delle isole Penghu, sostanziali opportunità per una maggiore sorveglianza, ricognizione, e supporto logistico per una futura invasione dell’isola principale. Sul piano interno, in contrasto con un’invasione a tutto campo sanguinosa e potenzialmente catastrofica o un blocco che rischierebbe un conflitto con gli Stati Uniti, l’occupazione delle isole periferiche potrebbe offrire a Pechino un punto di incontro a basso rischio ma altamente simbolico in un periodo di probabili lotte economiche e crescita di malcontento sociale.

La speranza per la pace e la stabilità risiede in poche ma importanti scommesse: che la Cina modifichi radicalmente la sua posizione sull’uso della forza con Taiwan, tenendo conto dei rischi e dei costi del conflitto, che le tattiche di deterrenza degli Stati Uniti non alzino il livello della provocazione nei confronti della Cina oltre una soglia limite, e che la popolazione e il sistema politico taiwanese (pur sostenendo lo status quo e investendo nelle capacità di difesa e nella posizione diplomatica dell’isola) mantengano aperto il dialogo e la comunicazione politico-culturale con la Cina continentale.

Alessandro Scassellati

  1. La NDAA delinea il quadro per l’impiego del personale delle forze armate statunitensi a Taiwan, concentrandosi principalmente sull’addestramento militare senza piani immediati per il collocamento di funzionari civili. I rapporti indicano una crescente presenza dello Special Operations Forces Liaison Element (SOFLE) a Taiwan, con l’intenzione di stazionare piccole squadre del 2° battaglione del 1° gruppo delle forze speciali, Compagnia Alpha. Queste squadre, composte da berretti verdi dell’esercito, hanno il compito di svolgere missioni di addestramento congiunto presso le basi del 101° battaglione di ricognizione anfibio e della compagnia di servizi speciali aviotrasportati di Taiwan, agendo come osservatori permanenti dell’addestramento. Ciò segna un allontanamento dalle pratiche precedenti che prevedevano visite frequenti ma non permanenti alle strutture di formazione taiwanesi.[]
  2. L’impegno dichiarato del presidente Truman (27 giugno 1950) a difendere Taiwan ha scoraggiato con successo un’invasione da parte della RPC. Eppure, nel decennio successivo, la Cina e gli Stati Uniti sarebbero arrivati sull’orlo della guerra almeno tre volte, con l’idea di un uso di armi nucleari da parte americana. In ogni occasione, il luogo dell’escalation non è stata Taiwan stessa, ma piuttosto le piccole isole sull’altro lato dello Stretto di Taiwan, vicino alla Cina continentale, che il governo della Repubblica Cinese continua ad occupare ancora oggi. L’avamposto pesantemente fortificato di Kinmen, che si trova in vista della città cinese continentale di Xiamen, e le isole Matsu, appena al largo della costa di Fuzhou, furono obiettivi di pesanti bombardamenti della RPC nel 1954-1955 e 1958. Nel 1955 la RPC organizzò anche un assalto anfibio riuscito, ma ormai in gran parte dimenticato, alle isole Yijiangshan al largo della costa di Taizhou. Poco dopo, le forze statunitensi e della Repubblica Cinese evacuarono la popolazione di quasi 30mila abitanti dal vicino arcipelago di Tachen, lasciando che l’Esercito di Liberazione Popolare Cinese prendesse il controllo incontrastato di 29 isole.[]
  3. L’arcipelago comprende un totale di 90 isole e scogli che ammontano a una superficie totale di oltre 140 chilometri quadrati, una popolazione civile relativamente stabile di oltre 100mila abitanti e un’economia che garantisce il settimo PIL pro capite regionale più alto di Taiwan. Il Penghu Defense Command della ROC è un’unità a livello di corpo di 8mila soldati, dotata di carri armati, radar a lungo raggio e missili antinave e antiaerei. Trovandosi così vicino a Taiwan, un assalto a tutto campo contro le Penghu sarebbe probabilmente visto come un preludio a un’invasione della stessa Taiwan. Eppure il PLA potrebbe avere opzioni al di sotto di questa soglia: solo circa la metà delle 90 isole sono abitate, di cui 16, secondo quanto riferito, con truppe ROC presenti, e la geografia bassa dell’arcipelago – in contrasto con Kinmen e Matsu – renderebbe relativamente semplice l’atterraggio.[]
  4. Dal 2016, Tsai Ing-Wen ha assunto la carica di presidente e ha guidato per due volte il suo partito, il DPP, alla vittoria della maggioranza nello yuan legislativo taiwanese. In questi otto anni, la politica cinese dell’isola è diventata più nazionalista, segnando un netto allontanamento dalla politica durata otto anni del partito Kuomintang (KMT) di impegnarsi in un dialogo continuo e mantenere linee aperte di comunicazione e negoziazione con la Cina. Sotto Tsai, il Consiglio per gli affari continentali di Taiwan (MAC) ha concettualizzato la politica cinese del DPP come una politica incentrata su “sviluppo pacifico, uguaglianza, vantaggi reciproci e fiducia reciproca”. Sulla base della richiesta di fiducia reciproca e uguaglianza con la Cina, il DPP sotto Tsai ha ripudiato il “Consenso del 1992“, un accordo chiave tra le due parti sull’esistenza di “Una Cina“, che si è rivelato controverso nel corso della storia delle relazioni tra le due sponde dello Stretto a causa delle diverse interpretazioni della frase tra le due parti. Tuttavia, nell’interpretazione della Cina, Taiwan è una “provincia ribelle” separatista e con un partito considerato sottomesso alla grande nazione cinese, con il Partito Comunista (PCC) che è il leader legittimo di “Una Cina”. Questa interpretazione è considerata inaccettabile dal DPP, anche se il suo predecessore, il KMT, era disposto a guardare oltre per mantenere un rapporto funzionale con la Cina. Ora, il DPP sta rafforzando l’identità sovrana di Taiwan e rifiutando l’idea che il governo dell’isola, in qualsiasi modo, sia asservito al PCC. Con un rinnovato senso di identità sovrana, la politica del DPP si è spostata dal dialogo e dalla negoziazione con la Cina all’investimento nelle tre “D”: capacità di difesa, relazioni diplomatiche con il resto del mondo e rafforzamento delle istituzioni democratiche sull’isola. Questo approccio politico ha portato Pechino a sospendere ogni dialogo significativo con Tsai dal 2016 e ad adottare una serie di misure coercitive di tipo militare (esercitazioni, voli di aerei e droni militari, sconfinamenti di navi militari), economico (sospensione delle aliquote fiscali preferenziali per prodotti e imprese taiwanesi; sanzioni contro diverse aziende statunitensi della difesa per le loro vendite di armi e attrezzature a Taiwan) e politico (con la riduzione dei paesi che hanno rapporti diplomatici con Taiwan a solo 12).[]
  5. All’interno della popolazione taiwanese sta prendendo forma un rafforzato senso di identità sovrana, che ha portato la maggioranza a respingere l’idea di qualsiasi modifica allo status quo nelle relazioni tra le due sponde dello Stretto, o la proposta cinese secondo cui il modello “un Paese, due sistemi” sarà vantaggioso per i “compatrioti” di entrambe le parti. La maggioranza della popolazione taiwanese sembra allontanarsi significativamente dalle aspettative del PCC riguardo al modo in cui si identifica e al futuro che prevede per le relazioni tra le due sponde dello Stretto (cioè un futuro in cui non ci sia spazio per la riunificazione). Questi atteggiamenti si riflettono anche nelle preferenze politiche della popolazione. Nonostante gli alti e bassi nell’indice di approvazione di Tsai durante il suo mandato e l’insoddisfazione della popolazione per altre questioni interne come la corruzione, la mancanza di opportunità di lavoro e la cattiva gestione del CoVid-19, la maggioranza della popolazione con preferenze politiche definite, preferisce il DPP al KMT. Una delle principali ragioni alla base di ciò è la preoccupazione che un governo guidato dal KMT possa aprire le porte a una maggiore vicinanza tra Taipei e Pechino, danneggiando gli interessi sovrani della prima. Tenendo conto di queste preferenze socio-politiche, il DPP sotto Tsai si è mantenuto forte almeno sulla sua retorica volta a scoraggiare la Cina, e lo stesso ci si aspetta dal nuovo presidente Lai Ching-te (che assumerà l’incarico nel maggio 2024).[]
  6. Una caratteristica chiave è l’approfondimento dei legami di difesa con le vendite di armi americane a Taiwan che sono diventate più frequenti e maggiori in termini di volume. E questo fenomeno precede la presidenza di Biden: sotto la presidenza di Trump, ad esempio, solo nel 2020 hanno avuto luogo otto serie di transazioni relative ad armi e difesa con Taiwan, per un valore di transazioni pari a circa 5,9 miliardi di dollari. Sotto Biden, dal 2022 ci sono state 15 transazioni di questo tipo, per un valore di circa 4 miliardi di dollari. Queste transazioni vanno dalla vendita di attrezzature pesanti come carri armati e caccia multiruolo e pezzi di ricambio per veicoli a ruote, alle transazioni riguardanti l’addestramento del personale delle forze armate taiwanesi. Sul fronte commerciale, gli Stati Uniti e Taiwan stanno negoziando una “Iniziativa USA-Taiwan sul commercio del 21° secolo” e l’accordo di Fase 1 per questa iniziativa è già stato firmato nel giugno 2023. Attraverso questo accordo, l’obiettivo è ridurre le barriere tariffarie tra le due parti e coordinare le politiche di regolamentazione relative al lavoro e all’ambiente, in modo da aumentare l’interoperabilità delle imprese. Inoltre, per garantire un flusso regolare di talenti e personale del settore tra le due parti, le delegazioni del Congresso degli Stati Uniti hanno effettuato frequenti visite a Taiwan, mentre anche i principali politici taiwanesi hanno fatto soste negli Stati Uniti per interagire con il governo, i think tank e il mondo degli affari. Due di queste visite – quella dell’allora presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taipei nell’agosto 2022 e quella di Tsai in California nell’aprile 2023, dove ha incontrato l’allora presidente della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy – hanno causato grande preoccupazione in Cina, e questo la portò persino a condurre esercitazioni di lancio missilistico intorno a Taiwan.[]
  7. La posizione cinese viene giustificata sul piano storico e culturale, oltre che geostrategico, e include la missione del PCC di realizzare il “sogno cinese” del “grande ringiovanimento della nazione cinese”, di cui la riunificazione con Taiwan costituisce un pilastro fondamentale. Nella concezione del PCC, esiste solo “Una Cina” e Taiwan è una provincia del continente amministrata in modo speciale, priva di una propria identità sovrana. In questo contesto, l’approccio politico del DPP alle relazioni tra le due sponde dello Stretto è visto da Pechino come “secessionista” e persino illegittimo, mentre qualsiasi prossimità tra Stati Uniti e Taiwan è vista come una violazione degli impegni assunti dagli Stati Uniti nei confronti della Cina nell’ambito dei “Tre Comunicati Congiunti” del 1972, 1979 e 1982. Nel comunicato di Shanghai del 1972 si è affermato che: “Gli Stati Uniti riconoscono che tutti i cinesi, da entrambi i lati dello stretto di Taiwan, ritengono che esista una sola Cina e che Taiwan sia parte della Cina. […]. Il governo della Repubblica Popolare Cinese è l’unico governante legale della Cina; Taiwan è una provincia della Cina che da tempo è stata riannessa alla madrepatria; la liberazione di Taiwan è una questione interna della Cina, nessun altro Paese ha il diritto d’interferire”. L’intento della RPC di “riunificare” Taiwan è chiaro, ma l’assenza di seri tentativi di invasione negli ultimi decenni attesta il rispetto di Pechino per l’esercito della Repubblica Cinese e la cautela di fronte alla prospettiva di un’escalation e dell’intervento degli Stati Uniti. In assenza di un’importante e autorevole rivalutazione del potere e della risolutezza americana, il potenziale coinvolgimento degli Stati Uniti continuerà probabilmente a dissuadere la RPC dall’intraprendere qualsiasi azione chiara come un’invasione attraverso lo Stretto. Tuttavia, gli analisti ritengono che Pechino abbia una serie di opzioni più praticabili per far avanzare la sua posizione al di sotto di tale soglia. E a differenza delle invasioni o dei blocchi di Taiwan, la RPC ha già preso il controllo con successo di isole al largo della Repubblica Cinese, come le isole Yijiangshan e Dachen nel 1955. I politici e gli strateghi di tutti i lati della politica a Taiwan, negli Stati Uniti e altrove devono considerare attentamente come potrebbero rispondere a tali contingenze. Pechino considera Taiwan una “provincia ribelle” da riportare sotto il suo controllo ed afferma che fa parte del suo territorio integrale da tempo immemorabile. La storia è più complessa. Fu incorporata in Cina solo durante la dinastia Qing nel 17° secolo, ma l’impero Qing controllava solo una parte dell’isola e non sembrava particolarmente interessato ad essa, cedendo Taiwan al Giappone dopo la guerra sino-giapponese nel 1895. Dopo la guerra civile cinese, che portò al trionfo dei comunisti nel 1949, il controllo di Taiwan cadde dalla parte dei perdenti, il Kuomintang (KMT), guidato dal nazionalista Chiang Kai-shek (che aveva rubato e portato con sé le riserve auree della Cina), che portò una nuova ondata di migranti, ma sottopose anche Taiwan al periodo dell’autoritarismo noto come Terrore Bianco. Taiwan è ora una democrazia di circa 23 milioni di abitanti riconosciuta ufficialmente da soli 12 piccoli Paesi.[]
  8. Sulle proposte cinesi per un nuovo ordine mondiale multipolare e multilaterale post-occidentale, si vedano i nostri articoli qui e qui; sul non allineamento dei Paesi del Sud del mondo alle posizioni degli Stati Uniti, si vedano i nostri articoli qui, qui, qui, qui, qui e qui.[]
  9. I tre pilastri della strategia di Biden nei confronti della Cina restano comunque ambigui. Il primo è “investire nelle basi della nostra forza in patria: la nostra competitività, la nostra innovazione, la nostra resilienza, la nostra democrazia“. Chi potrebbe non essere d’accordo con questa posizione politica? Il secondo pilastro è “allineare i nostri sforzi con la nostra rete di alleati e partner“. Infine, la strategia afferma che gli Stati Uniti “competeranno in modo responsabile con [la Cina] per difendere i nostri interessi e costruire la nostra visione per il futuro“. Questo è come dire che la strategia è avere una strategia. Biden afferma di non cercare “una nuova Guerra Fredda” con la Cina, ma piuttosto riafferma la politica americana di Una Cina e ha chiarito che Washington non sostiene l’indipendenza di Taiwan.[]
  10. Queste misure unilaterali – giustificate in base alla “sicurezza nazionale” – mirano a rallentare lo sviluppo economico cinese (che continua a crescere al ritmo annuale del 5%) e comprendono l’embargo sull’export di microchip e macchinari per produrli; l’esclusione delle imprese del 5G cinese dal mercato americano e occidentale; la prossima esclusione di TikTok dal mercato americano. Il New York Times ha pubblicato in questi giorni un articolo dal titolo rivelatore: “Le esportazioni cinesi sono in aumento. Preparatevi alla reazione globale”. Trump ha promesso di mettere dazi del 60% sui prodotti cinesi, mentre la Commissione Europea si prepara ad imporre dazi sulle auto elettriche cinesi per proteggere i produttori europei (l’accusa è di “sussidi pubblici illegali”). In ogni caso, le esportazioni cinesi nel Sud del mondo sono in aumento, più che compensando il forte calo delle spedizioni verso i mercati sviluppati tra cui Stati Uniti, UE e Giappone. Tutto questo avviene mentre le marine militari di Cina, Iran e Russia hanno iniziato esercitazioni congiunte nel Golfo di Oman (11-15 marzo), la quinta esercitazione militare comune negli ultimi anni, in coincidenza con l’acuirsi delle tensioni nella regione mentre la guerra di Israele contro Gaza infuria per il sesto mese e gli Houthi dello Yemen lanciano in risposta attacchi alle navi occidentali nel Mar Rosso.[]
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