Il rossoverde non è un ornamento
L’inserimento del nucleare e del metano nella tassonomia “verde” ci ricorda che ecologia e mercato sono termini antitetici. “Affidare” gli obiettivi climatici e della transizione ecologica ai meccanismi di mercato ottiene l’effetto inverso di quello dichiarato e che va addirittura oltre il “green washing”: si fa rientrare dalla porta ciò che decenni di battaglie ambientaliste avevano buttato dalla finestra. E questo succede nonostante l’ambiente entri, giustamente, in Costituzione.
La porta è quella della finanza che ormai si sta appropriando di tutti i beni comuni, dall’acqua alla conoscenza. È quella delle governance ademocratiche come una Commissione Europea che si permette di ignorare le opposizioni che si sono palesate. È quella degli accordi di scambio tra i grandi Stati e i grandi interessi, come quelli in corso tra Francia e Germania e tra nucleare e metano.
E così l’Italia che per due volte ha detto no al nucleare con referendum popolari se lo ritrova in casa con la complicità di un governo cui partecipano forze “progressiste” con cui per altro forze di sinistra e verdi dicono di volersi comunque alleare. E se lo ritrova mentre al governo del Paese guida di questa UE ci sono i verdi tedeschi.
E l’Italia si trova alla mercé delle lobby metanifere che l’hanno portata ad avere una enorme quantità di potenza elettrica installata grazie agli “aiuti” dati copiosamente agli “autoproduttori”, due terzi di contratti di approvvigionamento “spot” cioè a breve per speculare ed ora al contrario preda della speculazione e bollette con aumenti stratosferici. Vengono al pettine tutti i nodi di liberalizzazioni e privatizzazioni insensate. Della “trasformazione” delle municipalizzate in “multiutility” votate al profitto.
Ma anche l’acqua è sotto attacco delle borse e del decreto concorrenza del governo che vuole affossare anche il referendum per l’acqua pubblica.
La cementificazione in Italia ha livelli che non hanno pari in Europa essendo percentualmente doppia. Addirittura quattro volte più della media europea in pianura padana. Nonostante ciò la quantità di opere cementizie in via di realizzazione e proposte nelle aree urbane e nei territori è incalcolabile. Si va dall’assurdo progetto TAV, costato 4 volte la media mondiale a km delle alte velocità nel mondo, alle “rigenerazioni urbane” che ammantano di “città in 15 minuti, digitalizzazione, sostenibilità”, operazioni di pura rendita. Questo mentre siamo il Paese con le percentuali più basse in assoluto di edilizia pubblica e in affitto.
L’agricoltura di qualità italiana, la dieta mediterranea che rappresenterebbe una occasione straordinaria per il Sud, vengono schiacciate da politiche agroindustriali e commerciali asservite, con le liberalizzazioni, ai poteri del business.
Sostenibilità si è trasformata in una parola “tossica” perché avvelenata da ciò che copre e cioè la insostenibilità di un modello capitalistico ingiusto e dissipatorio dal punto di vista ambientale e sociale. Non a caso l’Italia è il Paese con più cemento e meno occupati e meno salari.
Sono trent’anni che le alternative a tutto ciò vengono proposte e “lottate” da movimenti di ogni forma, globale, nazionale, territoriale, per istanze. Oggi moltissimi sono giovanili. Nella Storia del Paese ci sono contributi fondamentali che dal dopoguerra hanno indicato strade diverse per lo “sviluppo” cimentandosi su tutti gli aspetti, il cosa, come e per chi produrre, le città, la salute, le campagne, il Sud. Così è anche oggi.
L’incontro tra queste culture e la sinistra è stato da sempre tema decisivo per le sorti del Paese ma possiamo dire del Mondo. Hanno pesato e frenato vecchie impostazioni “sviluppiste e industrialiste”.
Oggi questo incontro è diventato indispensabile di fronte a ciò che sta avvenendo, dalla pandemia al cambio climatico.
Questo incontro non può avvenire sul terreno del mercato. L’ambientalismo di mercato è oggi non una opportunità ma il rischio finale del “cavallo di Troia”. Il rossoverde non può essere l’abbellimento cromatico di questo cavallo di Troia.
Ciò vale anche per l’Europa che sempre di più affida le proprie politiche ambientali e climatiche al mercato ed alla finanza come nel caso della tassonomia verde.
Noi facciamo appello perché l’incontro tra l’ambiente e la giustizia sociale si realizzi sul solo terreno possibile, quello di una contestazione radicale del capitalismo e dei dominanti. E di una visione “altra”, che parte dagli “impoveriti”, uomini, donne, parti grandi del Pianeta, natura.
Tante sono le piattaforme che si muovono in questa direzione. Le molteplici esperienze che si ritrovano nella idea di una società della cura. Le proposte di un’Altra agenda contro quella dei dominanti.
L’idea di un ecosocialismo del ventunesimo secolo. Le riflessioni che sono cresciute un po’ ovunque. Dall’America Latina della sovranità alimentare e della pacha mama, agli USA del Green new deal, all’Asia di Vandana Shiva, alle giovani generazioni per la giustizia climatica di Greta Tumberg. Dai movimenti per l’acqua e per la biodiversità, alle migliaia di lotte territoriali.
Il rossoverde può essere il nuovo movimento reale che “abbatte lo stato di cose presenti”.
Ciò a cui non possiamo rassegnarci è che sia più facile immaginare la fine del Mondo che quella del capitalismo.
Non sono le idee e le proposte giuste che mancano, anzi vi è una ricchezza straordinaria. Che chiede una nuova grande soggettività sociale e politica, alternativa, capace di agire sulla dimensione europea e mondiale, per la quale ci vogliamo impegnare.