“Se l’arresto degli assassini avesse una funzione deterrente gli omicidi sarebbero scomparsi molto tempo fa” è quanto afferma il direttore della polizia dell’Attica nell’ultimo libro di Petros Markaris1. Non si tratta di un’affermazione rivoluzionaria ma di una constatazione, di una frase di buon senso, persino banale, perché è proprio l’elevato numero delle violazioni delle norme penali a dimostrare che codificare nuovi reati e aumentare le pene previste per quelli già disciplinati non è efficace in termini di prevenzione né primaria né secondaria2. E, allora, che si fa? Si insiste. Al governo sembra esserci infatti il barista di Ceccano interpretato da Nino Manfredi, quello del “Fusse che fusse la vorta bbona?”, perché con il “decreto Caivano” persevera – senza scaramanzia e senza ingenuità, ma animato da un populismo penale che determina un vero e proprio riflesso condizionato punitivo – nel dare lo stesso tipo di risposta a ogni episodio di cronaca3.
E la risposta è sbagliata nel metodo e nel merito. Nel metodo perché le politiche di giustizia – e particolarmente quelle penali – non si disegnano sull’onda della cronaca e men che meno con i decreti-legge. Nel merito sia perché le norme così introdotte sono inefficaci (cioè inidonee a raggiungere lo scopo di tutela per cui sono state introdotte) e quasi sempre inapplicabili (si pensi, per esempio, ai nuovi “reati universali”) sia perché non c’è alcun aumento di reati. Anzi, secondo i dati del Ministero dell’interno, se ne registra la diminuzione4. Tuttavia si persevera nel decretare d’urgenza in materia penale su materie proclamate come “emergenze” (rave, gestazione per altri, favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, …). Si sceglie di legiferare per comunicare che l’allarme sociale e l’indignazione (facili da sollevare e altrettanto facilmente archiviati) suscitati da quei comportamenti codificati come nuovi reati – o fatti materia di interventi di ordine pubblico – o da quei reati già previsti per i quali si aumentano le pene è preso in carico dal decisore politico, che in questo modo si fa interprete del sentire comune. Si sceglie, cioè, di intervenire per pacificare l’emozione suscitata dal più recente fatto di cronaca, perché farsi carico dell’analisi della complessità dei fenomeni e dell’elaborazione di misure capaci di incidere sui problemi richiede una visione a lungo termine e mal si concilia con la domanda di soluzioni prêt-à-porter quali sono le misure punitive.
Allora si intitola a un coacervo di problemi connessi e complessi (in questo caso il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità minorile) una serie di norme il cui scopo è, in realtà, soprattutto quello di mostrare i muscoli.
Al di là del titolo, infatti, nel “decreto Caivano”, stando al comunicato stampa del governo5, si rintracciano poche misure di carattere non penale. È previsto “un piano straordinario d’interventi infrastrutturali e di riqualificazione del territorio comunale”, di cui si dovrà valutare la portata e l’efficacia, innanzitutto in termini di maggiori opportunità e di miglioramento della qualità della vita per chi abita nell’agglomerato del Parco verde, la cui adozione è demandata al commissario straordinario per Caivano, nominato con lo stesso decreto (un dirigente della Polizia, tanto per dare un’impronta securitaria anche alle poche disposizioni non penali). Quali interventi non è dato sapere, se si fa eccezione per gli “specifici interventi urgenti di ripristino del centro sportivo ex Delphinia”, cioè del luogo in cui sarebbero state violentate le due bambine (l’uso del condizionale, in assenza di una sentenza di condanna definitiva, è d’obbligo, anche se io credo, per partito preso, a chi dice di aver subito una violenza sessuale, anche se non denuncia). Sarà lo sport a “salvare” le ragazze e i ragazzi del Parco verde dal “disagio giovanile”?
Nel decreto si prevedono anche misure per “rafforza[re] l’offerta educativa nelle scuole del meridione caratterizzate da alta dispersione scolastica, attraverso il potenziamento dell’organico dei docenti delle istituzioni scolastiche statali con maggiore disagio educativo”, incrementando di 6 milioni di euro il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF)6 “al fine di incentivare la presenza dei docenti nelle zone più disagiate, anche attraverso la valorizzazione dei docenti che permangono nella stessa istituzione scolastica garantendo la continuità didattica”. Insomma, un po’ più di soldi (ma davvero pochi) agli insegnanti che decidono di rimanere nello stesso istituto almeno 3 anni e che solo alla fine del triennio riceveranno il bonus.
Davvero poco per un titolo altisonante come “Disposizioni in materia di offerta educativa”. Niente sull’esercizio effettivo del diritto allo studio; nessuna risorsa per asili nido e tempo pieno a scuola; nemmeno una parola sul sostegno alle famiglie povere, la cui condizione determina quella di povertà materiale ed educativa dei minori; neanche un accenno all’educazione affettiva e sessuale. In effetti, il core di questa parte delle nuove disposizioni è il rafforzamento dei “meccanismi di controllo e verifica dell’adempimento dell’obbligo scolastico” e l’introduzione “di una nuova fattispecie di reato per i casi di elusione”. Dei meccanismi di controllo e verifica non si dice nulla, né si fa riferimento a ipotesi di prevenzione della dispersione e dell’elusione, ma si sceglie di usare la pena detentiva, prevedendo la reclusione fino a 2 anni per i genitori i cui figli non siano nemmeno iscritti a scuola e di 1 anno nel caso che non rispettino il numero minimo di giorni di frequenza. Inoltre, come se non bastasse mandarli in carcere, è previsto che perdano l’eventuale assegno di inclusione.
Tutto qui per quanto riguarda le misure urgenti di contrasto al disagio giovanile e alla povertà educativa.
La vera “ciccia” del decreto, infatti, è quella che va sotto il titolo “Contrasto dei reati commessi dai minori”, con la previsione di misure che ridisegnano lo speciale trattamento penale riservato ai minori di età compresa tra i 14 (soglia di imputabilità) e i 18 anni in ragione della loro diversa maturità, avvicinandolo a quello previsto per gli adulti7.
Ci sono poi misure di prevenzione, come il “daspo urbano”, cioè l’allontanamento obbligatorio da una città, che potrà essere applicato anche ai minori (era previsto solo per i maggiorenni) e la previsione “di ulteriori casi” nei quali il Questore può disporre obblighi di fare o non fare (presentarsi con una certa cadenza all’ufficio di polizia, non uscire in determinato orari ecc.)8. Inoltre, l’età per ricevere un avviso orale del Questore, un richiamo formale all’osservanza delle norme, viene abbassata dai 14 ai 12 anni (sotto la soglia di imputabilità) per i minori che abbiano commesso (o siano sospettati di aver commesso, perché in questo caso siamo fuori dall’ambito giurisdizionale) un reato per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore a 5 anni. Non è l’abbassamento della soglia di punibilità invocata dalla Lega, ma è uno spiraglio aperto in quella direzione, poiché di fatto anticipa la criminalizzazione, estendendola ai bambini che, per quanto possano posare da “duri”, tali sono.
Maria Pia Calemme
- Si veda la recensione che ne ha fatto Stefano Galieni ad agosto.[↩]
- Si pensi, solo per fare un esempio macroscopico, alla pena di morte: i Paesi che la prevedono e la eseguono, come gli Stati Uniti, hanno tassi di criminalità molto elevati. E, per venire all’Italia e alla cronaca anche recente, le norme del cosiddetto “Codice rosso” non sembrano aver avuto alcun effetto deterrente nei confronti degli autori di femminicidi.[↩]
- Si veda anche la recentissima proposta del coordinatore campano di Forza Italia, Martusciello, di introdurre nel codice penale un reato autonomo per punire “le stese”.[↩]
- Per il periodo 1° gennaio-31 luglio di quest’anno viene evidenziata, per esempio, una diminuzione della “delittuosità” complessiva di oltre il 5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: cfr. https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2023-08/dossier_viminale_ferragosto_2023.pdf, seppure con un lieve incremento dei reati contro il patrimonio.[↩]
- Il testo del decreto non è stato ancora pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale.[↩]
- Fondo unico per la retribuzione accessoria del personale docente ed ATA, cioè per le attività aggiuntive in favore degli alunni per corsi di recupero, incarichi specifici, funzioni strumentali all’offerta formativa, progetti nelle aree a forte rischio sociale, le ore eccedenti per le sostituzioni del personale ecc. La dotazione del fondo per l’a.s. 2023/24 è pari a poco più di 800 milioni, la stessa dell’anno precedente. L’incremento di 6 milioni, quindi, fa aumentare di circa lo 0,7% lo stanziamento.[↩]
- Si riduce da 5 a 3 anni la pena massima per i reati per i quali si consente l’accompagnamento presso gli uffici di polizia del minorenne colto in flagranza; si eleva da 4 a 5 anni la pena per il reato di spaccio di stupefacenti di lieve entità; si abbassa da 5 a 4 anni la soglia di applicabilità delle misure diverse dalla custodia cautelare; si abbassa da 9 anni a 6 anni la pena massima richiesta per disporre la custodia cautelare (cioè il carcere o la detenzione domiciliare quando si è ancora solo imputati, una vera e propria forma di anticipazione della pena), si prevede che la stessa possa essere disposta “anche per ulteriori e specifiche ipotesi (come il furto aggravato, i reati in materia di porto di armi od oggetti atti ad offendere, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, resistenza a un pubblico ufficiale, produzione e spaccio di stupefacenti)” e, in ogni caso, se il minore imputato in un procedimento penale “si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che si dia alla fuga”. Come a dire che la custodia cautelare verrà disposta quasi sempre, perché come si fa a stabilire con sicurezza che un imputato non si darà alla fuga? Chi vorrà correre il rischio di un’ispezione ministeriale se un minore non sottoposto a misura cautelare si dà alla fuga e magari commette un altro reato?[↩]
- Per chi infrange obblighi e divieti sono previsti l’innalzamento sia della pena detentiva (da 2 a 3 anni) sia di quella pecuniaria (da 20.000 a 24.000).[↩]
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Ben fatto, chiarissimo. Una mia amica che lavora in una casa circondariale dirigendo il settore trattamentale(che brutta parola) mi ha spiegato che in Italia non si mettono alla prova i provvedimenti presi per un periodo congruo, ma li si bypassano con indurimenti a ogni difficoltà vera o presunta che si presenti. Siamo d’accordo poi sul fatto che qualsiasi lavoro è pensato perché abbia soprattutto un volto punitivo, di un peccato originale da scontare, come dimostrano i provvedimenti presenti anche nel decreto Caivano. Ma non è tutta farina dell’ultimo governo, la scia che esce dal sacco è lunga