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Reti digitali, partecipazione e conflitti

di Roberto
Rosso

La creazione della rete digitale a banda larga, di cui si è discusso in termini di assetti finanziari e di controllo, di diffusione su scala nazionale della possibilità di connessione, costituisce indubbiamente un passaggio cruciale nei processi di trasformazione che investiranno il nostro paese nei prossimi anni, tutta via non ne determina di per sé i caratteri. Saremo ancora a fare i conti con le diseguaglianze profonde che caratterizzano il nostro paese, l’assenza di classi dirigenti degne di questo nome, il degrado sociale, economico e culturale degli ultimi decenni.

A proposito della Rete Unica a Banda Larga (anzi Banda Ultra Larga BUL) Antonello Patta ha ricostruito nel suo articolo([i]) su questo sito le vicende correlate della privatizzazione di Telecom e le manovre finanziarie che dovrebbero portare ad un nuovo assetto di controllo sulla rete.

“In questo modo Telecom manterrebbe la posizione privilegiata, già contestata dagli altri operatori fornitori di servizi agli utenti finali, in quanto loro concorrente commerciale e proprietario della rete, motivo per cui peraltro il codice europeo delle telecomunicazioni incentiva il modello cosiddetto Wolesale only (il proprietario delle reti non eroga servizi).

(,,,) Non sembra preoccupare l’esecutivo nemmeno il fatto che Telecom non è più una società italiana, ma vede circa l’80% delle azioni nelle mani di società estere tra cui Vivendì società francese che detiene il pacchetto di controllo e nel disegno del riassetto i capitali dall’estero sono destinati a salire anche perché Enel controllata dal tesoro metterebbe sul mercato il 50% di Open Fiber.

(…) Il governo, anche per superare le contraddizioni al suo interno tenta di eludere la questione affidando le possibilità di un ruolo pubblico ai risultati di complesse operazioni societarie e patti di sindacato che assegnerebbero a Cassa Depositi e Prestiti (CDP) la governance della società e la maggioranza nel Cda pur essendo minoranza nel Capita.”

Nel frattempo la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha stabilito che la legge italiana che impedisce a Vivendi di detenere il 28% del gruppo televisivo Mediaset è contraria al diritto dell’Unione, ha ulteriormente aperto i giochi[ii]. Di fronte al cambiamento delle regole Mediaset si dichiara interessata a partecipare alla nuova società di gestione della rete.

«Se cambiano le norme italiane in materia di concentrazione tra tv e telecomunicazioni, “Mediaset che in tutti questi anni è stata vincolata e penalizzata dal divieto valuterà con il massimo interesse ogni nuova opportunità in materia di business Tlc già a partire dai recenti sviluppi di sistema sulla Rete unica nazionale in fibra»

Un passo nel percorso di unificazione della gestione della rete BUL è la costituzione  della newco FiberCop  a cui verranno conferite la rete secondaria di Tim (dall’armadio di strada alle abitazioni dei clienti) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber [iii] In questa società entra il fondo americano Kkr Infrastructure che per 1,8 miliardi entra nella newco FiberCop con il 37,5%. Alla società aderiscono da subito Fastweb e Tiscali.

Il passaggio finale dovrebbe essere la fusione tra la rete gestita da Telecom e quella gestita da Open Fiber società controllata al 50% rispettivamente CDP e da ENEL. Rispettò all’unificazione finale non sono da sottovalutare le eventuali differenze esistenti sul piano delle soluzioni tecnologiche adottate.

Da questo groviglio di partecipazioni, di creazione di newco, di passaggio di pacchetti azionari, di cui vedremo l’esito non prima di un anno, non ricaviamo alcuna indicazione sulla strategia che guiderà la trasformazione digitale e tecnologica del nostro paese, Quanto la posizione di CDP nei consigli di amministrazione garantisca una direzione strategica del processo di digitalizzazione del paese è tutto da valutare. L’obiettivo resta quello di garantire la connessione in qualsiasi area del paese con garanzie diverse a seconda del contesto geografico. La ‘Strategia italiana per la banda ultralarga’ del 2015 (Documento del 3 marzo 2015 del Consiglio dei Ministri) prevede la suddivisione del territorio in 4 macro-areee (Cluster) dove viene garantita un velocità di connessione a 100 o 30 Mbps .

La richiesta che la ‘mano pubblica’, nel caso specifico della rete BUL individuata nella CDP, orienti il processo di trasformazione del nostro paese dipende dall’esistenza o meno di una progettazione ed azione strategica, di cui peraltro nei documenti prodotti negli ultimi anni esistono delle tracce: ci sarebbe stupiti del contrario vista l’evidente necessità di una tale strategia. Il dubbio nasce tuttavia da altre considerazioni, vale a dire dalla mancanza di teste e gambe per una strategia di cambiamento radicale del nostro paese, affondato da decenni in uno stato di stagnazione, dove l’esistenza di poli di innovazione e trasformazione, presenti a macchia di leopardo nel territorio nazionale, non ha modificato in modo sostanziale il suo stato generale. In altri termini quali classi dirigenti, espressione di un blocco sociale, economico, politico e culturale, sono in grado di gestire questo passaggio? Con tutte la complessità, le soluzioni di continuità ed i conflitti del caso.

Il digitale in tutte le sue accezioni assurge a paradigma e fondamento di ogni processo di innovazione, comunque orientato, il diritto alla connessione diventa uno dei fondamenti dei diritti di cittadinanza. L’esercizio della democrazia, visto nelle sue articolazioni profonde nel corpo della società, non è pensabile senza il libero, immediato e pieno accesso all’informazione, ai dati prodotti dalle pubbliche amministrazioni ed in generale a quelle informazioni di interesse pubblico, a difesa dell’integrità delle persone e delle collettività, che definiscono la natura di qualsiasi prodotto o servizio. Il diritto all’informazione riguarda quindi soggetti individuali e collettivi, visti nella loro partecipazione attiva ed anche conflittuale al governo della società, non in quanto recettori passivi di comunicazioni determinate dall’alto, eterodirette secondo il modello di una perenne campagna elettorale. Ciò richiede l’innalzamento del livello culturale di ogni cittadino, di ogni comunità e strato sociale. 

Il diritto all’informazione è l’esercizio attivo di un diritto -come in realtà è per ogni diritto- e rimanda ai processi educativi e formativi, istituzionali, formali ed informali che ne sono alla base. Il ruolo di agenzie private nel governo dell’informazione nella capacità di costruire e veicolare senso, emozioni sentimenti, giudizi e orientamenti richiedono una innovazione delle forme di partecipazione, confronto e condivisione della conoscenza quanto e forse più radicali della rivoluzione tecnologica che ci investe in modo permanente.

La diffusione capillare della rete digitale nel nostro paese fa i conti con la straordinaria articolazione del suo territorio, con le differenze di reddito e cultura, sociali ed economiche, che in questa articolazione si sono insediate, prodotte e riprodotte.

La questione ambientale e climatica, la diffusa e crescente rottura degli equilibri idrogeologici, l’abbandono delle aree interne e marginali, il mancato adeguamento degli insediamenti al rischio sismico richiedono un ripensamento del ‘modello di sviluppo’ (mi si passi il termine) nel senso che è il sistema complessivo delle relazioni tra territori diversi, nelle loro specificità economiche, sociali ed ambientali, a dover essere ripensato. 

La diffusione capillare della rete, delle opportunità di connessione e scambio di informazioni, di per sé non garantisce il superamento delle diseguaglianze. Pensiamo solo all’accesso alle cure ed ai servizi sanitari, dove la possibilità di un ‘triage’ a distanza o la trasmissione di parametri personali in via telematica non sostituiscono la diffusione capillare dei servizi e dei punti di cura. 

Il fenomeno pandemico che ha investito globalmente tutti i paesi, nel nostro ha colpito duramente una struttura sociale economica resa fragile da decenni di stagnazione, con l’arrivo dei fondi del Recovery Fund questa situazione viene vista come la grande occasione per una azione di rottura di questa situazione di stagnazione, per un rivolgimento generale dei rapporti sociali e produttivi, ciò rimanda ancora una volta all’assenza di soggetti in grado di avviare e governare lo svolgimento di questo passaggio cruciale. La possibilità di intervenire nelle scelte che in questo contesto verranno operate da parte della totalità dei soggetti sociali richiede che essi siano messi in grado di conoscere, deliberare ed agire, per fare questo devono essere liberati da stati di indigenza che impediscono qualsiasi attività che non sia la ricerca dei mezzi di sussistenza.

Oggi il diritto ad una vita dignitosa, l’esercizio della totalità dei propri diritti, la possibilità di partecipare alle decisioni che determineranno cambiamenti radicali nella vita di ognuno, passa er una garanzia di reddito che è fondamento di una vera libertà di una effettiva potestà di partecipazione e decisione.

Siamo arrivati così ‘per li rami’ da una riflessione sulla rete digitale come ‘sistema nervoso’ della società e dei suoi processi trasformativi alla considerazione di ciò che rende i cittadini realmente liberi dotati di effettivo potere decisionale ovvero alle articolazioni necessarie degli assetti istituzionali e di potere, che non si risolvono nella pur necessaria definizione degli organi rappresentativi che legiferano per il paese, ma riguardano invece dispositivi di partecipazione articolati ad ogni liveelo e lugo della società, laddove il digitale diventa genera nuove possibilità di partecipazione, ma certo non le garantisce e dove non Vle semplicemente il principio secondo cui ‘uno vale uno’ , ma dove l’uno si confronta, si organizza ed anche confligge con l’altro, si riconosce nelle differenze dell’altro, costruendo una molteplicità di ‘noi’.


[i] https://transform-italia.it/rete-unica-il-disastro-telecom-non-ha-insegnato-nulla/

[ii] https://www.ilsole24ore.com/art/mediaset-corte-ue-boccia-norme-che-congelano-quota-vivendi-AD9oqvm  

[iii] Flash Fiber è un’azienda partecipata all’80% da TIM e al 20% da Fastweb, nata nel 2016 con l’obiettivo di realizzare o completare reti in FTTH in 29 città italiane entro il 2020.Flash Fiber è un operatore wholesale-only, e cioè di vendita all’ingrosso. Per poter attivare una linea su rete Flash Fiber bisogna quindi rivolgersi a un operatore al dettaglio come TIM, Fastweb o altri operatori che ne rivendono la rete.

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