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Responsabile sì, ma per cambiare il mondo non per tornare a quello di prima

di Nicoletta
Pirotta

Siamo immersi in quella che viene chiamata, erroneamente, seconda ondata del contagio.

È un errore parlare di seconda ondata perché come spiega Roberto Cauda, ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma “non c’è mai stato un calo di contagi tale da far credere che il virus fosse scomparso. Il virus non è ricomparso, semplicemente non se n’è mai andato”.

Il virus cammina sulle gambe delle persone e quindi il periodo di chiusura ne ha limitato la diffusione ma non la sparizione.

Quello che è cambiato, oggi, sono comportamenti e stati d’animo. Mentre al manifestarsi del contagio chi ha avuto la fortuna di non ammalarsi, di non subire lutti e di non perdere il posto di lavoro ha vissuto il lockdown come un’esperienza di sacrificio, limitata nel tempo, che avrebbe permesso di uscire dal tunnel, oggi prevale lo smarrimento e l’incertezza sul futuro. Come sottolinea lo psichiatra Claudio Mencacci in un’intervista all’Huff Post, “lo sconforto è dietro l’angolo”. Si diffondono paura, negazione e rabbia che vengono sperimentate ormai quotidianamente da una popolazione alle prese con le nuove misure di contenimento del virus tempestata da messaggi confusi, ridondanti e spesso contraddittori.

In un simile contesto non ha certo aiutato l’approccio iniziale del governo che, di fronte all’aumento dei contagi e diversamente da come aveva fatto all’insorgenza del virus, ha invitato alla responsabilità individuale chiedendo autodisciplina. Un’autodisciplina di dubbia efficacia in ragione di quanto si diceva poco sopra rispetto agli stati d’animo delle persone e per nulla sostenuta dal dibattito pubblico che al posto di caratterizzarsi su un reale e proficuo confronto per far comprendere la complessità della situazione, ha continuato ad avvitarsi in scontri tra opposte tifoserie.

Un’autodisciplina di dubbia efficacia anche perché il mondo di prima della pandemia non era certo il migliore dei mondi possibili. Veniamo da anni nei quali molti milioni di persone hanno avuto meno diritti, li hanno perduti, o peggio, non li hanno mai sperimentati, la precarizzazione del lavoro e della vita ha raggiunto livelli insopportabili, le gerarchie che esistono nel corpo sociale si sono acuite dando origine ad ingiustizie e violenze dentro un modello di società fondato su individui reciprocamente indifferenti nel quale ci si incontra e ci si riconosce, quasi esclusivamente, nella dimensione del mercato.

Non ritengo che il richiamo alla responsabilità individuale sia di per sé sbagliato ma per essere efficace credo non debba rinchiudersi in un’autodisciplina finalizzata alla diminuzione dei contagi per ritornare al mondo di prima.

Credo al contrario che la responsabilità, al tempo stesso individuale e collettiva, sia quella di prendere coscienza della necessità di un cambiamento profondo delle strutture economiche, sociali e personali per rendere possibile un mondo nel quale si possa trovare senso, solidarietà ed accoglienza.

La pandemia, pur nella tragedia che si porta appresso, può essere un momento di grande insegnamento, come scrive il teologo Vito Mancuso, se si riscoprirà il desiderio di vita e di giustizia non abbandonandosi al nichilismo che porta a concludere, in modo assoluto, che il mondo è insensato e la realtà spietata.

E del resto, pur se una martellante campagna di stampa non parla d’altro che della drammatica crescita dei contagi, in Italia e nel mondo si intravedono barlumi di altri mondi possibili che non vengono sufficientemente diffusi dal mainstrem dell’informazione. Perchè fa più comodo diffondere ansia e paura.

Durante il lockdown, come ha illustrato Marie Moise presentando un’inchiesta della rivista Jacobin nella giornata di studi organizzata dallo spazio autogestito di Rimake, centinaia di attiviste/i in ogni parte d’Italia hanno dato vita ad esperienze di solidarietà e neo-mutualismo per aiutare e sostenere le persone più fragile ed impoverite, provando a costruire collettivamente una risposta ai bisogni che ha in sé una potenziale valenza trasformativa.

Moltissime realtà sociali e di movimento partecipano, anche in Italia, al percorso di convergenza “Per la società della cura“ contrapposta a quella del profitto ed hanno condivisoi un Manifesto nel quale sta scritto che “Niente può essere più come prima, per il semplice motivo che è stato proprio il prima a causare il disastro. Oggi più che mai, ad un sistema che tutto subordina all’economia del profitto, dobbiamo contrapporre la costruzione di una società della cura, che sia cura di sé, dell’altr*, dell’ambiente, del vivente, della casa comune e delle generazioni che verranno”. L’invito della convergenza è quello di manifestare il 21 novembre prossimo (si veda su FB la pagina dedicata) per rendere visibili prospettive e proposte.

Da un capo all’altro del mondo si agiscono conflitti per affermare diritti e democrazia.

In Cile a stragrande maggioranza ha deciso con uno storico referendum di darsi una nuova Costituzione e cancellare (finalmente) quella ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet. Il popolo cileno ha votato a stragrande maggioranza (oltre il 78% dei voti) per una nuova Carta Costituente. La stesura della nuova Magna Carta sarà affidata a una ‘Convenzione costituente’ (votata con il 79% del consenso) che sarà composta interamente da cittadini, 155 persone elette con voto popolare proprio a tale scopo. Una grande lezione di democrazia!

La Polonia è attraversata da manifestazioni oceaniche organizzate dai movimenti femministi per impedire il peggioramento di una legge già pessima sul diritto all’aborto. Pur dentro la pandemia che investe pesantemente anche la Polonia, donne ed uomini manifestano non perché siano irresponsabili o velleitari ma perché si rendono conto che serve una risposta forte e decisa all’attacco al diritto delle donne all’autodeterminazione ed alla libertà di scelta sul loro corpo perché è un attacco ai diritti di tutti.

Ecco io credo che diffondere su larga scala notizie di questa natura, pur dentro una situazione complicata, aiuterebbe non solo a vivere il difficile presente con uno spirito meno inquieto ma contribuirebbe a dimostrare che conflitto e cambiamento sono possibili anche dentro una pandemia che sembra non dare respiro.

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