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Resistenza popolare antinazista in Unione Sovietica (Seconda parte)

di Luciano
Beolchi

Le fonti storiografiche occidentali tendono a sminuire l’importanza del ruolo dell’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale e questo include anche il movimento partigiano che per la stragrande maggioranza dei cittadini russi ha ancora oggi il titolo di quarta forza dell’Armata Rossa, ma che fu oggetto anche ai tempi dell’Unione Sovietica di critiche da parte di ambienti militari che non volevano condividere con il Comando Centrale del Movimento Partigiano la gloria della vittoria. Polemiche del resto all’ordine del giorno in qualsiasi esercito di qualsiasi paese.

Importanza strategica del movimento partigiano sovietico

Lo storico militare britannico J.F.C. Fuller[1] ha paragonato la resistenza sovietica per l’efficacia e la paura instillata nel nemico alla guerra sottomarina e ai branchi di lupi che, combattendo le battaglie dell’Atlantico, furono vicini a provocare il collasso economico della Gran Bretagna.

Gli storici occidentali successivi sostennero in genere che nella strategia sovietica le formazioni partigiane servivano più a intimidire la popolazione delle aree occupate che a combattere i tedeschi. Giudicano che i rapporti, tanto tedeschi che sovietici sono esagerati, che l’armamento, il comando e il controllo erano molto poveri e non in grado di infliggere perdite serie al nemico.

A contraddirli basterebbe la direttiva di Hitler del 18 agosto 1942 “Le bande nell’Est sono diventate una insopportabile minaccia negli ultimi tempi e stanno seriamente minacciando la linea dei rifornimenti al fronte”. Diede perciò ordine che il movimento partigiano fosse debellato prima dell’inverno 1942-1943, ordinando precisamente all’OKH d’intensificare la guerra anti-partigiana nei territori occupati. Insistette perché una parte dell’esercito tedesco di riserva fin dalla fase di addestramento fosse trasferito all’Est e impiegato come forza anti-partigiana anche al fine di completare quell’addestramento.

All’inizio della primavera del 1942, i tedeschi avevano già avuto sul fronte orientale 1.005.636 caduti, circa il 31% degli effettivi impiegati; senza contare le centinaia di migliaia di ungheresi, italiani e rumeni – per non citare che i principali alleati –; e poi i dispersi e i prigionieri. È probabile che la resistenza partigiana non abbia contribuito in misura elevata a perdite così cospicue; d’altra parte non era questa la sua missione principale che era invece quella di danneggiare i trasporti e impedire i rifornimenti al fronte; controllare vaste aree e proteggere la popolazione da rappresaglie e deportazioni di massa[2], impedire che l’esercito tedesco e le autorità di occupazione saccheggiassero il territorio per rifornire di vettovaglie, legname e materie prime sia l’esercito occupante che la popolazione tedesca in patria, come era stato calcolato; avviare i coscritti al di là del fronte perché venissero arruolati nell’Armata Rossa; inviare quando possibile derrate e rifornimenti (in particolare a Leningrado e dietro il fronte del Gruppo d’Armate Centro), costruire una rete di raccolta d’informazioni e trasferirle rapidamente ed efficacemente all’Armata Rossa, collaborare con essa nelle operazioni offensive, distruggere depositi e officine di riparazione, anche attraverso raid di centinaia di chilometri che furono una delle specialità di quel movimento di resistenza.

Consolidamento della strategia partigiana

Questi obiettivi strategici furono chiari fino dal primo discorso di Stalin del 3 luglio 1941, quello che comincia con la famosa allocuzione Tovarisci, Gospadà, Bratja i Siöstry (Compagni, cittadini, fratelle e sorelle) una parte importante del quale fu dedicata alla guerra partigiana nei territori occupati.

Gli obiettivi principali del movimento partigiano furono indicati dalla Direttiva 624 del Narkom e del CC del PCUS “Organizzazione di partito e sovietiche nelle regioni di prima linea” del 29 giugno 1941; e dalla Risoluzione del PCUS(b) del 18 luglio 1941 “Sull’organizzazione della lotta nelle retrovie delle truppe tedesche”. Le stesse direttive furono precisate attraverso il decreto del Narkom n. 00184 del 5 settembre 1942 “Sui compiti del movimento partigiano”.

La strategia partigiana fu precisata fino dall’inizio, ma il consolidamento organizzativo non corrispose agli obiettivi strategici se non a partire dalla creazione del Comando centrale del Movimento partigiano nel maggio 1942 e anche dopo quella data furono commessi degli errori.

Alcuni di questi errori furono imputati a Beria che come Commissario degli Affari Interni aveva reclamato per sé, sotto la direzione di Machljs e di Sudoplatov, la gestione delle attività di sabotaggio, versione assai riduttiva della guerra partigiana di resistenza. A lui si attribuirono ad esempio la riluttanza a mettere le forze partigiane sotto un comando unificato e indipendente, decisione che fu avviata solo nel maggio 1942 con la creazione del Comitato Centrale del Movimento Partigiano. Gli ufficiali dell’NKVD – per tutti ancora “i cekisti” – non erano addestrati per la guerra partigiana di massa che poi si sviluppò, ma solo per azioni di sabotaggio.

Solo il 30 maggio 1942 fu istituito il Quartiere Generale Centrale del Movimento Partigiano, di cui – dal 1942 al 1944 – fu a capo P.K. Ponomarenko.

L’unità base delle forze partigiane era il distaccamento (Otrjad) che contava diverse decine di combattenti e più avanti anche 200. Più distaccamenti andavano a formare le Brigate (Brigady) che potevano contare diverse centinaia e in qualche caso migliaia di combattenti.

In linea di massima erano forniti di armi leggere e solo in qualche caso di artiglieria.

Nel 1941-1942, il tasso di perdite tra gli agenti del NKVD rimasti o inviati dietro le linee nemiche fu del 93%. In particolare, in Ucraina, dall’inizio della guerra fino all’estate 1942, furono impiegati due reggimenti partigiani e 1.565 distaccamenti e gruppi[3] dei quali, al 15 giugno 1942, solo 100 si mantenevano in contatto, dimostrando l’inefficienza della grande unità, in particolare nella zona della steppa. Alla fine della guerra il tasso di perdite nelle unità partigiane era calato al 10%.

Ricostituzione del Partito Comunista nelle zone occupate [4]

Parallelamente all’organizzazione del Movimento Partigiano il CC del PCUS (b) prese l’iniziativa di costituire un Partito Comunista Clandestino nelle regioni occupate, su una base uniforme e centralizzata. I primi tentativi condotti sulla base del modello d’anteguerra furono scoordinate e insoddisfacenti.

Comunque, a inizio 1943, l’organizzazione clandestina del partito era stata completamente rinnovata [anche perché la durata media di un comitato distrettuale cittadino era di circa sei mesi prima che venisse scoperto dal nemico].

La spirito di sacrificio dei militanti comunisti fu grande, anche perché secondo disposizioni militari e politiche tedesche mai cancellate, l’appartenenza a un’organizzazione comunista si pagava con la vita, sia per i militari che per i civili.

L’organizzazione del Partito Clandestino rifletteva lo schieramento dell’Armata Rossa al fronte.

I “centri” territoriali di partito – Comitato Centrale del Partito Comunista nelle aree occupate – furono ricostituiti come Quartier Generale Operativo, ciascuno contrapposto a un Fronte, senza riguardo per quella che precedentemente era stata l’organizzazione distrettuale.

Ciascuno di questi comitati centrali nelle zone occupate dipendeva direttamente dal CC del PCUS (mentre le formazioni militari ricevevano gli ordini dal Quartiere Generale Centrale del Movimento Partigiano). I Comitati Centrali nelle zone occupate esercitavano il controllo su tutte le organizzazioni di partito del loro settore, attraverso un certo numero di comitati di distretto. A loro volta, i comitati di distretto, specie in zone di particolare rilevanza per la produzione agricola o industriale erano ulteriormente articolati in cellule, costituite da un certo numero di blocchi che erano poi le vere cellule di base del partito.

Un blocco generalmente comprendeva un villaggio, un quartiere di una città, un kolkoz o un sovkos, una piccola fabbrica, etc.

Ai comitati distrettuali era affidata anzitutto la missione di fare ogni sforzo per ridurre la presa della autorità occupante sulla popolazione agendo essa stessa per quanto e fin dove fosse possibile, come struttura amministrativa sovietica alternativa; nello stesso tempo dover dare ogni possibile aiuto al Movimento Partigiano.

In questo senso le principali attività dei comitati clandestini di partito consistevano nel creare e sviluppare l’organizzazione del Konsomol e del Partito nelle aziende agricole, nei villaggi e nelle formazioni partigiane già esistenti contribuendo a tenere alto il morale della popolazione.

L’agitazione e la propaganda tra la popolazione civile e nelle formazioni partigiane; il mantenimento della leadership nel movimento stesso; l’arruolamento di combattenti per le formazioni partigiane e il rifornimento delle stesse, la protezione della popolazione e la lotta ai collaborazionisti, l’attività costante per la raccolta d’informazioni sul nemico e sulle minacce che gravavano sulla formazioni partigiane e sulla popolazione, nonché tutte le informazioni utili all’armata rossa, la preparazione per un’insurrezione generale erano i compiti prioritari dei comitati distrettuali.

A queste attività cooperavano strettamente con i Gruppi Operativi Partigiani, sorta di collegamento con le unità combattenti.

La collaborazione tra i due organismi si estendeva dall’arruolamento di nuove reclute per le bande, l’assegnazione di missioni di combattimento alle bande in caso di interruzione delle comunicazioni tra le bande e i gruppi operativi e le armate; promozioni e destituzione nei ranghi delle unità combattenti anche a livello di brigate di unità minori; procurare cibo, vestiti [armi], medicinali e mezzi di trasporto per le bande.

Comitati antifascisti

Una forma particolare di organizzazione sorta durante la guerra furono i Comitati antifascisti, intesi soprattutto come organi politici e di propaganda, non come unità amministrativa. In sostanza, questi comitati lavoravano in parallelo alla rete dei comitati di distretto e di regione del Partito Comunista nelle aree annesse all’URSS nel 1939-40: Bielorussia occidentale, Ucraina occidentale e Stati baltici.

Per certi aspetti assomigliano ai comitati antifascisti ebraici e femminili istituiti in URSS e all’estero durante la guerra, nonché ai “Fronti della Patria” e ai “Fronti Uniti” creati in altri paesi occupati dai nazisti. Il progetto di istituire tali organismi sembra sia nato all’inizio della guerra. Stando ai resoconti sovietici, il Partito comunista bielorusso inviò degli organizzatori nell’Oblast’ di Brest nell’agosto 1941 e questi all’inizio del 1942 riuscirono a creare un’organizzazione locale e in aprile formarono il “Comitato antifascista dell’Oblast per la lotta contro gli occupanti tedeschi”, il cui ufficio centrale consisteva in una Segreteria, una Sezione speciale, una Sezione di agitazione e propaganda e una Sezione di formazione. Il suo raggio d’azione è suggerito dal fatto che pubblicava volantini in tedesco e in polacco, oltre che in russo.

Allo stesso modo, negli Oblast di Vileika, Baranoviche e Bialystok, nel 1942-44 sorsero altri comitati antifascisti.  In questi ultimi due casi come a Brest, i comitati antifascisti pubblicavano propri giornali e volantini oltre a quelli pubblicati dal Partito. A Vileika, si legge in un resoconto sovietico, la loro organizzazione fu sollecitata dell’obkom del Partito a partire dall’agosto 1942. Nel novembre 1943, si presume che esistessero 100 cellule di questo tipo, compresi i gruppi giovanili. I comitati svolgevano anche operazioni specifiche in collaborazione con la clandestinità e i partigiani. Un Comitato antifascista avrebbe sequestrato e consegnato vivo ai partigiani il primo vicesindaco di Baranoviche, tale Ruzak; altri svolsero compiti di sabotaggio. Nell’aprile del 1944, quando i partigiani erano pronti a sferrare colpi a tutto campo in collaborazione con l’Armata Rossa in avanzata, almeno alcuni dei Comitati antifascisti furono trasformati in distaccamenti partigiani regolari. La stessa creazione dei comitati antifascisti è indicativa di una certa flessibilità delle autorità sovietiche nel riconoscere che le “nuove” aree richiedevano un approccio più sottile di quello richiesto nelle regioni “sovietizzate” e che il sostegno popolare doveva essere cercato con mezzi che costituivano una tipica, anche se non unica, concessione e una temporanea deviazione dalle procedure standard.

Riorganizzazione del Movimento Partigiano

Nella fase iniziale del Movimento Partigiano si erano costituite le seguenti formazioni: gruppi di sbandati dell’Armata Rossa, gruppi di paracadutisti sabotatori lanciati dietro la linea; battaglioni di annientamento costituiti prima dell’occupazione per distruggere quanto l’Armata Rossa non riusciva a distruggere e che continuavano a perseguire lo stesso obiettivo una volta che lo spostamento del fronte li lasciava in territorio occupato; battaglioni di combattimento alla macchia costituiti sotto l’indicazione e la guida del Partito Comunista; piccole unità di sabotatori, in genere ufficiali dell’NKVD, ma non solo, incaricati di attentati dinamitardi, di sabotaggio ed esecuzioni di collaborazionisti.

Secondo Cooper[5], che al tempo della guerra fredda scrisse per l’esercito americano una serie di saggi interamente ricavati da fonti militari tedesche, dopo Stalingrado il Quartier Generale del Movimento Partigiano emerse come una quarta forza armata. Il suo compito era quello di appoggiare l’Armata Rossa. ma era anche di dare fiducia e speranza alla popolazione e di contendere ai tedeschi il controllo delle regioni occupate; e in questo senso il suo mandato discendeva direttamente dal CC del PCUS di cui Ponomarenko faceva parte. La sua struttura era organizzata come quella dell’Armata Rossa secondo linee organizzative convenzionali con sezione del personale, intelligence, operazioni e rifornimenti. In più, c’era una sezione per la sicurezza politica diretta da un ufficiale dell’NKVD e sezioni speciali per la crittografia, i trasporti, gli esplosivi, le trasmissioni.

Direttamente sotto il Quartier generale Centrale c’erano i Comandi territoriali: la RSS karelo-finnica; l’area di Leningrado; Estonia, Lettonia, Lituania; il Fronte di Kalinin; la Repubblica Bielorussia; la RSFSRC con incluse Kursk, Smolensk; la SSR Ucraina, la SSR di Crimea e il Caucaso.

Con una sola eccezione i capi di questi organismi erano tutti comunisti (membri del partito o ufficiali dell’NKVD). Secondo Cooper però questi “Comandi” non comandavano, non costituivano cioè un gradino nella catena di comando. La vera linea di comando – a suo giudizio -passava per i comandi locali corrispettivi ai fronti dell’Armata Rossa e, sotto di questi, per i Gruppi Operativi inseriti nel Quartier Generale di ciascuna armata del fronte. Oltre la linea del fronte e controllate ciascuna da un gruppo operativo partigiano distaccato presso l’Armata, c’erano i Gruppi Operativi nelle retrovie del nemico che esercitavano il comando sulle brigate e sui battaglioni; erano responsabili di reclutamento e addestramento; ricevevano regolari rapporti sui risultati delle missioni, la forza dei reparti e la posizione; ed erano responsabili della disciplina.

Per quanto collaborassero strettamente con le Armate e i Fronti gli staff centrali e i gruppi operativi oltre le linee non erano sotto la direzione militare dell’Armata Rossa: gli ordini arrivavano dal Quartiere Generale Centrale del Movimento Partigiano e solo da lì.

In caso di offensiva fortunata i reparti partigiani non venivano assorbiti nell’Armata Rossa. Avevano invece l’ordine di spostarsi ad Ovest in maniera da restare sempre dietro le linee nemiche.

A sottolineare la peculiarità della posizione politica della formazione partigiana, quando nell’Armata Rossa furono tolte al Commissario politico gran parte delle sue prerogative militari, il Commissario politico delle unità partigiane restò co-comandante al fianco del comandante tattico.

Il Quartiere Generale Centrale aveva l’autorità di modificare l’organizzazione partigiana e di inviare dietro le linee unità speciali senza doverne informare l’Armata Rossa.

Questa era l’organizzazione, per lo meno sulla carta.

La popolazione

Nel suo libro[6] il giornalista inglese Alexander Werth ricorda che nell’agosto del 1944 era in vendita a Mosca un volume di formato tascabile di 430 pagine, La guida del partigiano. C’erano illustrazioni precise, spesso con disegni esplicativi sulle principali “norme tattiche della guerra partigiana, sulla distruzione di carri e aerei nemici, sulla guerra ferroviaria, sulla ricognizione, sugli accampamenti e i mascheramenti”. L’appendice conteneva una fraseologia russo-tedesca: Halt! Waffen hinlegen! Ergieb dich! Raus aus dem wagen! Bei Fluchtversuch wird gerschossen!

E ancora: Sie lügen! No befenden sich Deutsche Truppen? Wo sind minen galegt?[7]

L’impressione superficiale che il libro poteva destare nel lettore non smaliziato era che quella del partigiano fosse una bella vita e che il partigiano medesimo fosse una specie di boy scout con coscienza di classe e che mangiare un cesto di muschio e corteccia, in mancanza di meglio, fosse anche salubre.

La guerra partigiana nel territorio occupato cominciò in pratica il giorno stesso dell’invasione, quando i primi reparti furono tagliati fuori e i soldati si sbandarono in piccoli gruppi dietro le spalle del nemico. Il 3 luglio 1941, nel discorso già citato, Stalin fece appello tra l’altro a una guerra partigiana nelle retrovie nemiche, entrando fin d’allora nel dettaglio: attaccare le linee di comunicazione, distruggere gli apparati produttivi al servizio del nemico, attaccarlo, sostenere la popolazione. Il 18 luglio il Comitato Centrale del PCUS emanò il decreto dove spiegava come nelle retrovie, fosse indispensabile “creare all’invasore condizioni insopportabili, disorganizzare le comunicazioni, i trasporti”, e faceva appello alla “organizzazione clandestina sovietica” nei territori occupati.

I saggi storici sovietici degli anni Sessanta tendevano a sottolineare il ruolo decisivo del Partito, partendo dal Comitato Centrale di Mosca e arrivando al ricostituito Partito Comunista nelle zone occupate con i suoi Comitati regionali (obkom: se ne costituirono 9) a quelli distrettuali (rajkom. Se ne contarono 147) clandestini, sino ai comandanti militari membri del partito e ovviamente dei commissari politici.

Il 1942 vide comunque il sorgere delle regioni partigiane, partijanskie kiraja, dove i partigiani avevano ristabilito il regime sovietico. Nella provincia di Orël circa 18.000 partigiani divisi in 54 distaccamenti controllavano un territorio con 540 villaggi; e 490 ne controllavano nella regione a Sud di Leningrado con 72 distaccamenti. E dunque le regioni settentrionali e boscose dell’Ucraina, la Bielorussia (liberata al 60%), la foresta di Briansk, la provincia di Orël.

A metà del 1942 si cominciarono a costruire piste di atterraggio e ad accumulare riserve.

Se in Francia ci fu un Oradour e in Cecoslovacchia una Lidice e in Italia Marzabotto, in Russia le Marzabotto furono migliaia. Se all’inizio dell’occupazione si cercò di imporre alla popolazione la strategia del terrore, alla fine, con l’esercito tedesco in ritirata gli alti comandi ordinarono di fare terra bruciata, che nell’accezione tedesca non significava solo distruzione dei ponti, delle vie di comunicazione, delle infrastrutture e degli edifici pubblici, delle fabbriche e dei raccolti, ma – se ce n’era tempo – deportazione forzata degli abitanti maschi e fucilazione e impiccagione degli altri. L’armata rossa nella sua avanzata incontrava centinaia di villaggi distrutti in cui non c’erano più superstiti. Indubbiamente molti combattenti se ne ricordarono quando arrivarono in Germania, nel 1945. Lo stesso accadeva quando i partigiani erano costretti a smobilitare da una zona libera. Quando i partigiani furono costretti a ritirarsi dalla zona libera di Osveja (marzo 1943, nella Bielorussia settentrionale) e poi vi ritornarono, 158 villaggi erano stati dati alle fiamme, gli uomini atti al lavoro deportati, tutti gli altri ammazzati. Cadaveri ovunque.

Tremende erano le condizioni di vita tra i partigiani soprattutto per la mancanza di cibo, di armi e di medicinali e per il freddo. La maggior parte dei medici partigiani erano ebrei.

Le operazioni anti-partigiane furono condotte in massima parte dalla Wehrmacht, dalle SS, dall’SD e dalle polizie collaborazioniste mentre gli Einsatzgruppen si dedicavano allo sterminio di ebrei, comunisti e zingari.

Rudnev, il commissario e vice del Comandante Kovpak, eroe dell’Unione Sovietica e uno dei più famosi comandanti partigiani ucraini scrisse:

“I miei nervi sono così tesi che in questi giorni non mangio quasi nulla. Poiché qui c’è un intreccio politico che bisogna pensare bene, uccidere è una cosa molto facile da fare, ma bisogna fare in modo di evitarlo. I nazionalisti sono nostri nemici ma stanno combattendo i tedeschi. È lì che bisogna manovrare e pensare”.

La guerra dei binari, 1942-1944

Se Hitler era già in allarme nell’agosto 1942, di sicuro la sua preoccupazione aumentò quando il comando Partigiano Centrale lanciò l’offensiva strategica nota come Rel’solvaja Voinà, la guerra dei binari.  La prima operazione su larga scala avvenne in concomitanza con la battaglia di Stalingrado, quando la VI armata tedesca era assediata da quasi un mese e la controffensiva di Manstein su Stalingrado prevista per il 12 dicembre fu rinviata per la lentezza di afflusso dei rifornimenti dovuti alle attività di sabotaggio dei partigiani.

Battaglia del Dnepr, giugno 1943. Dopo la resa della VI armata a Stalingrado l’offensiva sovietica era proseguita in Ucraina fino a raggiungere il Dnepr. Nella primavera del 1942, l’USHPD – Quartiere Generale Centrale Partigiano Ucraino – registrava meno di 30.000 partigiani combattenti in territorio ucraino occupato mentre 3.600 di loro facevano parte di 13 distaccamenti sovietici partigiani combattenti in territorio bielorusso. All’inizio dell’estate del ’42 meno di metà e a volte meno di un terzo dei distaccamenti creati nell’estate del ’41 erano ancora attivi. Nel ’42 il numero dei partigiani tornò a crescere anche per la politica terroristica instaurata dai tedeschi, incluso lo sterminio di ebrei e rom.

Alla fine di settembre 1942, l’USHPD era in contatto, sempre in Ucraina, con 241 distaccamenti partigiani. L’11 novembre 1942 il Comitato di Difesa dello Stato dell’URSS, adottò una risoluzione “Sul movimento partigiano in Ucraina” il cui obiettivo era lo sviluppo della resistenza in Ucraina Occidentale.

Ancora nel periodo autunno ‘42/primavera ’43 le unità partigiane rosse non erano stanziali in Ucraina occidentale, sicché S.A. Kovpack e A.N. Saburev passarono il Dnepr e compirono vere e proprie incursioni e raid dall’altre parte. Il reparto di Saburev in 30 giorni condusse 67 combattimenti e distrusse parecchio materiale percorrendo oltre 530 chilometri. Il reparto di Kovpack attraversò il Dnepr l’8 e il 25 novembre 1942 e fece un raid nell’area di Kiev. Nel giugno-ottobre 1943 effettuò un raid nei Carpazi ma già nell’agosto 1942 l’unità di Naumov aveva compiuto un raid nella regione di Kiev, percorrendo oltre 3.700 chilometri e sostenendo 186 scontri.

Il 1° gennaio 1943 11 formazioni partigiane e 150 distaccamenti partigiani operanti sul territorio della RSS Ucraina erano in contatto con l’USHPD; a metà 1943 le formazioni erano diventate 17 e i distaccamenti 160, una crescita non impressionante L’attività di partito si svolgeva attraverso 7 comitati regionali (su 23 regioni, e dunque c’è da pensare fossero quelle del Donbass e dell’Ucraina Orientale), 31 comitati cittadini e 140 organizzazioni locali.

A metà 1943, 17.332 partigiani sovietici presero parte alla battaglia del Dnepr per la conquista e il mantenimento di 25 attraversamenti del Dnepr, Desna e Pripyat.

Battaglia di Kursk, luglio 1943. Dopo l’offensiva invernale culminata con la resa della VI armata il Fronte Centrale si era stabilizzato intorno a ovest di Kursk dove le armate sovietiche avevano costituito un grosso saliente che penetrava nelle linee tedesche. I tedeschi avevano deciso di attaccarlo fin da giugno, ma dovettero rinviare l’offensiva di due mesi anche a seguito dell’azione della resistenza nelle loro retrovie.

L’operazione tedesca Zitadelle contro il saliente di Kursk iniziò il 5 luglio 1943; e meno di 15 giorni dopo si poteva già considerare conclusa senza aver conseguito l’obiettivo.

Nei 20 giorni precedenti il colpo del 21 luglio la 203ª Divisione di sicurezza nell’area di Bobruysk, che includeva la linea Minsk-Bobruysk-Gomel dove registrò un totale di 101 attentati dinamitardi che provocarono danni mentre, secondo fonti tedesche, 140 cariche furono rimosse prima di esplodere. La pressione esercitata dai partigiani costrinse il comando della 3ª Armata panzer a distaccare 2 divisioni del fronte di Orel per difendere la rete ferroviaria delle retrovie. Appena queste furono ritirate e sostituite da divisioni di sicurezza le formazioni partigiane riapparvero in massa il 20 luglio[8]. Il comando tedesco calcolò che ci sarebbero volute 6-7 divisioni per ripulire l’area, garantire la ritirata e garantire le posizioni difensive invernali.

Nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1943 le brigate partigiane colpirono tutte le linee che servivano che servivano a trasferire truppe e materiali tra i settori Sud e Centro e fecero saltare i binari in 430 punti, secondo fonti tedesche. Per quell’operazione si erano mosse da distanze considerevoli- anche da 100-150 km, oltre150 brigate, per un totale di 87000 combattenti. In molti di questi attacchi furono utilizzate mine di nuova concezione, che mettevano fino a 500 cariche in serie in ciascun settore di demolizione. I partigiani utilizzarono in quell’occasione mine magnetiche e mine da fare esplodere a metà del treno, non sotto i primi vagoni carichi di pietre.

Il traffico fu completamente bloccato per 48 ore. Con lo stesso metodo fu fatta esplodere la stazione di Osipovich, sulla linea principale Minsk-Gomel: l’esplosione riguardò anche due treni di munizioni, uno che portava carburante e un altro che trasportava carri Tigre.

Questo incremento di sabotaggi continuò e nell’arco del mese, fonti tedesche registrarono 1.124 attacchi dinamitardi (36 al giorno). A questo risultato sono da aggiungere 400 raid su altri obiettivi.

Solo nell’area della Divisione di sicurezza 203 saltarono 30 ponti. Tuttavia, le medesime fonti tedesche[9] registravano il movimento di 2.930 treni di truppe e di rifornimenti in quel settore durante il mese di luglio.

Il 29 luglio i tedeschi abbandonarono il saliente Bryansk-Orel e arretrarono sul fiume Desna

Liberazione di Leningrado dall’assedio. Gennaio 1944. All’inizio del 1944, nel settore di Leningrado, la consistenza della forza partigiana era di circa 27.000 effettivi per un territorio di circa 100.000 km2, esclusi dunque i Paesi Baltici che erano sotto un’amministrazione politica tedesca autonoma e nei quali, a dire del Cooper, la resistenza non rappresentò mai un problema maggiore[10].

Le forze partigiane erano distribuite in due settori: circa 14.000 alle spalle della 16a Armata, nell’area a Nord e Nord-Est di Nevel e altri 13.000 alle spalle della 18a Armata tra il Lago Peipus e il Lago Ilmen[11]. Per quanto solo 250 km dei 1.200 km di ferrovie di competenza delle due Armate fossero stabilmente presidiati, gli attacchi del mese di dicembre furono “solo” 576, il che fa dire all’autore – esplicitamente filo-tedesco- che le formazioni partigiane sembravano piuttosto in posizione di attesa che in posizione di attacco, anche se il terreno coperto di foreste dense e disseminato di acquitrini e laghi sembrava molto favorevole alla guerra partigiana. La linea di rifornimento principale per i tedeschi era quella che passava per Dvinsk, Pskov, Luga-Leningrad, tra i Laghi Peipus e Pskov.

L’altra linea importante correva in prossimità della costa tra Narva e Gatchina.

Il 14 gennaio 1944 l’Armata Rossa attaccò da Leningrado e attraverso il Lago Ilmen ghiacciato puntando a liberare la zona tra i due laghi. L’offensiva pareva mirata a isolare la XVIII Armata sotto Leningrado, accerchiandola da Sud e tagliando le sue linee di rifornimenti da Nord a Sud.

I partigiani attaccarono nella notte del 16 gennaio e in quella del 17 gennaio le due principali linee Sud-Nord: una con 300 attacchi, l’altra con 157.

Il 19 gennaio tutte le truppe di rinforzo tedesco per il fronte Nord erano costrette ad andare a piedi. L’attacco alle linee e alle squadre di riparazione proseguì anche il giorno dopo. A mezzogiorno del 20 la linea Dno-Soltsy era completamente paralizzata. L’attacco fu così forte e aggressivo che le forze di sicurezza dovettero trincerarsi e molti reggimenti in transito furono bloccati.

La 8a Divisione Jaeger che doveva andare di rinforzo a Novgorod fu completamente bloccata dal 17 al 22 gennaio e i tedeschi arretrarono da Novgorod di quasi 100 km.

Tra il 15 gennaio e la fine di febbraio 1944 il fronte di Leningrado e quello di Novgorod liberarono così oltre 100.000 km2 di territorio sovietico.

Alla fine di gennaio 1944 la Resistenza in Bielorussia poteva contare su 60.000 combattenti e il suo compito strategico era a bloccare e tagliare i rifornimenti, tagliando ai tedeschi le vie di ritirata. In marzo controllava il 60-70% del territorio bielorusso, con l’unica eccezione dei maggiori centri abitati e delle linee di comunicazione e la ritirata tedesca si presentava comunque problematica, con una sola linea ferroviaria a doppio binario, 5 linee a binario semplice e 3 strade, di cui una sola classificabile come strada di grande comunicazione.

La forza del Movimento Partigiano era cresciuta a 130.000 combattenti che continuavano a premere sul sistema ferroviario: nel marzo 1944 furono effettuati oltre 2.000 attentati dinamitardi, con 237 locomotive e 800 carri danneggiati, soprattutto sulle linee in partenza da Brest-Litovsk.

L’offensiva dell’esercito sovietico contro quello che i tedeschi chiamavano ancora “balcone russo” cominciò il 23 giugno 1944 e terminò formalmente il 29 agosto, dopo un’avanzata di 550-600 km per un fronte di oltre 1.000.

Le forze tedesche erano costituite da 63 divisioni con circa 1.200.000 uomini, 900 tank, 9.500 cannoni e 1.350 aerei. Quelle sovietiche erano dal doppio al triplo: 2.4 milioni di uomini, organizzati in 166 divisioni e 12 corpi, 5.200 tank, 36.000 cannoni, oltre 5.000 aerei.

A questi si aggiungevano 143.000 partigiani suddivisi in 150 brigate e 47 distaccamenti separati[12] dopo che un tentativo tedesco di spazzare via la resistenza, operato nella primavera del 1944, era andato sostanzialmente fallito.

Durante l’offensiva la Stavka ordinò al movimento partigiano di occupare vaste aree in modo da restringere i passaggi liberi per le forze tedesche e costringerle in quei passaggi. Contemporaneamente ebbero l’ordine di paralizzare per quanto possibile il sistema dei trasporti.

L’attacco sul fronte nord fu preceduto da un attacco diversivo sul fronte sud, dove i tedeschi spostarono le loro riserve utilizzando il sistema ferroviario apparentemente indisturbato.  L’attacco preliminare avvenne nella notte del 20 giugno quando furono fatti deragliare 140 treni e demoliti 40.000 tratti di binario, prevalentemente sulle linee Nord-Sud: Pinsk-Luninets; Borisov-Orsha e Molodechnko-Polotsk, sicché le truppe spostate al Sud non poterono rientrare[13]. E non fu l’unico aiuto strategico fornito dai partigiani che occuparono vaste aree restringendo gli spazi di ritirata del nemico, rallentandolo anche utilizzando la conformazione del terreno con paludi, laghi, acquitrini; conquistando e mantenendo ponti e guadi in attesa dell’arrivo dell’Armata Rossa e procedendo poi con essa con funzione di esploratori e di avanguardia[14].

Luciano Beolchi

[1]             J.F.C. Fuller. A Military History of Western World: From the American Civil War to the End of World War II (1956)

[2]             Durante l’occupazione i tedeschi deportarono in Germania oltre quattro milioni di civili, A differenza dei deportati dall’Europa occidentale chiamati Gastarbeiter, lavoratori ospiti, quelli deportati da Russia e Ucraina venivano chiamati Ostarbeiter, a sottolinearne la condizione di schiavi dell’est.

[3]             Per un totale di quasi 35.000 persone.

[4]             Matthew Cooper. The Phantom war. The German struggle against Soviet Partisans 1941-1944. Biddles LTd, Guildford, Surrey, 1979, p. 145.

[5]             Matthew Cooper. The Phantom war. The German struggle against Soviet Partisans 1941-1944. Biddles LTd, Guildford, Surrey.1979, p.137.

[6]             Alexander Werth. La Russia in guerra, 1941-1944, Mondadori, Milano, 1966.

[7]             Nell’ordine: Alt! Armi a terra. Arrendetevi! Giù dalla macchina! Chiunque tenti di scappare è fucilato. Tu menti! Dove sono i soldati tedeschi? Dove sono state messe le mine?

[8]             Matthew Cooper. The Phantom war. The German struggle against Soviet Partisans 1941-1944. Biddles LTd, Guildford, Surrey.1979, p.163.

[9]             Matthew Cooper. The Phantom war. The German struggle against Soviet Partisans 1941-1944. Biddles LTd, Guildford, Surrey.1979, p.163

[10]            Matthew Cooper. . The Phantom war. The German struggle against Soviet Partisans 1941-1944. Biddles LTd, Guildford, Surrey.1979, p.181.

[11]            Le formazioni partigiane alle spalle del Gruppo di Armate Centro alla stessa epoca contavano più di 140.000 combattenti.

[12]            Leonid Grenkevič, The Soviet Partisan Movement, 1941-1944, Frank Cass, 1999, pag. 257

[13]            Otto Heilbrunn. Warfare in the enemy’s rear, London, Allen & Unwin,1963, p 152.

[14]            Leonid Grenkevič, The Soviet Partisan Movement, 1941-1944, Frank Cass, 1999, pag. 259.

 

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