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Protezione umanitaria per tutt* coloro che fuggono dalle guerre

di Stefano
Galieni

È accaduto pochi giorni fa, quasi nel silenzio. L’ennesimo naufragio in cui sono morte, annegate, oltre 90 persone. I 4 superstiti, rimasti per giorni sul natante, sono stati salvati dalla nave mercantile “Alegra” (nome amaro) e riportati in quella Libia da cui avevano tentato, invano, di fuggire. Nessuna identificazione, nessuna richiesta di asilo o protezione, nessun porto sicuro in cui trovare rifugio, da un lager fuggivano e in quei lager sono stati rimandati. Nel 2021, dati dell’Oim, risultano essere state respinte 32.425 persone nel travagliato Paese nordafricano, quasi 2.500 sono donne, circa 870 i minorenni. Respinti illegalmente, alla faccia del principio di non refoulement che obbligherebbe, in base a convenzioni internazionali, a identificare le persone che fuggono, assicurarsi che non giungano da Paesi in guerra o oppressi da dittature, che in caso di rimpatrio non rischino la vita e che comunque non dovrebbero essere rimandati in un porto non sicuro perché tale è la Libia. Certo, in questi giorni non si spara o quasi nelle città libiche ma le mancate elezioni che si dovevano tenere il 24 dicembre scorso non hanno certo contribuito a rasserenare il clima e le tensioni covano in attesa che si decida un’altra data. Perché partire dalla Libia mentre gran parte delle notizie, anche riguardanti i profughi, ha oggi origine dall’Ucraina? Perché le giuste decisioni prese, una volta tanto, in Commissione e in Consiglio d’Europa, e che hanno permesso il 3 marzo scorso di applicare la direttiva 55 del 2001, stanno salvando la vita ad almeno 4 milioni e 200 mila ucraini, al 90% donne e bambini, in fuga dalla guerra. Gran parte sono ancora nei Paesi confinanti, in particolare in Polonia, con oltre 2,5 milioni di persone, e in Moldavia che, pur avendo una popolazione di 3 milioni e mezzo di abitanti, ospita già 400 mila rifugiati (il più alto numero pro capite) per altro in un Paese poverissimo. Le recenti elezioni in Ungheria in cui Orban, mantenendo un atteggiamento filo-russo, ha ottenuto la maggioranza dei consensi, mettono di certo in difficoltà coloro che hanno cercato scampo in questo Paese. Per le persone riuscite a fuggire con i propri mezzi, col supporto di attivisti del volontariato, oppure pagando agenzie, spesso opache, ci sono, almeno in tempi brevi, prospettive rassicuranti. Per ora si tratta solo di promesse ma la Commissione europea ha già stanziato circa 3,5 miliardi di euro per la loro accoglienza. Nel piano predisposto c’è un primo contributo economico ad ogni persona in cerca di salvezza, il trasporto gratuito nei Paesi UE per potersi distribuire nel continente, assistenza sanitaria, iscrizione nelle scuole, abilitazione al lavoro. Come abbiamo già avuto modo di far notare, l’applicazione della direttiva europea ha carattere esclusivo. È valida per cittadine e cittadini ucraini, non lo è per coloro che in tale Paese sono emigrate per ragioni di studio o di lavoro, poco importa, il cui destino sarà nelle mani dei Paesi UE che li ospiteranno in totale discrezionalità. In quei Paesi potranno e dovranno prima chiedere asilo o protezione umanitaria, sperando di non essere rimpatriati. Polonia e Slovacchia hanno già fatto intendere che non li desiderano, l’Ungheria ha prima fatto entrare coloro che provenivano dalle città confinanti dei Carpazi, anche di origini rom per ottenere sostegno a Orban, ora se ne vorrà facilmente liberare.

Uno dei Paesi UE in cui chi scappa cerca di fermarsi è l’Italia dove vive la più grande comunità ucraina d’Europa, quasi 240 mila persone. Questo ha significato per molte/i trovare alloggio e reti sociali di appoggio momentaneo, in attesa che i fondi da utilizzare per la loro accoglienza, già pronti, si sblocchino. Al 5 aprile sono (dati del Viminale) quasi 85 mila le persone arrivate, circa 43.500 donne, 32.000 minori. L’applicazione della direttiva 55 è scattata dal 3 marzo scorso ma un mese dopo non ha prodotto ancora grandi risultati concreti. In due differenti incontri Consiglio e Commissione europea hanno stabilito fondi da erogare (quelli già stanziati basteranno al massimo per 3 mesi), un piano in 10 punti e l’impegno a fornire ai Paesi che accolgono il sostegno necessario. Il governo italiano aveva emanato un decreto in materia (21/2022), la Protezione civile un’ordinanza (881/2022). Si attende a breve che la Protezione civile pubblichi un appello rivolto ad enti del terzo settore, Cesv e associazioni disponibili a offrire spazi per l’accoglienza diffusa, a cui dovrebbero accedere almeno 15.000 persone. L’ente o l’associazione che partecipa e che dovrà controllare l’utilizzo dei fondi riceverà una cifra non ancora definita (fra i 27 e i 33 euro al giorno per persona) e in tempi brevissimi dovrebbe essere pronta la piattaforma online attraverso cui coloro che hanno trovato sistemazione autonoma potranno chiedere un contributo diretto di 300 euro al mese per 3 mesi (se adulti), la metà per i figli minori. Tale progetto ha come bacino di utenza 60.000 persone. In totale 75.000 persone assistite – già si è sotto di 10.000 – con 142 milioni di euro per l’accoglienza diffusa e 54 per chi si è sistemato da sé. Un altro contributo di 152 milioni è previsto per le spese sanitarie, da destinare alle Regioni, per garantire cure ad almeno 100.000 profughi. Sulla carta, ma non ancora concretamente, è cresciuto fino a 16.500 il numero dei posti disponibili nel sistema di accoglienza pre-esistente, dei Cas e del Sai. L’arrivo di altre/i dovrà portare, per forza di cose, ad incrementare le spese, del resto l’UE garantisce stavolta una pronta solidarietà non concessa in passato.

E qui veniamo al punto che ci ricollega all’ennesimo naufragio al largo delle coste libiche e ai respingimenti. In poco più di un mese l’Italia sta accogliendo, con fatica e in maniera disorganizzata, con tutte le pecche immaginabili, un numero infinitamente superiore a quello delle donne, degli uomini e dei minori, sbarcati da Libia e Tunisia. Un numero di persone di quasi due terzi superiore a quello dei respinti e degli annegati in mare. Un numero di persone che non sappiamo ancora in quale percentuale, dettata dal nostro essere “gli accoglienti” avrà diritto all’asilo o alla protezione temporanea. E allora si rompa l’ipocrisia. Per loro la direttiva 55/2001 non può aver valore perché sono neri o provenienti da Paesi in cui la vita delle persone conta meno? A fine giugno del 2021 Tayyp Erdogan, uno degli eletti a mediare nel conflitto in Ucraina, ha ricevuto la garanzia di ricevere dall’UE altri 3 miliardi di euro per “assistere” i profughi siriani, ovvero impedire loro di entrare in Europa. Il conflitto in Ucraina – seppur non di questa portata – era già nell’aria, come era chiaro che l’esodo dalla Siria non si sarebbe interrotto. E altri fondi sono stati versati nelle casse dei governi africani in grado di impegnarsi ad impedire l’emigrazione, ovviamente illegale, delle proprie popolazioni. Altri 2 miliardi di euro promessi e ancora non elargiti, con il solito obiettivo, fermare le persone. Facile fare i conti: per fermare coloro che sono colpevoli unicamente di provenire dalla parte del mondo sbagliata, si investono risorse colossali, si attuano meccanismi di repressione spesso violenta, si sostengono agenzie europee come Frontex, sotto accusa per una gestione a dir poco opaca dei fondi ricevuti e per cui lavorano almeno 10.000 persone, in parte equiparabili a veri e propri contractors, viste le regole di ingaggio. Non soltanto, la stessa Turchia è da tempo impegnata con proprie forze per utilizzare ufficiali ed esperti in Libia per addestrare la cosiddetta Guardia costiera libica con fondi in gran parte di provenienza italiana. Un apparato di sicurezza e di militarizzazione del Mediterraneo con costi inimmaginabili, che garantiscono insieme business a chi produce dispositivi di alta tecnologia militare e consenso elettorale a centro-sinistra e centro-destra che ad ogni campagna elettorale riprovano a rendere emergenziale uno spostamento di persone strutturale di cui gli stessi governi delle super potenze sono gli artefici. Ma se sei nero, se vieni da un Paese poco interessante per la nuova fede nella geopolitica, se non costituisci sufficientemente braccia atte allo sfruttamento, la sola soluzione proposta è la cacciata a prescindere, quella sancita dal New pact on migration and asylum da 20 mesi fortunatamente fermo nelle istituzioni europee.

Da sinistra potremmo proporre una soluzione, tanto utopica nella sua definizione quanto terribilmente realistica. E se fosse possibile applicare la direttiva 55/2001, un piccolo passo verso la libera circolazione delle persone, a chiunque fugge da oppressione politica, economica, religiosa, dai disastri ambientali? Diventerebbe un fattore attrattivo che porterebbe alla sostituzione etnica tanto temuta dai cultori dei “valori occidentali” o, più probabilmente, stroncherebbe il traffico di esseri umani col suo carico di morte, sofferenza, sfruttamento e quant’altro? Si abbia il coraggio di applicare la direttiva CE, non un prodotto dell’armamentario bolscevico, a tutte/i. Si può fare, costerebbe economicamente molto ma molto meno rispetto agli apparati di sicurezza messi in atto, toglierebbe potere non solo ai trafficanti ma anche ai dittatori dei Paesi di provenienza e offrirebbero delle chance i cui effetti sarebbero positivi per l’intero continente. Si può fare ma occorrerebbe il coraggio, la visione e la lungimiranza che le classi politiche oggi dominanti in Europa non hanno la capacità e la volontà di mettere in campo. Anche per questo serve, con urgenza, un’alternativa in Europa. Si può fare. E avremo meno stragi impunite, tanto ai confini dell’Est, quanto sulla rotta balcanica e persino nella fossa comune chiamata Mediterraneo.

Stefano Galieni

politiche europee, rifugiati
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