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Prima venne il negazionismo

di Elena
Mazzoni

Quello che ci ha insegnato la violenza con cui la crisi climatica si è abbattuta sull’Emilia Romagna è che al peggio, e al meglio pure, non c’è mai fine.

Intervenendo in una trasmissione radiofonica, a poche ore dalla tragedia climatica che ha colpito l’Emilia Romagna, il ministro dell’ambiente e della sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha accusato gli ambientalisti che vivono nei loft, magari al ventesimo piano di un grattacielo, di aver ostacolato coi loro no le opere necessarie a mitigare situazioni come l’alluvione in Emilia Romagna

Non stupisce, fa il coro al “Troppi no fanno male all’Italia” di Salvini, pronunciato mentre sott’acqua finisce una regione dove le opere, grandi e piccole, lo dicono i record di cementificazione nazionali.

L’ennesimo disastro ambientale che ha colpito il nostro Paese è frutto di una serie di concause che vedono in cima alla lista la questione climatica e il disastroso stato del territorio e della natura, oggetti di urbanizzazione continua, dilagante e non pianificata.

Ambientaliste ed ambientalisti denunciano i rischi di un territorio antropizzato in maniera feroce, indurito dalla siccità, che non è riuscito ad assorbire quantità significative d’acqua, contribuendo a rendere l’alluvione ancora più distruttiva, ma vengono definiti “salottieri” quando non addirittura accusati di essere i colpevoli del disastro.

La crisi climatica in Italia ha già causato, da inizio 2023, 73 eventi estremi, la maggior parte provocati da piogge intense, alluvioni e siccità.

Possono sembrare fenomeni in contraddizione, ma non è così.

Se le temperature estive sono state oltre la media anche di otto gradi, se abbiamo avuto un data di calore durata due mesi, se la temperatura mari è salita sempre di più, significa che c’era in giro un’energia in eccesso che prima o poi sarebbe scaricata con violenza: fenomeni metereologici estremi è la risposta.
L’Italia è al terzo posto per danni economici, dopo Germania e Francia, con danni per 91 miliardi di euro, 303 mila euro per chilometri quadrato, senza conteggiare la tragedia dell’Emilia Romagna.

Poi vennero le nutrie

L’Italia è uno dei Paesi più fragili dal punto di vista idrogeologico, con il 94% dei Comuni a rischio frane, alluvioni ed erosione e 8 milioni di persone che vivono in aree ad alta pericolosità ed anche uno di quelli in cui maggiormente si continua a costruire, cementificare, GrandOperare…

Tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale. In pochi anni la Regione è arrivata ad avere una superficie impermeabile dell’8,9% contro una media nazionale del 7,1%.

Nel 2017, un gruppo di urbanisti, territorialisti, giuristi, storici denunciò in un libro dal titolo chiarissimo “Consumo di luogo. Regresso neoliberista nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna” che il governo regionale guidato da Bonaccini aveva presentato “una legge definita, in perfetta neolingua stile 1984, ‘contro il consumo di suolo’. Una legge farlocca, truffaldina, il cui scopo reale era permettere la cementificazione”, scrive nel testo il collettivo Wu Ming, al punto da manomettere le definizioni urbanistiche, non conteggiare più le cementificazioni, sul sito della città Metropolitana di Bologna, dal 2018 ad oggi, il consumo di suolo è fermo allo 0%, e risultare estremamente green…

La provincia di Ravenna è stata la seconda provincia regionale per consumo di suolo nel 2020-2021, più 114 ettari, pari al 17,3% del consumo regionale, con un consumo procapite di 2,95 metri quadrati per abitante all’anno e quarta per suolo impermeabilizzato procapite (488,6 m²/ab).

In questo scenario direi che dare la colpa alle nutrie, come ha sostenuto Marco Lisei, senatore di Fdi di Bologna, è criminale.

E poi, dopo il cordoglio, le lacrime, la contrizione, la retorica, è arrivato anche il paternalismo boomer.

Visto che lo scenario non era abbastanza catastrofico, a fargli raggiungere anche inenarrabili picchi di ridicolo ci pensano Ignazio La Russa, eh sì, sempre lui, quello della “banda musicale” di via Rasella ed Enrico Mentana, che iniziano a sfidarsi a colpi di benaltrismo invitando gli attivisti di Ultima Generazioni, e per esteso gli ambientalisti in generale, a recarsi come volontari e per almeno una settimana nella regione colpita dalla drammatica alluvione.

Peccato che gli attivisti e le attiviste, quelli tra l’altro che si beccano denunce perché provano a gridare quello che la politica non vuole ascoltare, a spalare ci sono da giorni, in mezzo a cittadine e cittadini, la meglio gioventù, gli anziani fragili, le azdore generose, spalano fango cantando.

Mentre la Romagna si ripulisce dal fango, noi tutti dobbiamo porci questioni profonde.

Non è maltempo, è crisi climatica, di cui abbiamo traccia ogni giorno e non solo quando ci ritroviamo ad affrontare alluvioni e frane.

Non è solo crisi climatica, ma anche mancata di volontà ed inazione politica. Il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici è fermo dal 2015 mentre in Europa già 24 Paesi ne hanno uno da anni.

Ma d’altronde il nostro è il Paese dell’industria dell’emergenza, della ricostruzione che genera consenso politico e fa PIL, non dimentichiamo le dichiarazioni dell’allora ministro Del Rio sul terremoto che colpì l’Italia nel 2016, eppure ogni euro investito in prevenzione ne fa risparmiare quattro di risposta al disastro.

Ne 1977 uscì su giornali e televisioni una pubblicità progresso che parlava di inquinamento, incuria, deforestazione che non blocca l’acqua che scende a valle.

“Se andiamo avanti così, tutta l’Italia sarà alluvionata”, recita la voce narrante, preoccupata, e la versione video termina con un: “Facciamo tutti qualcosa per difenderla. Subito”.

Sono passati 46 anni in cui non è stato fatto nulla, anzi, solo progetti dai nomi roboanti, da ItaliaSicura del governo Renzi a ProteggItalia di Conte, che sono falliti miseramente e la crisi climatica ha moltiplicati in modo esponenziale i fattori in campo. In Emilia Romagna sono caduti in 48 ore 150-200 millimetri di pioggia, quelli che di solito cadono in 3 mesi, colpendo i terreni provati da mesi di siccità, andando a riempire persino quei bacini costruiti per evitare gli esondamenti.

Sappiamo che tra un suolo libero e uno cementificato la quantità d’acqua che scorre violentemente in superficie aumenta di oltre cinque volte.

Sappiamo che le piogge saranno sempre peggiori, eppure continuiamo a prendercela con le “bombe d’acqua” e non con quelle di cemento che nel frattempo sgancia sul nostro territorio, rendendolo più vulnerabile, il partito unico che vede nel cemento l’unico sviluppo, e nella semplificazione (cioè nel liberarsi dalle regole che permettono di tutelare il territorio) l’unica riforma.

L’Italia si sta tropicalizzando, diventando un Paese dal clima estremo: siccità e poi piogge intense, fenomeni spiegati con l’aumento medio delle temperature dell’area mediterranea, definita un “hotspot climatico”, con aumenti doppi rispetto la media globale.

Con temperature più alte e periodi siccitosi prolungati, l’acqua evapora velocemente e si sfoga con maggiore intensità causando piogge che concentrano in poche ore il carico distribuito di solito in interi mesi o stagioni.

L’alluvione di Ischia a novembre 2022, 12 morti.

A settembre la pioggia sulle Marche, 11 morti.

Ad agosto il record di temperatura europea, 48,8°C vicino Siracusa.

Il crollo di una parte di ghiacciaio della Marmolada, 3 luglio, 11 morti.

L’alluvione dell’Emilia, 14 morti.

La causa è chiara: abbiamo usato troppi idrocarburi, petrolio, gas e carbone; e dobbiamo capire che la soluzione definitiva è lasciarli sottoterra, abbiamo poco tempo e l’Italia dovrebbe essere alla testa degli Stati che vogliono le emissioni zero, non in retroguardia come è attualmente.

Cosa altro fare?
Gestire l’acqua.

Siamo un Paese di paradossi, tra i più piovosi d’Europa, ma che riesce a immagazzinare appena il 4% dell’acqua, complici infrastrutture obsolete, perdite sulla rete, dighe bloccate o da sfangare.

Bisogna ridare spazio ai fiumi, recuperare aree di esondazione naturale, ripristinare, ove possibile i vecchi tracciati, avviare interventi di rinaturazione diffusi sul territorio. È sempre più urgente una politica di adattamento ai cambiamenti climatici che vada oltre la logica di emergenza e ne consideri gli effetti nella pianificazione ordinaria.

Ridare spazio alla natura è la migliore cura per la fragilità del nostro territorio.

È un diritto di noi tutti avere un governo che tuteli il suolo e la natura, che fermi questo saccheggio continuo, i “vandali in casa” come disse più di 50 anni fa Antonio Cederna, profeta inascoltato.

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