Le manifestazioni di piazza in risposta all’ultimo DPCM del 25 ottobre sono solo l’ultimo sintomo della pervasività della pandemia d sars-Cov-2 non solo in termini di contagio delle persone fisiche, ma anche di pandemia sociale che aggredisce ogni articolazione della vita sociale.
Si passa dall’esposizione dei corpi dei malati in terapia intensiva nascosti sotto un un intrico di tubi e dispositivi, ai corpi nelle bare che caricati sui camion militari a Bergamo, dai corpi allegramente assembrati nei ritrovi e nelle piazze estive, ai corpi nelle piazze della rabbia e della rivendicazione, mentre ritornano le immagini delle terapie intensive da cui emergono i volti affaticati e stravolti di medici e infermieri. Sugli schermi di alternano le immagini ed i discorsi di governanti ed esperti, senza la macabra regolarità del periodo invernale-primaverile della pandemia, resta la regolarità della comunicazione delle statistiche pomeridiane.
Le piazze dichiarano la perdita di legittimità dell’azione di governo, a tutti i livelli, della pandemia sociale, raccontano il disorientamento di fronte alla crescita dei numeri del contagio ed all’impoverimento generalizzato, che il rumore di fondo dei network sociali aveva già segnalato. Esse danno voce a parti del corpo sociale, una manifestazione molto parziale, dove -facendo la tara delle espressioni esplicitamente politiche- si esprimono le categorie economiche e professionali più colpite dalle chiusure e le situazioni soprattutto giovanile di disagio, povertà e marginalità.
Sono rivelatori – non senza una sorpresa da parte di ch iscrive queste righe- gli articoli che fanno le cronache delle manifestazioni tra cui quello1, gli articolisti scrivono “La notte di Torino è lacrimogeni e sirene, bombe carta e razzi da stadio. E la polizia che reagisce. Eccola qui la rabbia di chi è rimasto senza lavoro, senza reddito, senza speranza. È una rabbia che arriva dalle periferie, ragazzi che urlano a squarciagola: «Ci stanno derubando». Non è la rabbia dei negozianti, quella che infiamma la notte torinese. Non è soltanto la rabbia dei baristi costretti a lavorare mezza giornata. È la furia cieca di una fetta di società che si sente esclusa. Che odia la politica. Che ha individuato, in questo momento, l’attimo giusto per dire basta e riversare anni di frustrazione repressa.”
Del presidio del 26 giugno 2020 sotto il palazzo della regione Lombardia Roberto Maggioni -giornalista di Radio Popolare- scriveva sul Manifesto2 e poi di protesta di massa3 parla di due protagonisti i primi definiti genericamente come ‘gli esercenti’, espressione di fragilità sociale che ormai colpisce categorie apparentemente benestanti, non sono state manifestazioni di poveri semmai manifestazioni di impoveriti, colpiti dalla prima ndata del virus ed atterriti dall’idea di precipitare con la seconda, “il nostro corpo economico sociale già gravemente malato prima la pndemia ha solo portato in superfice il morbo”, ci sono poi ci sono gli altri provenienti dalle periferie, ragazzotti che nel week end fanno lo struscio davanti alle vetrine degli oggetti del desiderio, scesi in piazza da un parte per esprimere rabbia dall’altra per soddisfare desideri. ‘Perché parla di uscita dal ventesimo secolo’ gli chiede Stefano Caselli. Risponde Revelli “siamo di fronte al prodotto di classi sociali in decomposizione, attraversate da un forte risentimento ed invidia sociale, la pancia della nostra società è un serbatoio di rancore e mancanza di speranza, la logica è da guerra di tutti contro tutti, ogni protagonista di queste proteste vede solo le proprie ragioni, anche valide, ma la mediazione tra le proprie sofferenze e le sofferenze generali non compare mai, è una caduta di orizzonte.”
Valeva la pena dilungarsi sulla fenomenologia della protesta sociale di questi giorni ed alcuni commenti, poiché sono i primi segnali di una reazione che vada oltre la depressione individuale e collettiva ed il rumore di fondo dei network sociali e le interviste televisive.
La manifestazione di giugno davanti alla regione Lombardia, quella dei lavoratori dello spettacolo a piazza Duomo, la manifestazioni di Napoli ed altre ancora che si succedono e si succederanno dimostrano la possibilità e la necessità di portare in piazza rivendicazioni che nascono dalla condizioni di una crisi sociale profonda in cui sta precipitando il nostro paese. Qui sta il punto, lo abbiamo già detto, manca la capacità di dare organicità alla protesta di portare in piazza chi non ha più la forza di protestare appoggiandosi alle proprie organizzazioni di rappresentanza, ridotta ormai ad un aspetto più formale che sostanziale.
Anche chi in un modo o in un altro è ancora garantito nel suo livello di vita, sente la precarietà degli assetti sociali in cui vive, avverte la possibilità di un collasso capace di travolgere la condizione garantita di cui ancora gode, il manifestarsi ed il deflagrare di quel morbo di cui parla Revelli, che maturava da tempo nella condizione di stagnazione economico sociale del nostro paese. Lo stato e la configurazione attuale dei rapporti sociali del nostro paese, in tutta la loro complessità e interrelazione, compresi i nessi che legano la sua formazione sociale a quella globale, pesano come una coperta di piombo su qualsiasi tentativo di trasformazione. Ne è testimonianza esemplare il fatto l’area metropolitana milanese, fulcro dei processi di innovazione capitalistici, sia uno dei centri della pandemia candidata al lock down totale con l’altro polo della nazione, Napoli la capitale del sud. L’esperienza drammatica della prima ondata pandemica in Lombardia e le straordinarie risorse tecnologiche, economiche e sociali di quel territorio a nulla sono valse per evitare questo epilogo.
Siamo al collasso della capacità di intervento immediato e strategico delle classi dirigenti nel loro complesso e nelle specifiche prestazioni nei rispettivi campi d’azione, dal governo nazionale a quelli regionali, sino alla rappresentanza confindustriale, quest’ultima in particolare capace solo di esprimere il proprio tradizionale spirito di appropriazione di risorse pubbliche, di socializzazione delle perdite ed appropriazione dei profitti.
Abbiamo avuto modo di segnalare segni di un cambiamento di rotta degli organismi sovranazionali come il Fondo Monetario4, la Banca Mondiale, Commissione Europea, Banca Centrale Europea che esprime un ripensamento rispetto alle strategie di austerity con cui fu affrontata la crisi deflagrata nel 2008. Il nostro paese vive nell’attesa dei fondi Netx Generation EU (ex – Recovery Fund), con la possibilità di aderire ai Grants (senza rimborso ) e non ai Loans (debiti da rimborsare)5 così come è in corso di scrittura da centinaia di associazioni e comitati, dando corpo agli al obiettivi generali, alle linee guida già elaborate. D’altra parte ‘uscire dalla economia del profitto’ per ‘costruire la società della cura’ non è cosa da poco, significa lacerare una coperta di piombo globale, si sarebbe detto in altri tempi un compito di fase storica in risposta ad una congiuntura che è il prodotto a sua volta di un processo storico.
Nell’immediato e nel breve periodo è necessario legare, ancora una volta, le necessità immediate ad alcune poche ed essenziali indicazioni di programma, in termini di risposta ai bisogni, riduzione delle diseguaglianze a partire dallo stabilire modalità di mobilitazione permanente, di costruzione attraverso il conflitto di meccanismi di partecipazioni permanente. Nell’immediato la garanzia di un reddito di base incondizionato appare come l’unico obiettivo unificante, da tradurre concretamente a fronte della babele di ristori e interventi fiscali dell’ultimo DPCM.
D’altro lato esiste una necessaria articolazione territoriale delle lotte e degli obiettivi verso quella che Riccardo Rifici nel suo articolo chiama Governance territoriale’ che riassume rivendicazioni e progetti che le lotte territoriali ed ambientali hanno espresso almeno nell’ultimo decennio, esprime la necessità di piattaforme territoriali che nel nostro particolare abbiamo chiamato ‘Vertenza per la Valle del Sacco’.
Il nostro libro dei sogni che traduce lo slogan della ‘società della cura’ ha bisogno per diventare realtà di prefigurare e cominciare ad attuare i primi passi di un processo, di u percorso. Tanti soggetti diversi, uniti nell’elaborare quel libro hanno bisogno di unità d’azione, non simbolica., che riempia le quelle piazze che hanno cominciato a popolarsi.
In chiusura un richiamo doveroso all’articolo sul nostro sito ‘Non lasciamo spazio alla rassegnazione’ di Leopoldo Tartaglia del Direttivo nazionale Cgil che condividendo una analisi del periodo e molti obiettivi conclude dicendo “In una fase oggettivamente molto complicata il sindacato è chiamato ad essere protagonista della proposta, della rivendicazione e della mobilitazione, facendosi strumento democratico della protesta di chi oggi si sente escluso e le cui energie devono essere canalizzate in un movimento di reale trasformazione.”
Qui sta il punto per il sindacato per tutti i movimenti, fuor di retorica.
- https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/10/28/news/a-torino-la-rivolta-degli-ultimi-cosi-in-periferia-e-montata-la-rabbia-1.39468959)) in cui Carlotta Salerno che guida la circoscrizione del comune di Torino 6 , Barriera di Milano dichiara «Hai presente gli alberi in montagna? Servono a tenere insieme la terra. Se li abbatti arrivano le frane. Noi abbiamo fatto così, adesso arriva la valanga». Usciamo dalla metafora per favore: «Certo. Fino a marzo c’erano le scuole. Gli insegnanti e i gruppi di lavoro servivano ad esercitare un controllo soprattutto sui ragazzi più giovani. Capivano quali erano in difficoltà, davano un aiuto, i casi più gravi li segnalavano ai servizi sociali. Poi è arrivato il lockdown. Scuole chiuse, chiusa la rete di controllo sociale, tutti confinati in alloggi di 50 metri quadrati. Hai presente che cosa vuol dire vivere in cinque stretti in pochi metri quadrati nelle case popolari? Non ti viene certo voglia di uscire a cantare sui balconi. I casi sono due: o ti deprimi o ti arrabbi. In genere i genitori che perdono il lavoro si deprimono. I figli quindicenni, invece, si arrabbiano. Sarà schematico ma è così».
In un altro articolo, parlando della ‘notte di guerriglia’ dell’assalto ai negozi di lusso di via Roma((https://www.lastampa.it/cronaca/2020/10/27/news/saccheggi-e-paura-nelle-vie-del-centro-gli-incappucciati-devastano-torino-1.39464957?fbclid=IwAR1harQNkAJI5INJPLTFhnbqcBvxYs_f3gQzil8GEeLS2043elTaeq8juKM[↩]
- https://ilmanifesto.it/milano-la-solidarieta-chiede-il-conto/)):
«Siamo dei sopravvissuti, sopravvissuti al Covid e sopravvissuti a Fontana e Gallera» urla commossa al microfono una ragazza arrivata da Bergamo. «Mai più! Mai più! Cacciamoli». Cacciamoli è anche l’enorme scritta lasciata sull’asfalto dagli oltre duemila manifestanti che hanno partecipato al presidio fuori dal palazzo della Regione Lombardia. La piazza più giovane e radicale, con le Brigate volontarie per l’emergenza, i centri sociali, l’area di Milano in Movimento, qualche studente di Fridays For Future, un po’ di sindacalismo di base, i lavoratori dello spettacolo.
Sono stati i giovani delle Brigate i veri protagonisti, ragazzi e ragazze che in questi tre mesi hanno consegnato spesa e pacchi alimentari a migliaia di milanesi in difficoltà e che nel loro lavoro hanno incrociato la sofferenza di chi è stato colpito dal virus e dalla crisi economica. «Abbiamo fatto un lavoro che ci ha messo a contatto con la realtà di Milano, una realtà dura a dispetto di come viene solitamente raccontata» racconta Lyala Sit Aboha della Brigata Lena-Modotti di zona 2. «Abbiamo visto nuovo poveri di ogni età e provenienza geografica. All’inizio facevamo solo la spesa a domicilio, ma da aprile le stesse persone hanno ci hanno chiesto un pacco alimentare». È il segno della crisi e della fatica a mettere insieme i soldi per una vita decente. La cassa integrazione non arriva, tanti hanno perso il posto di lavoro, il panorama è grave. Noi facciamo quello che possiamo, ma abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti e le istituzioni devono farsi carico di questa situazione».
Oggi scrive sul sito di Radio Popolare scrive del Riot((https://ilmanifesto.it/milano-come-thoiry-una-piazza-un-po-trap/)) “Quello che abbiamo visto nella nostra diretta radiofonica. Adolescenti e post adolescenti. Con una coda di osservatori più grandi. In 300 per fare casino contro Conte, bersaglio di insulti, e le chiusure anti-COVID, “libertà libertà“. Un gruppetto stava davanti e in modo piuttosto confusionario ha trascinato il resto dei manifestanti verso il palazzo della Regione Lombardia. Lungo la strada hanno lanciato torce, petardi e una molotov, buttato a terra cestini, motorini e cartelli stradali. Qualcuno ha rotto il vetro del tram 9 beccandosi gli insulti di altri: “Cosa c’entra il tram? Son lavoratori pure loro”
(…) Provare a ridurre il tutto a schieramenti classici destra/sinistra, fascisti/antagonisti rischia di essere un po’ riduttivo. Riot senza firma, gruppi di amici che si sono dati appuntamento per lasciare un segno. Qualcuno tra loro frequenta le curve di Milan e Inter. Quanto successo a Milano non va ingigantito, ma non va neanche sminuito. Di sicuro va indagato. Forse è stato la spia di un disagio reale che si esprime in vari modi in questa fase così complicata per tutti. Quei 300 giovani lo hanno espresso così”.
Avevamo visto le immagini della manifestazione dei lavoratori dello spettacolo in piazza Duomo a Milano((https://www.artribune.com/arti-performative/2020/10/bauli-in-piazza-le-immagini-della-protesta-dei-lavoratori-dello-spettacolo-a-milano/)) che denunciava la crisi del settore degli spettacoli dal vivo prima che l’ultimo DPCM ne decretasse la chiusura.
La piazza di Napoli a sua volta esprime la condizione speciifica della metropoli meridionale e di tutto il sud , denuncia come scrive Cuccurese in questo numero di Transform-Italia. “La mancata soluzione della Questione meridionale, che su queste pagine abbiamo già più volte approfondito, acuita in questi ultimi anni da crisi di finanziamenti e contemporanei scippi di risorse a favore del Nord, avvenuta grazie alla visione miope di governi e presidenti regionali senza gloria, ha aggiunto in questi ultimi mesi rabbia e rancore alla miscela esplosiva. Il Sud, non da oggi, è una polveriera e i cittadini del Sud non ci stanno più ad essere considerati di serie B, in base al solo pregiudizio lombrosiano, in contraddizione ai diritti costituzionali e pur pagando le stesse tasse di quelli del Nord”.
Una piazza che ha avuto risvolti violenti una prima volta((https://poterealpopolo.org/ero-in-piazza-a-napoli-e-vi-racconto-cosa-ho-visto/?fbclid=IwAR1sSj79ObrYKcLHaf4JSZLTfnT2v2pVGDrPBr8MI5cJHC5PKYY8AW_wFmM[↩]
- https://www.napolitoday.it/cronaca/manifestazione-piazza-plebiscito-tensione.html?fbclid=IwAR11PkKIwJ-Hbu09NGCJXwnxn7mh9c5O5hj5cCNi9kGzV2c8M5Zu2pK6BX0)).
Vale la pena di citare Marco Revelli intervistato da Stefano Caselli su ‘Il Fatto Quotidiano’((https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/28/piazze-tragiche-unico-orizzonte-la-ragion-propria/5982203/[↩]
- https://clericetti.blogautore.repubblica.it/2020/10/16/fmi-e-unctad-rottamano-le-teorie-liberiste/[↩]
- https://www.ft.com/content/1621a33b-b05e-4b2d-b6d1-862a0455c1b9)). Nel frattempo i mercati finanziari permettono anche all’Italia di indebitarsi a basso, bassissimo costo, con una richiesta di acquisto molto più alta dell’offerta di titoli. Siamo forse in una sorta di periodo di tregua -pare di una durata non breve, stante la durata della pandemia e la profondità nel tempo dei sui effetti- in cui nessun organismo sembra voler ristabilire pienamente la logica ferrea e feroce del mercato, prima che i protagonisti dei mercati finanziari ricomincino ad accanirsi sulle loro prede.
Siamo in una sorta di terra di nessuno, una terra incognita, in cui incognite sono anche le prospettive, in attesa che un qualche vaccino ponga fine alla pandemia.
È necessario sollevare, lacerare la coperta di piombo che grava sul nostro paese in cui l’ammalato – per continuare con le metafore- si alza dal suo giaciglio, solleva la copetta per costruire la propria società della cura, per curare sé stesso. In questa strana fase in queste inedite condizioni, è certo una impresa straordinariamente difficile, per fare questo non è sufficiente scrivere quel programma – quel libro dei sogni, vien da dire- che descrive la ‘società della cura’((https://comune-info.net/la-societa-della-cura-fuori-dal-profitto/[↩]