Questa settimana l’articolo di Alessandro Scassellati analizza il pensiero e l’azione di papa Francesco, da cui si evince la profondità e l’articolazione del suo pensiero, l’azione di profonda trasformazione della chiesa cattolica di fronte all’intreccio delle crisi entro cui viviamo e vivremo nei prossimi anni. L’articolo rende la statura di questo papa, ma anche le contraddizioni irrisolte della chiesa cattolica ed il groviglio inestricabile delle crisi in cui egli invita i fedeli ad agire, entro cui cerca di operare direttamente con gli strumenti a disposizione dell’istituzione che presiede.
In altri termini è un pensiero che riconosce la complessità della realtà assieme ai vincoli cui deve soggiacere, partendo dall’istituzione in cui opera, da cui si proietta sul mondo. Mentre si rimanda la lettura dell’articolo di Alessandro, la reazione in me che scrivo è quella sin troppo banale dell’ottimismo della volontà e del pessimismo della ragione, assieme alla passione intellettuale del calarsi nella complessità delle gigantesche trasformazioni e contraddizioni del nostro presente e del futuro in cui ci proiettiamo, passione che caratterizza la redazione della rivista ed i suoi tanti collaboratori.
Nel contempo i processi in corso, a partire dalla crisi climatica, si confermano nelle tendenze già individuate, si radicalizzano e si accelerano come accade all’innovazione tecnologica la cui frontiera è costituita dalla cosiddetta Intelligenza Artificiale, in tutte le sue declinazioni anche se ora la filiera che suscita gli interrogativi di rilevanti e pressanti è quella del Large Language Modules – a partire da ChatGPT che nelle sua quarta release ha mostrato al mondo, non solo agli specialisti, possibili applicazioni sino ad allora del tutto inaspettate, dando poi la stura ad una serie sempre più fitta di annunci e rilasci di altre applicazioni simili o connesse.
C’è una sorta di parallelismo tra crisi climatica e innovazione nel campo dell’I.A.; nella prima nonostante la sempre maggiore potenza e accuratezza dell’analisi, il suo manifestarsi concreto è sempre più imprevedibile -come la perdita inaspettata di una superficie equivalente a quella dell’Argentina nella superficie ghiacciata dell’Antartide o le temperature raggiunte sulle Ande nell’inverno Australe, non attribuibili semplicemente al El nino- mentre alcune proiezioni svelano nuovi macro-processi come il rallentamento nei prossimi decenni della Corrente del Golfo1 e la modifica in generale della circolazione complessiva delle correnti oceaniche. Se la realtà dei fatti e l’avvicinarsi e concretizzarsi di orizzonti -che è doveroso definire, senza alcuna retorica, come catastrofici- sovrasta il lavoro di raccolta dati e di analisi, contemporaneamente la capacità di costruire una strategia globale di affrontamento di queste crisi/trasformazione è sempre più ridotta: non che manchino tentativi di creare ponti attraverso i conflitti globali come accade tra Usa e Cina. Nella seconda grande trasformazione, l’I.A., i dispositivi hanno raggiunto una tale complessità sino al punto da comportarsi come una sorta di scatole nere, per cui è in corso una gigantesca sperimentazione da parte di tutti coloro che le usano e le progettano sul loro ‘comportamento’; tale imprevedibilità relativa la singola applicazione deve poi essere vista ad un altro livello logico ed operativo nel complesso dell’utilizzo in campi sempre più diversificati. Si apre in realtà un campo del tutto sconosciuto sul rapporto tra la produzione delle I.A. -dei LLM in particolare- e gli agenti umani che le utilizzano, dove la questione si pone non solo e non tanto a livello individuale, come testimonia una crescente letteratura, man mano che decine di milioni di persone ne sperimentano l’utilizzo, quanto piuttosto a livello di singole organizzazioni e di formazioni sociali nel loro complesso.
I diversi regimi politici, come abbiamo più volte evidenziato, reagiscono in base al modello di governo che delle società che esprimono, se in generale oltre 1000 tra addetti ai lavori e personalità di vario genere hanno espresso una seria preoccupazione sui possibili esiti di uno diffuso dell’’I.A. -come peraltro di comincia ad intravvedere- sette rappresentanti delle principali società impegnate nello sviluppo di questa tecnologia si sono incontrati con il presidente degli Stati Uniti Biden sul tema del possibile governo del processo di innovazione in corso.
Mentre si diffonde la consapevolezza della difficoltà di governare i casi particolari ed il processo complessivo di utilizzo e sviluppo dell’I.A., il suo utilizzo si diffonde e si annuncia quella ennesima rivoluzione nell’organizzazione del lavoro, in tutte le filiere economiche, su cui esprime tutto il suo pessimismo Joseph Stiglitz2 il quale contemporaneamente si spinge a prospettare un orizzonte positivo, peraltro non nuovo, in risposta all’aumento di produttività indotto dalle nuove tecnologie , in risposta ad una domanda “E vede qualche potenziale soluzione al problema della riduzione della domanda di lavoro dei colletti bianchi? C’è un modo per ridurne l’impatto?” Così si esprime.
Certo. Le raccomandazioni possono essere due: aumentare la domanda aggregata [la domanda di beni e servizi formulata da un sistema economico nel suo complesso, NdT] per mantenere l’economia più vicina alla piena occupazione e adottare politiche attive del mercato del lavoro per formare o riqualificare le persone per i nuovi lavori creati dall’IA. Con buone politiche distribuite, può darsi che le persone dicano: “Beh, il nostro tenore di vita è sufficientemente elevato, non abbiamo bisogno di tanti beni materiali”, e quindi accettino di avere più tempo libero; potremmo così passare a una settimana lavorativa di 30 ore. In effetti, il nostro prodotto interno lordo (PIL) misurato non sarebbe così alto come se avessimo una settimana di 35-40 ore. Ma il nostro obiettivo non è il PIL misurato, bensì il benessere. Potremmo decidere di passare a un equilibrio con settimane lavorative complessivamente più brevi e più tempo libero. E questo potrebbe essere uno dei modi per soddisfare l’aumento della produttività e dell’innovazione.”
L’articolo cita nel suo incipit uno studio della Goldman Sachs3 che prevede un impatto dell’I.A. su centinaia di milioni di posti di lavoro soprattutto nei paesi più sviluppati nelle filiere e nelle funzioni lavorative dove è prevalente il trattamento dell’informazione, la comunicazione in forma non strutturata. L’automazione digitale, la sostituzione del lavoro dei ‘colletti bianchi’ ha preso avvio dal trattamento delle informazioni strutturate-per dirla semplicemente in forma tabellare, sin dai tempi dei mainframe e dei mini, prima della diffusione dei personal computer, che hanno pervaso tutte le organizzazioni prima con le ‘reti locali’ -dove ogni PC è connesso alla sua ‘presa di rete’ ed infine alla diffusione globale di Internet, la rete. I telefoni cellulari, i dispositivi mobili sempre più potenti e ricchi di funzioni, hanno permesso la diffusione dei social networks, dando origine ad una nuova forma dell’economia, basata sull’estrazione di dati e informazioni dalle attività relazionali, dalla ricerca e condivisione dell’informazione in una forma del tutto nuova e in una quantità che cresce in forma esponenziale; quantità e qualità, una complessità che ha richiesto la creazione di algoritmi adeguati, per classificare, creare profili individuali e collettivi, realizzare modelli previsionali.
Ora sono arrivati i LLM, i pappagalli stocastici, che riconnettono secondo una logica statistica, parola per parola, sillaba per sillaba, le basi di conoscenza esistenti. Paradossalmente operano la rottura dei confini di proprietà intellettuale, rovesciando di segno la nozione di conoscenza bene comune, in un processo di appropriazione privata mai vista, ben oltre i classici motori di ricerca, che ordinando secondo propri criteri i riferimenti, ‘segnalano’ fonti di informazione in risposta a specifiche richieste.
Il clima globale, l’infosfera, l’ecosistema globale, dimensioni globali, mega oggetti, in realtà articolate in sottosistemi, in perenne mutazione creative, su dimensioni locali e e regionali e globali, su scale temporali stratificate, sono soggette a rispettive trasformazioni radicali, tra loro interconnesse in modo inestricabile entro una azione antropica che -qui ci ripetiamo per l’ennesima volta- che costruisce nuovi nessi artificiali mentre produce fratture sempre più profonde e diffuse nel sistema climatico, negli ecosistemi, nella riproduzione sociale che su di essi si fonda; rottura delle connessioni e stravolgimento di tempi e ritmi.
La complessità del mondo, il paradigma della complessità nelle sue diverse forme e modelli con cui si cerca di approssimarne i processi, si afferma contro ogni riduzionismo, diventando con l’ennesimo paradosso lo strumento del processo di artificializzazione quale rimedio alla riduzione/distruzione di complessità operato dal processo antropico realizzato dall’attuale modo di produzione dominante.
Nella sua concretezza, nelle sue determinazioni analiticamente definite, il processo di riproduzione del globo appare come trascendente rispetto ai processi locali, dove il globale non è semplicemente la somma delle sue singole componenti, dove peraltro l’individuazione e descrizione delle realtà locali dipende dal processo globale da cui partiamo in un costante rimando top-bottom e bottom-up. La definizione del nostro globo nelle sue dinamiche ecologiche e climatiche come Gaia è il tentativo problematico di affermare la sua realtà vitale unitaria. Non dimentichiamo la concezione di mente, di menti da parte di Gregory Bateson, elaborata in una fase iniziale della ‘cibernetica’ della teoria dei sistemi, dove per analizzare la stratificazione complessa del reale si adotta la teoria dei tipi di Bertrand Russel.
Dalla trascendenza, al necessario senso del limite richiamato dal primo rapporto del Club di Roma , alla critica dell’hỳbris4 dell’uomo moderno, c’è il rimando alle mille sfaccettature della cultura, delle culture della crisi, di quella crisi dell’utopia illuministica che fondava definitivamente il regno della ragione, mentre Kant cercava di definire fondare il nesso tra conoscibile e inconoscibile, tra ragion pura e ragion pratica, definendo una volta per tutte il senso dell’ ‘essere al mondo’, laddove poi l’esserci si è rivelato molto più problematico di quel rivolgimento intellettuale, politico e sociale all’alba della rivoluzione industriale, nella quale il dominio sull’energia e la materia nella loro varie forme fondava una utopia di sviluppo e progresso infinito. La critica alla volontà di potenza espressa del sistema capitalistico -oggi nelle sue varie forme più aggiornate- nel testo ‘La dialettica dell’Illuminismo’ forse oggi è ancora più attuale, ma su questo altri si cimenteranno.
Nei paragrafi precedenti si intuisce la possibilità di un incontro di culture che hanno diverse visioni del senso dello stare al mondo, in un’etica globale che inglobi ogni forma di vita, nel loro concreto evolversi e relazionarsi, sul ciglio di una crisi irreversibile dei processi di riproduzione come noi oggi li conosciamo. In questo contesto papa Francesco, al di fuori delle contraddizioni e dei vincoli imposti dalla materialità delle relazioni delle istituzioni e delle comunità che è chiamato a governare, appare come un profeta, da cui viene un invito ad agire, come del resto viene da istituzioni come l’IPCC il cui mandato è quello di investigare i caratteri, il progredire della crisi climatica.
Che la situazione per ora non offra ragioni di ottimismo l’abbiamo evidenziato più e più volte, in articoli precedenti, ma siamo purtroppo in buona compagnia, così come siamo in pessima compagnia quando osserviamo il crescere di posizioni e politiche negazioniste, cavalcate in particolare in Europa dalle destre, che cercano consenso di fronte allo smarrimento che prende ampie fasce delle popolazioni – e quindi egli elettorati- di fronte ai cambiamenti radicali necessari per affrontare la crisi climatica, mentre l’innovazione tecnologica -nella forma della sua appropriazione privata- si produce in modo da esaltare le differenze sociali e rendere sempre più incerto il futuro e precaria la condizione presente, escludendo ogni definizione di bene comune e beni comuni.
Il nesso tra visione e discorso profetico ed azione concreta, tra azione locale e azione globale, tra esodo- presa di distanza dai rapporti sociali esistenti e presa in carico di un’azione di critica pratica con tutti i suoi rischi, è tutto da costruire.
Per significare i progressi nella creazione di una coalizione per la salvezza del pianeta e dell’umanità, nell’obiettivo congiunto della giustizia sociale e climatica, per assieme le sue contraddizioni profonde possiamo citare il Summit regionale sull’Amazzonia che si svolge a Belem5 dove si registrano già i primi risultati nella riduzione della pratica della deforestazione, avendo già perso secondo alcune stime almeno un quarto della superfice complessiva. L’ambizione è quella di creare un blocco di paesi in vista della 30esima COP, Conferenza Onu sui cambiamenti climatici si terrà proprio a Belém nel 2025. All’incontro di Belem hanno partecipato anche delegazioni dall’Indonesia e dal Congo che ospitano le altre due più grandi foreste pluviali del mondo.
I presidenti della Colombia e del Brasile, Gustavo Petro e Luiz Inácio Lula da Silva hanno confermato il loro impegno a sostenere le misure necessarie a preservare la foresta amazzonica, rafforzando in primo luogo l’Organizzazione del trattato della cooperazione amazzonica (Otca), tuttavia traspare un profondo dissidio rispetto alle prospettive dove il presidente Boliviano si batte per una rapida riduzione nell’uso delle fonti energetiche fossili, criticando nello specifico l’avvio di prospezioni petrolifere anche solo ai margini dell’area amazzonica, mentre il Brasile di Lula fonda molto delle sue prospettive di sviluppo sull’ampliamento dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi su cui opera la Petrobras. In assenza di una collaborazione globale è ben difficile armonizzare le diverse traiettorie dei diversi paesi. Di aiuti per la conservazione della foresta amazzonica sono arrivati 500 milioni di dollari, quando la richiesta di Lula si aggira sui 100 miliardi, cifra paragonabile allo sforzo finanziario realizzato per la guerra in Ucraina; non ha caso questa richiesta rimanda a quella analoga portata avanti per sostenere i paesi più poveri e più colpiti dal cambiamento climatico.
La visione profetica, saldamente ancorata all’analisi scientifica, non trova un riscontro in una strategia globale minimamente adeguata ad affrontare il presente e gli orizzonti sempre più prossimi di una catastrofe globale.
Roberto Rosso
- negli ultimi anni si sono succeduti diversi allarmi sul rallentamento dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC) vedi ad esempio – Observed fingerprint of a weakening Atlantic Ocean overturning circulation https://doi.org/10.1038/s41586-018-0006-5 – Arctic sea-ice decline weakens the Atlantic Meridional Overturning Circulation https://doi.org/10.1038/NCLIMATE3353.[↩]
- https://www.lescienze.it/news/2023/08/07/news/intelligenza_artificiale_disuguaglianze_sociali_stiglitz-13087273/.[↩]
- https://www.gspublishing.com/content/research/en/reports/2023/03/27/d64e052b-0f6e-45d7-967b-d7be35fabd16.html The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth.[↩]
- https://www.treccani.it/vocabolario/hybris.[↩]
- https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/amazzonia-lula-cerca-100-miliardi-per-salvare-la-foresta-urb76ohi.[↩]