La serie di articoli di Peter Cooke che abbiamo pubblicato sul sito di transform! Italia 1 presenta una lettura della pandemia da Covid19, le cui conseguenze non si sono ancora del tutto esaurite, che suscita molte perplessità.
Riprendendo analisi e considerazioni che sono largamente circolate quasi fin dal sorgere della pandemia e che sono anche state anche ampiamente e in genere fondatamente contestate, di cui soprattutto Agamben ha cercato di dare una sistemazione teorica, ci presenta una visione che a me pare rientrare a tutti gli effetti in una lettura cospirazionista di tutta questa vicenda.
La tesi di fondo è che una “oligarchia globalista” abbia inventato o quanto meno fortemente esagerato la portata e gli effetti della pandemia di Covid19 al fine di indurre nei cittadini la paura e di attivare o rafforzare strumenti di controllo sui comportamenti sociali. Un controllo che servirebbe ad impedire il crescere della protesta tale da mettere in discussioni gli attuali assetti di potere. Questa estensione degli strumenti di controllo e di sorveglianza sarebbe destinata ad estendersi progressivamente fino a trasformarsi in un nuovo “totalitarismo”. “Sorvegliare e punire”, secondo una nota formula, sarebbe la principale finalità del “potere”.
Questa interpretazioni si basa, almeno apparentemente, su valutazioni presenti nel pensiero critico di sinistra rispetto agli effetti del neoliberismo, in termini di rafforzamento del carattere oligarchico dei rapporti sociali ed in una ridefinizione in senso post-democratico delle strutture politiche. Ciò nonostante porta ad esiti e conclusioni politiche che mi sembrano invece tutt’altro che di sinistra.
Vorrei provare a sintetizzare i punti di dissenso fondamentali rispetto a questa visione.
La prima riguarda la natura del capitalismo supponendo, come ritengo, che questo sia ancora un termine adeguato per definire il tipo di società nella quale siamo immersi. Il capitalismo presenta alcune caratteristiche fondamentali. La prima è che il motore principale della sua dinamica interna resta la “produzione” di profitto o in altri termini la valorizzazione del capitale. Questa valorizzazione avviene sia attraverso la produzione di merci e di servizi sia attraverso il puro movimento di denaro. Elemento quest’ultimo che si è accresciuto con lo svilupparsi dei processi di finanziarizzazione.
Il meccanismo che sta alla base del capitalismo interagisce con l’intero ordinamento sociale nel suo complesso, che non può essere ridotto ovviamente al solo elemento materiale, ma che non può essere compreso astraendo da questo o riducendolo ad uno dei tanti fattori che operano nella società.
Come sistema sociale il capitalismo si basa su una differenziazione tra le classi e quindi anche sull’esistenza di una classe dominante. Contemporaneamente ha bisogno di esercitare forme di egemonia e costruire vari livelli di consenso, oltre che di vero e proprio dominio. Per ragioni storiche le classi dominanti hanno esercitato il proprio potere, sia per ragioni interne che per la pressione esterna del movimento operaio, in forme relativamente democratiche, almeno nelle società capitalisticamente più sviluppate, garantendo una certa misura di pluralismo e di articolazione e rappresentanza dei diversi interessi sociali.
Il capitalismo, essendo un sistema dinamico e non statico, è caratterizzato da una tendenza espansiva ma anche da meccanismi di competizione interna (tra settori economici, tra Stati rappresentativi degli interessi delle rispettive classi dominanti, tra singole grandi imprese ecc.) che producono articolazioni e contraddizioni.
Altro elemento proprio del capitalismo è la sua tendenza a funzionare come sistema sottratto alla intenzionalità dei singoli a differenza di quanto in generale avveniva nelle società pre-capitalistiche. Questo è stato rappresentato, a livello intellettuale e ideologico, ad esempio, con la nota formula della “mano invisibile”. Questo idea, di un sistema che si autoregola, in parte limitato nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale per l’impatto che la crescita del movimento comunista ha avuto sui rapporti di forza interni al mondo capitalistico oltre che per l’esigenza del capitalismo di far fronte alle proprie contraddizioni, si è fortemente rafforzato con il prevalere della fase neoliberista del capitalismo. Questo è stato, ed è tutt’ora, l’assetto dominante nelle società capitalistiche sviluppate.
Il neoliberalismo ha effettivamente prodotto degli effetti oligarchici e di riduzione della dialettica democratica fondamentalmente per due ragioni: da un lato la crescita della finanziarizzazione che ha favorito la concentrazione e lo spostamento di grandi capitali e dall’altro l’espansione della dimensione globale del capitalismo che ha indebolito la capacità di azione dello Stato nazionale.
Il paradigma cospirazionista si pone in contraddizione con questa lettura del capitalismo per diverse ragioni. Innanzitutto tende a perdere di vista il peso dell’elemento dominante del capitalismo, la realizzazione di profitto, annegandolo in un generico desiderio di potere che diventa un fine in sé stesso. In secondo luogo rappresenta le classi dominanti come un gruppo compatto e omogeneo sempre in grado di produrre una e una sola azione politica. In terzo luogo attribuisce a questo ristretto nucleo oligarchico una assoluta e onnipotente capacità di produrre qualsiasi dinamica sociale.
La società viene rappresentata conseguentemente come il terreno d’azione di una ristretta e fondamentalmente malvagia oligarchia (trasformando la critica sistemica in condanna puramente moralistica), in una massa intermedia manipolabile a piacere dalla stessa oligarchia attraverso un controllo rigido del sistema informativo e di tutto il mondo scientifico e specialistico e in una minoranza che essendo in grado di svelare i trucchi dell’oligarchia sarebbe per questo fatto capace di mettere in discussione il sistema, senza in realtà essere in grado di produrre alcuna alternativa (se non per lo più diventando la basse di massa di politiche reazionarie).
Questo schema ideologico può essere applicato a qualsiasi evento e fatto sociale grande o piccolo, utilizzando gli stessi meccanismi, soprattutto quando si tratta di dinamiche che suscitano paura o incertezza. Lo si è visto all’opera nel caso della pandemia da Covid19 ma è applicato con lo stesso procedimento nel caso dei fenomeni di immigrazione di massa. La teoria della “dittatura sanitaria” è del tutto equiparabile a quella della “grande sostituzione”. Si può far uscire di scena Bill Gates e far entrare George Soros come il grande manipolatore della prima o della seconda. Nel caso di Soros essendo ebreo consente anche di alludere più o meno esplicitamente alla tematica antisemita.
La lettura cospirazionista si basa generalmente su una lettura distorta e parziale della realtà. Se prendiamo la vicenda specifica del Covid19 quello che abbiamo assistito in Italia è stata una prima reazione tesa tutta a ridurne la pericolosità e l’impatto. Abbiamo tutti presente le campagne attivate dai sindaci di grandi città del nord tese a dimostrare che tutto continuava ad andare per il meglio (Milano, Bergamo, ecc). La prima preoccupazione era di salvaguardare le attività economiche e il turismo non certo il desiderio di sottoporre i cittadini alla privazione delle libertà personali. Così come è stato denunciato, anche su questo sito, che si sia colpevolmente deciso di non istituire una zona rossa in un’area della Lombardia, in conseguenza delle pressioni esercitate da Confindustria per far prevalere l’interesse economico su quello alla salute dei lavoratori e dei loro famigliari.
Le stesse scelte successive, sono state spesso frutto di improvvisazione oltre che di una effettiva e oggettiva insufficiente conoscenza degli effetti del virus, del suo impatto, delle sue modalità di propagazione.
E’ sicuramente necessaria una riflessione critica su quelle scelte e anche nel periodo successivo, e anche la valutazione comparata delle decisioni assunte nei vari Paesi, anche se sappiamo che le realtà demografiche, sociali, sanitarie non sono sempre equivalenti. Questa valutazione critica diventa più difficile se viene portata a supporto di uno schema ideologico cospirazionista che ripropone continuamente questioni che sono già state oggetto di dibattito e di valutazione scientifica e che si sono dimostrate non convincenti o non applicabili.
Un altro elemento che deve essere oggetto di riflessione riguarda il fatto che la contestazione per le misure sanitarie prese per combattere la pandemia sia venuta principalmente da settori di destra populista. Non è sufficiente affermare che un fatto può essere vero anche se sostenuto da ambienti politici di cui non si condivide la visione ideologica (come afferma Agamben). Tesi in sé incontestabile. Ma le scelte compiute e rivendicate principalmente da governi della destra populista hanno un fondamento in una determinata visione della società. E con questa bisogna fare i conti per capire le relazioni che intercorrono con l’atteggiamento tenuto per tutta la fase acuta della pandemia.
A me pare che questa visione si alimenti di alcuni elementi fondamentali, anche se tra loro a volte esplicitamente contraddittori. Il primo è la presenza di una corrente irrazionalista e antiscientifica che afferma il primato di valori vitalistici o religiosi di derivazione premoderna. Il secondo è la difesa a tutti i costi del prevalere dell’attività economica e la difesa degli interessi che ne derivano a prescindere dalle conseguenze che queste possano avere sulla condizione sanitaria collettiva. La terza è una affermazione del primato assoluto dell’individuo sulla società. La salute in determinate situazioni è un dato che deriva da un insieme di comportamenti che tengono conto degli effetti che le scelte individuali hanno sugli altri. Questo richiede anche la legittimità all’introduzione di limiti e vincoli alle possibilità di scelta degli individui.
Certamente è necessario tenere aperta la discussione per capire fino a che punto è possibile violare in modo significativo libertà personali in situazioni eccezionali, come quelle di una pandemia. Su questo alcune delle preoccupazioni sollevate dalla subcultura cospirazionista meritano una valutazione e un dibattito di merito. Così come è più che legittima una visione critica sugli effetti che sulla medicina, la gestione della salute, ecc. hanno gli interessi economici, la presenza delle grandi multinazionali farmaceutiche e altre pressioni corporative o semplicemente forme di pensiero conservatore esistenti evidentemente anche in ambito scientifico.
Ma il problema di fondo dell’approccio cospirazionista, è che, oltre a non essere in grado di spiegare i fatti sociali, i reali rapporti di forza e di classe esistenti nella società e di proporsi quindi come reale fonte di una egemonia alternativa, spesso inquina il dibattito con manipolazioni informative, citazionismo autoreferenziale, grossolana distorsione dei fatti. Per questo la sinistra, soprattutto quella alternativa al capitalismo, deve aver ben chiara la differenza tra la propria analisi della realtà e quella proposta da questa corrente ideologica.
Franco Ferrari
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