A pochi giorni di distanza dalla nuova riunione del Consiglio UE assistiamo ad un succedersi di dichiarazioni che mettono in dubbio la stessa proposta della Commissione europea. In particolare, il premier olandese Mark Rutte e il vicepresidente della Commissione Dombrovskis insistono sulla necessità di decidere al più tardi in primavera di fare rientrare in funzione le norme del Patto di Stabilità. Una prospettiva non solo sbagliata ma che fa a pugni con la realtà.
Infatti, come ci ricordano gli ultimi dati aggiornati dello stesso Fmi la recessione che ci aspetta tende ad approfondirsi, quindi i tempi di uscita dalla crisi non sono prevedibili e certamente non sono brevi.
Di fronte a questo quadro diventano ancora più impressionante il fuoco di fila che si è alzato perché l’Italia acceda al MES.
Una cosa che colpisce perché mentre lo stesso governo italiano, ma anche molti governi progressisti, sono impegnati per determinare un cambiamento delle politiche europee con nuovi indirizzi e nuovi strumenti, certo questo “fuoco amico” non aiuta.
Se neanche di fronte alla pandemia l’Europa cambiasse sarebbe veramente un fatto disastroso.
Nonostante appelli, blandizie e toni ultimativi i fatti non possono essere cambiati o negati. Essi ci dicono che:
1) nessuna delle normative che concernono il MES è stata cambiata. Come è noto esse sono il trattato istitutivo del MES, il testo unico sul funzionamento dell’Unione europea che lo riprende evocandone la condizionalità e il raccordo con la severa politica di bilancio e il regolamento 412 del 2013 che norma il semestre europeo di bilancio in particolare facendo riferimento ai Paesi che hanno fatto ricorso al MES e prevedendo di operare in termini di vigilanza rafforzata, sempre con i rigorosi obiettivi di bilancio. Del resto, non sarebbe affatto impossibile modificare le norme in questione se davvero tutti fossero d’accordo come si dice sull’assenza di un qualsiasi pericolo per i paesi che accedono al MES;
2) l’unica novità è la dichiarazione d’intenti dell’Eurogruppo che afferma che tutti i Paesi sono nelle condizioni di accedere al MES. Questa non modifica nessuna delle norme su richiamate;
3) il MES è nato per far fronte ad una crisi profondamente diversa da quella attuale, e in ogni caso resta un fondo che opera a tutela dei creditori, con un regolamento simile a quello del FMI. Questo regolamento consente in nome della suddetta tutela d’intervenire in ogni momento per garantire l’esigibilità e chiedere aggiustamenti economici agli Stati debitori. Per altro i prestiti possono essere erogati a tranche con condizioni variabili e vanno restituiti in un massimo di 10 anni;
4) il Patto di Stabilità con le sue norme a cui si rifanno tutte le regole di bilancio è solo sospeso, mediante l’attivazione della clausola di salvaguardia generale. Un suo ripristino vedrebbe l’Italia con un debito presumibilmente oltre il 170% e coinvolta da un prestito MES e dunque passibile di severissimi interventi;
5) il meccanismo dei prestiti, al contrario dei fondi di bilancio, dei sussidi e delle erogazioni della Bce crea nuovo debito in un quadro reso sempre più pesante finanziariamente ma anche economicamente e socialmente;
6) il meccanismo di indebitamento individuale è il contrario del bilancio condiviso e perpetua l’attuale assetto di una UE mercato intergovernativo e non Unione Politica. Serve una profonda revisione delle regole finanziarie vigenti;
7) è l’attuale sistema di regole di bilancio che ha portato ai 36 miliardi di tagli subiti in questi anni dalla sanità italiana. Appare quasi farsesco che ora dovremmo prendere a prestito una cifra analoga da un fondo per altro alimentato anche da versamenti italiani con enormi e ravvicinatissime ipoteche sull’insieme del nostro bilancio;
8) il tanto sbandierato basso tasso del prestito sottopone al contrario con l’accesso al MES a un rischio spread tutta l’esposizione finanziaria del Paese;
9) allo stato attuale l’Italia sarebbe l’unico Paese a consegnarsi al MES il che amplifica i rischi espositivi generali del Paese;
10) il MES è per la spesa pubblica sanitaria ma non per la sola sanità pubblica. Non c’è un piano per la riforma della sanità e l’eventuale “affidamento” alle regioni che usano abbondantemente il settore privato non è certo una garanzia.
Queste ragioni, tra le molte che potremmo richiamare, ci confermano nella nostra posizione contraria al MES. Posizione per altro indispensabile ad ottenere i cambiamenti necessari al Paese e all’Europa in termine di regole diverse da quelle insostenibili e fallimentari di Maastricht e di nuovi strumenti degni di una Unione Politica e capaci di far fronte a questa nuova drammatica crisi.